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Risposta di Appello Palestina all'intervento di Gad Lerner sul Manifesto



Ti rispondo Lerner...



Ti rispondo Lerner perché credo che stando come stanno le cose tanto vale
dirsi tutto e subito così che non si dica che anche tu non sapevi, che
nessuno ti aveva messo al corrente.

Sono abbastanza giovane per non avere ricordi comuni con te pertanto quando
ti penso ti vedo a braccetto con Ferrara che dici delle enormità in
televisione. Queste enormità le stai ripetendo anche in questi giorni quando
anche i più sordi e ciechi si sono resi conto che l’occupazione israeliana è
una macchina di morte e sterminio senza precedenti, se non altro per il
fatto che “lavora” al suo progetto di annientamento del popolo palestinese
da tanti anni.

Al contrario ho invece condiviso diverse delegazioni e momenti con Luisa
Morgantini, le donne in nero e tanti pacifisti che non hanno atteso lo
scorso Natale per recarsi in Palestina e riempirsi solo adesso la bocca di
condanne tardive. Ero nella prima delegazione di Donne in Nero nel dicembre
del 2000, otto donne, compresa la Morgantini, partite con il proposito di
ricucire le relazioni tra palestinesi e israeliani brutalmente interrotte
nei primi mesi dell’Intifada perché quella pressione così violenta dell’
esercito israeliano aveva il potere di terrorizzare tutti e zittire le anime
più democratiche di entrambe le parti. Dopo un anno e mezzo di presenza in
Palestina, nei territori palestinesi occupati (TPO), comprendo che era in
atto una precisa strategia del terrore per non lasciare spazio al dialogo,
interrotta e ostacolata solo dalla presenza di  piccoli gruppi di
delegazioni di pace. Ma si trattava di un leggero rallentamento prima che
Sharon si scagliasse con tutta la sua potenza sulla popolazione palestinese
per compiere definitivamente il suo progetto: una grande Israele in tutta la
Palestina storica, con la cacciata degli arabi palestinesi o la loro
segregazione in stretti e poverissimi bantustan.

Questo progetto “americano” non si sta realizzando da oggi ma da tempo. La
cosa che risultava più scioccante durante i viaggi nell’inferno dei TPO era
la continua “attività” militare e strutturale delle truppe di Sharon. Ogni
volta i soldati avevano occupato una nuova collina tra Betlemme e
Gerusalemme e tra Gerusalemme e Ramallah, dopo aver espropriato terreni
agricoli, demolito case. Poi in seguito alla postazione militare corredata
di bandiera sorgevano i primi caravans e infine le case, la stuprante
edilizia delle colonie. Il risultato: ancora più palestinesi senza casa,
agricoltori senza terra, popolo senza diritti, i semi dell’odio. Nuove
bypass roads, strade riservate ai coloni e ai loro blindati dove gli arabi
non possono passare e l’angosciante spettacolo sulla strada che porta a
Hebron di anziani, bambini, donne, studenti, invalidi, disabili, lavoratori
in continuo esodo a piedi o sugli asini per raggiungere le famiglie, le
scuole, il posto di lavoro, sotto il tiro costante dei soldati israeliani,
attraverso la morsa dei check point. Se invece si viaggiava a nord della
Cisgiordania, dove la terra si fa fertile per la presenza delle più
importanti risorse idriche, si iniziava a vedere sul terreno il progetto di
assimilazione forzata di molte aree rurali. Bastava guardarsi intorno: fonti
d’acqua e incremento delle colonie che crescevano sul conseguente esproprio
dei contadini palestinesi, poverissimi raccoglitori di olive che legavano la
loro stessa esistenza ad alberi l’ulivo secolari piantati dai padri dei loro
padri. Tutta l’area del governatorato di Nablus e Tulkarem è stata
colonizzata per via delle risorse idriche perché, nel caso gli israeliani
fossero stati costretti un giorno a restituire le terre ai palestinesi, si
sarebbero assicurati ad ogni modo il controllo del 100% dell’acqua,
percentuale che ad oggi in effetti controllano. Ai palestinesi restano solo
acque di riciclo oppure la possibilità di ricomprare un 10-20% dagli
israeliani a costo altissimo.

Per questo le azioni dei pacifisti, specie di quelli israeliani, si sono
concentrate nel nord della Cisgiordania, per contrastare questo furto delle
risorse vitali, per proteggere la popolazione palestinese dagli espropri,
dalle persecuzioni, dagli incendi dolosi sugli uliveti secolari.

