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ASSEMBLEA NAZIONALE "ACTION FOR PEACE" - Perugia 11 maggio 2002



ASSEMBLEA NAZIONALE  "ACTION FOR PEACE"
Perugia,  Sala dei Notari,  11 maggio  2002  -  h.10 - 17

ACTION FOR PEACE: Perché, come, quando - le sfide di oggi Conoscenza e
solidarietà, dire la verità  Gli anni dell'intifada delle pietre erano
stati segnati dalla resistenza popolare fatta di tante donne e tanti
giovani, all'occupazione israeliana e dalla speranza di uno Stato
palestinese, per vivere in libertà e  pace accanto allo Stato di Israele;
quelli più recenti, della seconda intifada, sono segnati dalla frustrazione
di un intero popolo per una occupazione militare e coloniale crescente, una
speranza di pace caduta, la libertà negata, mentre è cresciuta la divisione
politica interna, le donne sono rimaste ai margini, si è acuita la
disuguaglianza sociale, dentro cui ha operato il fondamentalismo. Nel 1990
il movimento per la pace internazionale aveva abbracciato Gerusalemme con
la passione e la consapevolezza "del tempo di pace": dopo la provocatoria
passeggiata di Sharon, nel 2000, sulla spianata delle moschee, quando, alla
reazione dei ragazzi palestinesi delle pietre, nei punti
dell'accerchiamento militare delle città "autonome,  sono state opposte
bombe e mitragliatrici, è emerso con forza il problema di una azione nuova,
di un pacifismo attivo per la protezione della popolazione civile, di una
solidarietà globale.Dalla fine del 2000, le delegazioni pacifiste che si
sono recate in Palestina e Israele, insieme alla solidarietà, hanno messo
in moto la conoscenza di una drammatica situazione che in sette lunghi anni
dall'accordo di Oslo si era creata. E' venuto alla luce quanto poco foriero
"di pace"fosse il processo svoltosi in quei sette anni. Il permanere
dell'occupazione, insieme alla frammentazione del territorio ad opera degli
insediamenti coloniali nel frattempo raddoppiati, rendevano impossibile per
i palestinesi accettare questa situazione, che minava alle radici la
possibilità di uno Stato indipendente.

"Dire la verità" nel nostro paese, contro l'isolamento internazionale dei
palestinesi che avevano osato dire di no a soluzioni ingiuste, è stata per
alcuni mesi l'attività fondamentale, delle varie associazioni, a cominciare
dal progetto " io donna vado in Palestina", delle donne in nero e non solo,
mentre si faceva sempre più pressante la richiesta di protezione
internazionale per la popolazione civile.

Abbiamo ripreso a conoscere una realtà, per sette anni oscurata dalla
delega su "il processo di pace" affidata unicamente agli Stati Uniti. Ci si
è resi conto del colpevole silenzio della Comunità internazionale e
dell'Europa di fronte al logorarsi del processo di pace, che assisteva
immobile alla morte di una speranza, di pace e di sicurezza, nella società
palestinese e in quella israeliana, già scossa dall'assassinio di Rabin,
maturato in una società divisa e impoverita, in cui cresceva il rifiuto
della destra fondamentalista ad ogni ipotesi di pace.

L'immigrazione dall'Africa e dalla Russia di oltre un milione e mezzo di
persone comportava costi economici alti, ma non una più alta coesione
sociale, anzi. L'insicurezza sempre più profonda ha corroso anche il campo
di pace israeliano, non in grado di vedere il nesso necessario tra
politiche di pace e benessere economico e sociale. Il suo sfaldamento è
andato di pari passo con la chiusura della società e la crescita del
sentimento che la causa dei propri problemi sia nell'"altro", un "nemico"
vicino di casa.



