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27/04 Roma: IL MEDIO ORIENTE, I POPOLI NEGATI, LA GUERRA



PER UN'INIZIATIVA UNITARIA

SUL MEDIO ORIENTE



Serhildan in Kurdistan, Intifadah in Palestina...



L'identità e la resistenza civile dei popoli negati:

una sfida alla globalizzazione imperiale e alla guerra permanente,

ma anche una sfida politica a noi tutti,

un filo per rintracciare la trama e la speranza di un Medio Oriente
pluralista e democratico

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Sabato 27 aprile a Roma dalle ore 10 alle 14

presso la Casa delle Culture METATEATRO in via San Crisogono a Trastevere
(presso piazza Sonnino)

INCONTRO - DIBATTITO

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Introduzioni di Luigi Cortesi e Piergiovanni Donini,

docenti all'Orientale di Napoli e animatori della rivista Giano - Ricerche
per la pace,

sulle radici dell'assetto neocoloniale e sulla storia rimossa dei popoli
mediorientali

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Intervengono, fra gli altri:



Esponenti della Comunità palestinese di Roma

Hevi Dilara, dell'Ufficio d'informazione del Kurdistan in Italia (Uiki)

Raniero La Valle e Domenico Gallo, magistrato, di "Pace e diritti"

Dino Frisullo, portavoce dell'associazione Azad

Gianfranco Bensi, dell'Ufficio internazionale Cgil

Elettra Deiana, parlamentare del Prc

Carmine Malinconico, giurista, ed altri osservatori di ritorno dal Newroz
in Kurdistan

Farshid Nourai e Luciano Di Nardo, dell'Associazione per la pace, ed
altri/e esponenti di "Action for Peace", delle Donne in nero

    e del "Coordinamento di solidarietà con l'Intifada", di ritorno dalla
Palestina

Nella Ginatempo, del Forum sociale "Basta guerra" di Roma

Un rappresentante dell'associazione "Un ponte per..."

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PER UN OSSERVATORIO PERMANENTE SUL MEDIO ORIENTE

L'epilogo tragico di una fase della lotta palestinese sembra accostare la
vicenda di questo popolo, che aveva conquistato uno statuto internazionale,
a quella dell'altro popolo negato nell'area mediorientale. Agghiacciano le
analogie con l'odissea di Ocalan e del popolo kurdo: la prigionia di
Arafat, la minaccia di una nuova pulizia etnica, l'uso spregiudicato del
terrore di Stato e del discorso sul terrorismo, la passività
internazionale, il rischio che la questione palestinese sia annegata e
"risolta" in una spirale bellica.

In effetti Sharon non avrebbe avuto via libera dagli Usa se sull'area non
incombesse la guerra all'Iraq, per la quale è vitale il ruolo dell'asse
militare turco-israeliano. Una guerra che si combatterà in terra kurda, ma
è in Palestina l'altro braccio della tenaglia. Ben più che le velleità
subimperiali di questo o quel regime, l'antagonista mortale del nuovo
ordine che si vuole imporre nel sangue è l'istanza di pluralismo e
democrazia di cui sono portatori i due popoli dell'esodo

In una fase in cui la spirale di guerra unifica tragicamente le varie
questioni - dall'embargo all'Iraq alla repressione dei kurdi, dal terrore
antipalestinese alla crociata antislamica -, è utile che i movimenti che
hanno deciso di tornare in Palestina a condividere la lotta dei palestinesi
e dei pacifisti israeliani, dopo un decennio in cui ogni soluzione pareva
delegata alla diplomazia, si confrontino con la presenza costante di
delegazioni e osservatori nel Kurdistan.

E che si ricostruisca così un discorso globale sul mosaico mediorientale a
partire dai diritti delle persone e dei popoli, contro la geopolitica dei
regimi.

La proposta è un osservatorio permanente, una struttura aperta
d'informazione puntuale sulle esperienze di resistenza sociale e civile non
solo in Palestina e in Israele ma in Turchia, in Iran, nei paesi arabi, nel
Maghreb. Una struttura di servizio per le delegazioni e le campagne che
dovranno moltiplicarsi e ricostruire dal basso la trama di una diplomazia
popolare di pace e giustizia, sulle macerie della diplomazia istituzionale.

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