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“Economia a mano armata. Gli intrecci tra industria, finanza e spesa pubblica”



 Il totale mondiale degli aiuti allo sviluppo è pari a un quinto delle spese
militari statunitensi. Il dossier di ''Sbilanciamoci''

PADOVA – E’ stato presentato questa mattina a Civitas il dossier “Economia a
mano armata. gli intrecci tra industria, finanza e spesa pubblica”, curato
dalla campagna Sbilanciamoci, una coalizione di associazioni sostenute anche
da banca Popolare Etica. Il dossier è un lavoro collettivo, che propone un
uso alternativo della spesa pubblica, coerente con politiche di promozione
dei diritti, di pace e solidarietà internazionale, di tutela dell’ambiente.
La globalizzazione e i nuovi assetti politici mondiali hanno accentuato in
questi anni la tendenza, da sempre esistente, alla forte collusione tra
potere economico e potere militare, deludendo tutte le ottimistiche speranze
successive alla fine della guerra fredda. I ricercatori che hanno redatto il
dossier si occupano da anni di spese militari, commercio internazionale di
armi, eserciti, trattati internazionali, politica della difesa, allo scopo
di mettere insieme la maggior parte dei dati disponibili sulla cosiddetta
economia a mano armata.
Sbilanciamoci analizza ogni anno la spesa pubblica italiana e, a partire da
questa, avanza proposte alternative su come spendere i soldi di ciascuno di
noi per la pace, i diritti, l’ambiente. Così facendo la campagna vuole
mettere in evidenza come le priorità della spesa pubblica, sostenendo un
modello di sviluppo che crea enormi squilibri a livello planetario, debbano
essere diverse; così come dovrebbero essere cambiati gli elementi
costituenti dell’ordine economico mondiale quali gli eserciti, i loro
interventi nelle crisi internazionali, il commercio e la produzione
internazionale di armi.
L’esempio più clamoroso dell’intreccio indissolubile tra economia, spesa
pubblica e produzione, commercio e utilizzo di armi è dato dall’enorme
impegno di spesa per gli armamenti preso dall’amministrazione Bush. L’
aumento della spesa militare americana tra il 2000 e il 2003 equivale alle
cifre necessarie per attuare gli accordi di Kioto, aumentare la cooperazione
allo sviluppo, abbassare il costo dei farmaci essenziali nei paesi poveri.
Il totale mondiale degli aiuti allo sviluppo nel 2000 era pari a circa un
quinto delle spese militari statunitensi (53 miliardi di dollari contro
288,8 miliardi di dollari). L’Italia nel suo piccolo è l’11° paese al mondo
per spese militari e il 9° esportatore mondiale, con un volume di affari per
il 2001 pari a 177 milioni di dollari.
Il nuovo ordine internazionale, rileva il dossier, si è costruito sempre più
sul ruolo centrale della politica estera e militare degli Stati Uniti e
della Nato. La guerra è tornata ad essere considerata uno strumento
ordinario, considerato da esperti e strateghi del tutto normale, di politica
estera. Come evidenziato dalla ricerca di Sbilanciamoci la corsa agli
armamenti di questi ultimi anni soddisfa essenzialmente due esigenze: quella
della ricerca di alti profitti dell’industria privata e quella di dotare il
potere politico di preponderanti strumenti di intervento sul piano dei
rapporti internazionali.
Lo studio di questa economia a mano armata evidenzia le connivenze di
interessi tra apparati pubblici, potere politico, settori della difesa,
istituti di credito e industria privata. Interessi intorno ad una merce come
le armi, che non ha niente di “umanitario”, “giusto”, “necessario”,
socialmente dannosa, umanamente disastrosa, moralmente riprovevole, ma
economicamente vantaggiosa e politicamente molto utile. La strada
auspicabile secondo Sbilanciamoci è quella di un diverso ordine mondiale
possibilmente guidato dalla democrazia internazionale e fondato sulla
prevenzione dei conflitti, sulla pace e sulla sicurezza, su uno sviluppo
sostenibile con rapporti economici fondati sulla giustizia e sulla
promozione dei diritti umani.
La corsa al riarmo statunitense, che ha subito un’impennata dopo l’11
settembre, rappresenta un progetto che, notano gli estensori della ricerca,
persegue due importanti traguardi: quello della supremazia egemonica sul res
to del pianeta e quello del conseguimento per il complesso industriale
statunitense di giganteschi profitti. Gli Stati Uniti da soli sono titolari
del 40% della spesa mondiale per gli armamenti, e la politica estera dell’
amministrazione Bush, riformulata in maniera palese dopo l’11 settembre, sta
riducendo l’Alleanza Atlantica, nata come alleanza difensiva dell’integrità
territoriale degli stati membri della Nato, ad una sorta di agenzia di
servizio: si usano le basi sul territorio di un alleato, si chiede di
intervenire in Afghanistan a fare la polizia militare, ma si scelgono gli
alleati con i quali portare avanti le campagne militari al di fuori dei
labili vincoli dell’Alleanza.
Il bilancio di previsione per la difesa degli Stati Uniti presentato dal
governo per il 2003 è di 396 miliardi di dollari, cioè 6 volte quello russo
e 26 volte la somma di quanto stanziato da quelli identificati dal Pentagono
come “Stati canaglia” (Cuba, Iraq, Libia, Corea del Nord, Sudan e Siria).
Gli Stati Uniti ed i suoi alleati (Nato più Australia, Giappone e Corea del
Sud) spendono più di tutto il resto del mondo messo insieme: i due terzi
della spesa militare globale. Insieme spendono 39 volte quello che spendono
gli stati canaglia. La spesa militare globale è diminuita da 1200 miliardi
di dollari del 1985 a 812 nel 2000. Nello stesso periodo, la percentuale
americana di questo totale è aumentata da 31% a 36%. Tutto questo secondo il
Center for Defence Information, un importante centro studi americano.
Fonte: http://www.redattoresociale.it