Guerra e terrorismo Le elezioni di Sharon sono state anche frutto di questa
grande insicurezza e avversione a politiche che, in nome della
globalizzazione, spostavano le fabbriche nei paesi arabi a bassissimo costo
di manodopera, mentre per catturare il consenso si era dato grande spazio a
nuove e illegali colonie. Dopo una campagna elettorale centrata sulla
volontà di "sistemare le cose" con i palestinesi, fare piazza pulita degli
accordi di Oslo, per garantire "sicurezza" alla società israeliana, la
scelta di Sharon è stata spingere i palestinesi ad una militarizzazione del
conflitto (che per alcuni mesi si era retto solo sul lancio delle pietre da
parte di giovani, maggioranza delle prime vittime dell'esercito israeliano)
che, data la disparità di forze, avrebbe condotto inevitabilmente alla loro
sconfitta, non tenendo a mente quello che già nell'88 ebbe a dire Rabin "ho
appreso una cosa in questi ultimi mesi: non potrete mai governare con la
forza un milione e mezzo di palestinesi: è una lezione dalla quale dobbiamo
trarre le conseguenze".

Obiettivo della politica del governo israeliano è la negazione della
possibilità di costruire uno Stato Palestinese, distruggendo l'ANP e
utilizzando gli strumenti della umiliazione e violenza su tutta la società
palestinese. Chiusura strettissima delle città che impedisce di andare al
lavoro, a scuola o all'ospedale, impedisce la libertà di movimento;
distruzione dell'economia per l'impossibilità di produrre e commerciare;
distruzione dell'agricoltura con sradicamento di migliaia di alberi di
ulivo e  da frutta; fine del turismo; e poi bombardamenti e omicidi; la
guerra è contro i civili, contro un intero popolo.

Questa guerra si intensifica dopo l'attentato terrorista dell' 11 settembre
negli USA: la politica di Bush in Afghanistan, attraverso bombardamenti di
villaggi e stragi di civili, definita come guerra infinita al terrorismo,
diventa in realtà la rappresentazione di una nuova fase. La guerra militare
si unisce a quella economica e sociale come dimensione permanente in cui il
conflitto Israele/Palestina diventa un caso emblematico, rimandandoci
addirittura immagini analoghe, come nel caso dei prigionieri, mentre si
sviluppa una campagna di identificazione tra ANP e terrorismo e aumenta in
Israele il numero di attentati contro la popolazione civile.Di fronte alla
immobilità e silenzio delle Istituzioni nazionali e internazionali, la
pratica del pacifismo, caratterizzata dalla solidarietà e vicinanza con le
popolazioni coinvolte nei conflitti, pone il problema della protezione
internazionale della popolazione civile e pratica l'interposizione in prima
persona, anche come sostegno alla resistenza non violenta, con palestinesi
e israeliani e missioni civili di altri paesi.



Interposizione, resistenza non violenta, protezione della popolazione
civileLa necessità di uscire dalla militarizzazione del conflitto, che
riduce sempre piu la partecipazione popolare alla resistenza, il bisogno di
rompere l'isolamento, porta diverse organizzazioni e gruppi della società
civile palestinese a promuovere una campagna internazionale per la
protezione del popolo palestinese (GIPP).

Action for peace, coordinando varie associazioni, gruppi, sindacati, ong,
si sviluppa in risposta a questo appello, con una propria piattaforma. Si
intende operare con una diplomazia dal basso in relazione alle popolazioni
colpite e a quelle forze che intendono praticare nei due luoghi la non
violenza, attraverso l'interposizione nei luoghi del conflitto armato,
strumento principale per sollecitare le istituzioni, in particolare
l'Europa, e nello stesso tempo agire direttamente, insieme a palestinesi,
israeliani e attivisti di altri paesi. In Israele, di fronte ad una guerra
che fa strage di diritti umani, mietendo migliaia di vittime e umiliando
continuamente i palestinesi, che favorisce il fondamentalismo e il
terrorismo, molti gruppi si attivano, con manifestazioni, azioni di
solidarietà, con la resistenza palestinese non violenta. Alcuni  riservisti
obiettano al servizio militare, rifiutano di andare a sparare sui propri
vicini, mettono in discussione questa guerra.