Questa si chiama pulizia etnica pianificata e noi la osservavamo crescere
con orrore, cercavamo di denunciarla ma presto anche noi, come i
palestinesi, siamo diventati invisibili, censurati dai telegiornali della
Rai e delle reti berlusconiane, in ugual modo. Si sono ripetuti i leit
motive che ancora adesso si ripetono e le terribile censure. Nonostante
siano stati gli stessi palestinesi e israeliani ad aprirci gli occhi sul
fatto che le proposte di Barak non erano affatto “generose” ma umilianti,
proprio in virtù del fatto che trattavano di percentuali non sul totale dei
territori, ma di una percentuale di una parte, per cui, dire che ai
palestinesi toccava il 78% significava dire il 78% del 22% della Palestina
storica dove gli israeliani avevano già avuto, con una cruenta guerra di
occupazione e la cancellazione di centinaia di villaggi arabo-palestinesi,
un buon 52% o giù di lì. Inoltre anche uno stupido comprenderebbe che non è
pensabile uno stato senza confini propri, senza risorse idriche, senza
continuità territoriale, senza il diritto al ritorno della sua gente resa
profuga o senza la sua capitale al-Quds, la Santa, secondo il nome arabo di
Gerusalemme che è città araba cosmopolita, con la sua medina che da sempre
ospita tutte le altre religioni, con i suoi quartieri arabo, armeno,
ortodosso, ebreo, cristiano. Eppure gli ebrei sono stati gli unici a volere
di più e a espandersi all’interno di un luogo geografico, culturale e
religioso delimitato. Hanno ottenuto di spianare l’area davanti al muro del
pianto e di recarsi a pregare. Ma loro vogliono di più, vogliono distruggere
la moschea perché credono che sia un loro diritto costruirci il tempio
perduto così come dice la Bibbia. Ma il problema non sono gli ebrei
ortodossi che vivono nel quartiere ebraico. Il problema sono i coloni che si
aggirano armati per i luoghi santi fomentati dalla boria di Ariel Sharon che
dopo aver espropriato (rubato) una casa palestinese ha esposto per tutta l’
altezza dell’edificio la bandiera con la stella di David dando l’esempio
perché altre case palestinesi fossero occupate abusivamente con la violenza.

Una politica di annientamento che non si è fermata fino all’impennata di
questi giorni. Una svolta annunciata perché tutti sapevamo che l’America
stava solo prendendo tempo e che prima o poi avrebbe dato carta bianca a
Sharon come tante altre volte del resto. Quello che non  ci aspettavamo
forse è che il semaforo verde avrebbe riguardato ogni genere di violazione
dei diritti umani, un uso talmente eccessivo della forza sulla popolazione
civile da poter essere nominato solo con una parola: genocidio. C’erano già
stati per tutta la seconda Intifadah azioni da parte dell’esercito di Sharon
che avevano portato gli stessi ebrei a parlare di nuovo nazismo, quegli
stessi ebrei che si erano recati alla conferenza di Durban sul razzismo
impugnando cartelli molto eloquenti: Zionism=Nazism=Racism e che non era
piaciuta all’amministrazione filo-sionista di Bush. Tuttavia ancora i
palestinesi potevano manifestare la loro rabbia al mondo e il loro dolore
seppellendo i morti, potevano nutrirsi di poco ma uscire dalle loro case nei
campi profughi, potevano organizzarsi con associazioni democratiche e
lavorare con speranza al consolidamento delle istituzioni locali per l’
istruzione, la sanità ecc. Ora non solo devono convivere giorni e giorni con
i loro morti insepolti, non solo Sharon ha raso al suolo tutto ciò che era
“palestinese” a livello pubblico, civile, politico ma queste azioni dell’
esercito hanno aperto un solco insormontabile, una ferita che non si
rimarginerà. La violenza israeliana sui palestinesi ha rotto per sempre il
legame di fiducia che pur continuava a esistere. Ma non mi riferisco alla
banale dicotomia tra ebrei e arabi. Mi riferisco a un altra separazione: tra
chi chiedeva una soluzione di pace giusta e duratura e chi ha appoggiato il
criminale Sharon, la criminale politica degli Stati Uniti, il silenzio
complice dell’Europa. Se Genova ha cambiato la vita degli italiani la
Palestina ha cambiato il mondo. Per questo il suo articolo non solo non è
piaciuto ma è stato giudicato da tanti almeno irresponsabile. Avere ancora
il coraggio di nascondere questo obbrobrio dietro la giustificazione che
Israele deve difendersi è poco onesto, mi consenta. Ma vorrei aggiungere...

Un giorno un signore di un villaggio a sud di Hebron mi ha raccontato come
ogni giorno tentasse di raggiungere il posto di lavoro in Israele, come
venisse puntualmente arrestato al termine della giornata lavorativa, che
perciò non gli veniva retribuita e come i soldati lo portassero nella
caserma  più lontano da casa.  A volte spariva per dei giorni senza che i
suoi familiari sapessero nulla di lui perché spesso veniva ri-arrestato
sulla strada di rientro. Una famiglia di 12 persone da sfamare, una
umiliazione quotidiana e infine, mi disse, posso scegliere solo se andare a
rubare ad altri poveri o arruolarmi con Hamas.

E Hamas di fatto ha accresciuto le sue fila, per tante ragioni che tu Lerner
non immagini. Intanto la religione non centra nulla mentre invece centra
molto la frustrazione, il dolore, la coscienza politica che Israele ha
nascosto dietro la sua diplomazia il progetto etnico di cancellazione dell’
identità araba della Palestina. Quelli che chiamiamo kamikaze, con una
parola che i palestinesi non comprendono, perché per loro si tratta di
martiri cioè di persone che finiscono uccise dall’occupazione militare sia
che siano coinvolte in azioni di assalto, di difesa o che siano vittime
innocenti dei bombardamenti o dei cecchini, sono persone come noi, come lei
e come me. Persone che hanno perduto tutto, che come accadde ai nostri
partigiani comprendono con lucidità che qualcosa bisogna fare e questo
“qualcosa” deve essere fatto perché a rischio c’è l’esistenza stessa di un
popolo che, le ricordo, soffre di persecuzioni da 54 anni.

Questo “qualcosa” l’avremo dovuto fare noi come società civile, come Europa,
rispondendo per tempo agli appelli che arrivavano dalla società civile e
democratica palestinese così come dagli stessi militanti dei gruppi politici
per non parlare dei pacifisti israeliani. Chiariamo un altra cosa che i
giornalisti da salotto non comprendono. Il popolo palestinese è un popolo
fortemente politicizzato per cause di forza maggiore. A differenza di altri
popoli che sono stati annientati nel silenzio come i kurdi (anche se mi
auguro non del tutto), i palestinesi hanno avuto la capacità di riunirsi,
discutere, organizzarsi. Questo è avvenuto sia sul piano istituzionale che
con la creazione di ospedali, servizi, scuole ciascuno conformemente al suo
programma politico. Anche Hamas è nato come movimento politico. Ogni gruppo
costituisce una forza politica con precise caratteristiche e non c’è
palestinese che non si interessi di politica e simpatizzi con un gruppo.
Dire che uno è di Fatah o di Hamas significa dire che è vicino a quell’area
politica non che è un terrorista. C’è differenza tra simpatizzanti,
militanti, gruppi politici e gruppi armati per la liberazione della
Palestina. Per tanto tempo i partiti islamici si sono scontrati con i gruppi
laici di sinistra ma, fatto nuovo, questa seconda Intifada ha visto due
nuovi fenomeni. Da un lato manifestazioni di protesta congiunte tra sinistre
e destre islamiche (e quando dico islamiche non dico fondamentaliste dico a
sfondo religioso, altrimenti dovremo riconoscere che 40 anni di governo DC
in Italia hanno significato fondamentalismo) e da un altro lato la creazione
di gruppi paralleli di combattenti. A questi si sono aggiunti ulteriori
gruppi combattenti estremisti (una stretta minoranza) che vivono in
clandestinità, usciti l’altro ieri dalle carceri israeliane dove erano stati
rinchiusi durante la prima intifadah spesso per il reato di aver tirato le
pietre nelle manifestazioni. Ho conosciuto uno di loro, un militante delle
Brigate Martiri al-Aqsa (Barghouti non centra nulla, credetemi). 29 anni, 9
anni passati in carcere dove si è anche laureato in giurisprudenza. Una
persona braccata che non può stare ferma nello stesso posto più di 15 minuti
e così è stato. I collaborazionisti aiutano gli israeliani a scovare quelli
come lui che ricevono in risposta un missile. Praticamente è già morto. Nei
suoi occhi ho visto qualcosa che non avevo immaginato esistesse: un dolore e
una tristezza tali da non poter nemmeno immaginare l’orrore che l’aveva
potuta generare. “Qualcosa accadrà, il mondo capirà che quello che ci fanno
è atroce e siccome il mondo è sordo noi facciamo l’unica cosa che ci è
rimasta da fare: morire con dignità per dare speranza a quelli che restano,
la speranza che oltre questo dolore ci sarà la pace”. Non era religioso,
tutt’altro. Il suo corpo però era piagato dai segni delle torture ricevute
in carcere fin da quando era poco meno che ventenne. Esperienza che
centinaia di palestinesi condividono senza contare i bambini, i ragazzini
tra i 14 e i 17 anni, incarcerati nelle prigioni israeliane insieme ai
delinquenti israeliani comuni... e non aggiungo altro. Questi gruppi che
portano avanti una lotta senza limite con lo scopo di far cessare l’
occupazione militare israeliana e poter liberare la Palestina stanno a lato
dei gruppi politici e non centrano nulla con i leader. Marwan Barghouti non
ha mai avuto altro che parole di estrema onestà e lugimiranza politica. Ha
fatto di tutto per avvertire la comunità internazionale che l’Intifadah non
si sarebbe fermata (e così è stato) e non perché lo decideva lui ma perché
lui ne comprendeva le ragioni storiche e politiche. Ora è di nuovo braccato
e gli israeliani lo vogliono uccidere, dopo averci provato con degli
avvertimenti che hanno letteralmente “bollito” a suon di missili le sue
guardie del corpo, così, tanto per dargli un avvertimento e dopo essere
penetrati in casa sua, aver picchiato sua moglie e messo la bandiera
israeliana sul tetto. Ma la ragione del perché Israele vuole uccidere
Barghouti sta nel fatto che lui è un leader politico, popolare come si
autodefinisce, cioè un possibile interlocutore di pace e Israele nella
persona del sanguinario Sharon non vuole la pace. Questo non lo dico io ma
gli stessi israeliani: con Sharon non avremo mai la pace, ripetono da tempo.