A fine anno nasce una coalizione per la pace tra israeliani e palestinesi
(personalità della cultura e della politica), promossa dal rettore
dell'Università di Gerusalemme Sari Nusseibeh, David Grossman e molti altri
per raggruppare intorno a "Time for Peace" tutti coloro che in un campo e
nell'altro vogliono la ripresa di un dialogo.

Negli stessi giorni oltre 250 persone, sulla base della piattaforma di
Action for Peace, dall'Italia vanno nei territori occupati e Israele,
praticando insieme a delegazioni di altri paesi, l'interposizione pacifica
e la solidarietà sul campo con la presenza ai check point, fronteggiamento
a mani alzate dei carri armati, incontri, discussioni, manifestazioni. Alla
posizione irrealistica  e ottusa della "equidistanza", che nega la
differenza tra paese occupato e paese occupante, che in Italia ed Europa
caratterizza le reazioni di politica e istituzioni, si contrappone la
vicinanza attiva alle persone nei luoghi colpiti su una scelta comune: fine
dell'occupazione; smantellamento delle colonie; creazione dello Stato
Palestinese lungo i confini del 1967; soluzione al problema del diritto al
ritorno  per i profughi. Sollecitare forze di interposizione
internazionali, come condizione per riaprire la strada per una pace giusta:
su questo Action for Peace manifesta anche a Bruxelles, all'interno del
coordinamento europeo, il 27 febbraio, richiedendo inoltre la sospensione
dell'accordo economico di associazione di Israele all'Unione Europea.



Disobbedienza alla guerra, rifiuto del terrorismo, azioni per la pace

Nei primi mesi dell'anno si intensificano sul territorio di Israele gli
attentati suicidi che fanno centinaia di vittime, aumentando il senso di
paura e insicurezza nella società israeliana, sentimenti sui quali Sharon
costruisce la sua "guerra al terrorismo": passa dall'occupazione e
dall'assedio, alla invasione dei territori palestinesi, con rastrellamenti
di massa, centinaia di morti, fino alla barbarie dei crimini di guerra.
L'esercito israeliano fa prigioniero il presidente Arafat nella sua stessa
residenza e poi lo stringe in un assedio vero e proprio, senza luce né
acqua, sotto le mitragliatrici dei carri armati, a Ramallah. Continuano le
varie delegazioni e staffette - all'interno della piattaforma di Action for
Peace, e coordinate volta per volta da diverse associazioni -  e si prepara
per la Pasqua del 2002 una carovana della pace.

Oltre 400 persone, moltissimi giovani, in una situazione per la maggior
parte sconosciuta, di fronte alla violenza della guerra,  praticano nei
territori disubbidienza civile,  trasgredendo le regole imposte da un
esercito israeliano che viola tutte le regole internazionali, compresa la
Convenzione di Ginevra sui diritti umani in tempo di guerra. L'ideologia
della guerra globale permanente, fondata sulla idea dell'annullamento da
parte della potenza militare, del nemico, porta alla distruzione di ogni
idea di possibile composizione pacifica dei conflitti, portato di civiltà
che sembrava acquisito dopo la sconfitta del nazifascismo e la fine della
seconda guerra mondiale. E' una ideologia che comporta anche la limitazione
della democrazia interna, una ulteriore deformazione della società
israeliana, trasforma in paranoia la paura del terrorismo. D'altra parte,
disperazione e fondamentalismo, che sono le radici reali del terrorismo,
vengono alimentati, non certo ridotti o eliminati da questa politica del
terrore: la disgregazione e le paure della società israeliana crescono, in
parallelo con la disperazione e la miseria nella società palestinese.