Fortunatamente con Arafat c’è un ebrea cittadina israeliana. Si chiama Neta
Golan e propongo una petizione perché il Nobel dato a Peres venga revocato e
consegnato a lei.

Peccato Lerner che nessuno ti abbia informato di questo particolare o forse
lo ritieni ininfluente, forse che potrebbe smontare il castelletto della
lotta difensiva contro il terrorismo. Credimi il terrorismo peggiore che la
nostra epoca si trova ad affrontare è quello di stato e quello Israeliano in
primis dato che, insieme a quello americano, ci sta trascinando in quello
che un anziano ebreo ha chiamato il Quarto Reich.

Tu che sei tanto scandalizzato dal fatto che qualcuno dia la propria vita
per una causa dovresti chiederti perché ci sono persone che invece che stare
a casa a seguire la guerra in Tv comodamente seduti a sentire un moralismo
vecchio stampo in questo momento rischiano le loro vite nei campi profughi
di Betlemme. Non turbano anche loro la tua visione pulita e semplicistica
del mondo dove rischiare la vita per un ideale è incredibile? La Palestina è
stata trasformata in una terra di martirio da tempo. Cosa credi che pensi
quella donna palestinese immortalata da un fotografo mentre cammina con
dignità per le strade di una Betlemme distrutta e ridotta a un cumulo di
macerie sotto coprifuoco... Pensa che la sua vita vale meno della sua
dignità, che quella è casa sua e che tutti i carri armati di Sharon possono
ucciderla ma non togliergli la dignità.

I nostri giornalisti sono scappati da Betlemme quando hanno compreso, ma non
denunciato, che per i soldati israeliani non ci sarebbe stato alcun rispetto
dei luoghi santi, proprio come i nazisti, ma i pacifisti restano, non se ne
vanno, non si lasciano addomesticare. Sono pochi purtroppo e ormai è troppo
tardi. Sharon ha già sentito l’odore del sangue palestinese, la gente lo
teme, i vecchi profughi scampati dagli eccidi del 1948, 1967, 1953 e via
andando non alzano neanche un lamento. Gaza tace in attesa di altre bombe
sui profughi e di altre deportazioni. Il silenzio è totale perché loro sanno
cosa significa fronteggiare le milizie terroriste di Sharon. Che Dio ci
aiuti perché l’Europa è ancora ferma ai blocchi di partenza e la società
civile si è mossa troppo tardi. Non so cosa si potrà fare ma so quali
saranno i risultati: nessuno potrà mai essere giustificato di questo
genocidio che purtroppo giustificherà a sua volta qualunque altra cosa.