La carovana della pace di Pasqua si è trovata quindi di fronte ad una
situazione diversa, non solo perché più violenta e inaccessibile, ma perché
sembra mutare la natura stessa del conflitto, che, in forza del suo
dichiarato obiettivo "il terrorismo", tende a legittimarsi e a voler essere
legittimata  nelle sue più efferate manifestazioni, come la strage di
Jenin,  così come nella quotidiana violazione dei diritti umani: sparare
sulle ambulanze, far morire i feriti o i malati privandoli del soccorso
medico, impedire la sepoltura dei morti, sparare dai tetti sui bambini che
giocano per strada. La difesa dei diritti umani, la protezione di civili,
come è accaduto nell'ospedale di Ramallah, hanno preso il posto di quella
interposizione a mani alzate fatta ai check point nelle precedenti
missioni.

La comunità internazionale civile, il movimento per i diritti e contro la
guerra, di cui Action for peace è parte, ha quindi nuove analisi e
strategie da pensare



Action for Peace, una fase nuova Oggi ci troviamo di fronte a due sfide:
proseguire le missioni civili, raccogliendo la grande disponibilità che
arriva dalla società, dai movimenti per i diritti e contro la guerra;
collegare ad esse l'agire nel nostro paese. Sempre piu' necessario è "dire
la verità", combattendo la disinformazione e mobilitando l'opinione
pubblica, creare occasioni di informazione e di incontri, operare una
pressione politica su istituzioni nazionali e internazionali, a cominciare
dal Parlamento italiano ed europeo.  Sono infatti  evidenti i rischi di una
regressione politica e culturale, riemerge il fantasma dell'antisemitismo,
con manifestazioni preoccupanti, ma riemerge anche la sua
strumentalizzazione,  per aggredire un pacifismo strutturalmente legato
alle società civili di entrambi i campi, determinato però nella denuncia
delle violazioni dei diritti umani e nella pratica per la loro protezione.
Che non si definisce solo come "solidarietà con il popolo palestinese", ma
come ricerca di una pace giusta, sulla premessa della forte denuncia della
politica di guerra del Governo Israeliano.  Essa sta distruggendo la
Palestina e i diritti del suo popolo,  nello stesso tempo colpisce la
società e l' economia israeliana.

In Israele la guerra avvelena le coscienze di tutta una generazione, mentre
sottrae risorse alle spese sociali ( abbiamo visto grandi manifestazioni di
protesta contro il taglio delle spese sociali, fatte da persone diverse da
quelle che manifestano contro l'occupazione), il suo rappresentarsi come
risposta al terrorismo continua a coprire, agli occhi della maggioranza
delle persone, i veri problemi. Ben pochi denunciano la contraddizione tra
la natura etnocratica dello Stato di Israele e la sua fisionomia
democratica. Pochi si rendono conto che la militarizzazione della società e
delle menti israeliane, va di pari passo con il degrado della vita
materiale; la pratica di Action con Peace deve misurarsi anche con questo:
i ponti vanno costruiti non solo tra palestinesi e israeliani, ma nel corpo
stesso delle due società.

Per questo è nostra intenzione muoverci concretamente anche in quella
direzione,  in relazione con le società civili israeliane e palestinesi,
attraverso la prosecuzione della presenza delle missioni civili e di
campagne di solidarietà, anche materiale. Governo Italiano ed Unione
Europea devono aprire corridoi umanitari, con- vertendo fondi, come già
richiesto da alcune ong, per rispondere all'emergenza.

Mentre ci prepariamo per la grande iniziativa di "Time for Peace" a fine
giugno, è indispensabile realizzare un piu' forte coordinamento a livello
europeo per sollecitare iniziative efficaci dell'UE.

Il grave divieto opposto dal Governo di Israele all'entrata di delegazioni
di solidarietà e di missioni umanitarie va denunciato con forza, così come
lo schiaffo dato all'ONU con il rifiuto di accettare una Commissione di
indagine sul massacro di Jenin :  anche questi fatti sono sintomo di
regressione democratica e spregio delle Istituzioni internazionali che
colpiscono in primo luogo quella società.



8 maggio 2002