Arafat ha avvertito quando voleva andare a Beirut ma il mondo ha preferito
restare schiavo dei criminali della terra. A dicembre avevamo già perso l’
ultimo treno. Arafat aveva ottenuto un cessate il fuoco unilaterale da parte
palestinese, incondizionato. Per imporlo alla sua gente aveva usato il pungo
di ferro. Ho visitato negli ospedali di Gaza i civili militanti di Hamas e
del PFLP (i comunisti) feriti dalla polizia di Arafat durante le proteste
contro l’occupazione e mi hanno detto che il popolo palestinese doveva
evidentemente passare anche questo. La guerra civile che le richieste
americane intendevano scatenare non c’è stata. Hamas ha mostrato ancora una
volta la sua lungimiranza politica. Arafat ha convinto il suo popolo, ancora
una volta, che una strada di pace poteva aprirsi. Tutti i gruppi politici e
i combattenti alla fine hanno accettato il cessate il fuoco e rispettato l’
ordine di Arafat di non rilasciare comunicati ufficiali in cui si
inneggiasse a una qualche forma di lotta. Il più lungo cessate il fuoco
senza attentati, senza assalti alle postazioni  militari, senza uno sparo,
senza una pietra. In questo lasso di tempo (un mese e mezzo effettivo) in
cui si sarebbe dovuta muovere la politica si sono mossi i carri armati
israeliani con le loro demolizioni delle case nel sud della striscia di Gaza
con l’uccisione di tanti palestinesi colpevoli di esercitare il diritto al
movimento in un area che è intervallata da continue aree militari. L’ultimo
dell’anno è stato indimenticabile per i cittadini di Gaza: il 31 dicembre
2001 ci sono stati 6 morti, in un giorno solo, assassinati senza che
stessero compiendo azioni di attacco. Due corpi sono stati restituiti
mutilati dopo 4 giorni. Le dichiarazioni informali dei vari gruppi politici
(Hamas, Jihad, PFLP, Fatah, Tanzim, Brigate al-Aqsa) attendevano gli
sviluppi della politica. Mi chiedevo e chiedevo loro quanto sarebbe durato
il cessate il fuoco palestinese con tutti questi omicidi da parte
israeliana, per non parlare delle vendette con la demolizione delle case,
molte delle quali appartenenti a persone militanti di Hamas, fatte saltare
in aria con il tritolo a Beit Hannoun, nel nord della Striscia di Gaza.
Durerà quanto durerà dicevano. E alla fine Arafat non ha incontrato il
sostegno internazionale che meritava e la sua azione di reprimere la lotta
all’autodeterminazione del suo popolo è stata inutile, ha convinto molti che
le strade politiche erano chiuse e dato cosa succede oggi, (non si riesce
neanche a fare allontanare i soldati dalla piazza della Natività, non si
riesce neanche a fare passare i medici della Croce Rossa - altro che
Taleban!), avevano in fondo ragione. Non c’era e non c’è la volontà politica
di far rispettare i diritti elementari del popolo palestinese.

Tu Lerner potresti fare almeno una cosa zen: tacere, perché con la tua
cinica disinformazione, con il tuo continuo cercare la medietà , censurando
continuamente le atrocità che Israele sta commettendo, tu dicevo, rischi di
farti complice. Stai un attimo in silenzio, ascolta le voci che arrivano
dalla chiesa della Natività dove non ci sono terroristi ma uomini di tutte
le età che combattono per la libertà, persone che un domani mureranno i
fucili nei muri delle loro case e torneranno a essere quello che erano:
negozianti, insegnanti, lavoratori, intellettuali.

Diamo al popolo palestinese la possibilità di vivere liberi nella loro
terra, di andare al mare o in discoteca come fanno gli israeliani tutti i
giorni nei loro confini protetti dall’esercito dove ogni tanto giunge un
martire dall’inferno dei TPO per chiedere il conto. Chi semina vento....
raccoglie tempesta.

E la tempesta si sta levando e rischia di travolgere tutto comprese le
speranze di una sicurezza reale per Israele dentro i confini del 1948. Se
questi confini erano una questione spinosa che poteva essere superata solo
con un pieno riconoscimento dei crimini commessi ai danni dei palestinesi
ora la questione si complica. C’è solo da sperare nei pacifisti israeliani
che hanno tessuto forti relazioni con gli arabi a livello civile e umano. Le
loro azioni di protesta, il loro coraggio di scoperchiare la pentola sarà l’
unico deterrente affinché quel riconoscimento di Israele che i palestinesi
avevano firmato a Oslo non venga cancellato. Speriamo che nonostante i
governi israeliani non abbiano mantenuto e rispettato la firma di Rabin a
Oslo, non ritirandosi dai TPO nel 1967, compresa Gerusalemme est e le
siriane alture del Golan, speriamo che proprio questi legami nati sul
terreno in nome della giustizia reggano in futuro. Israele non può fare a
meno di esistere ma non  deve accadere a discapito di un altro popolo e la
strada delle intese politiche è ancora lunga. Di certo i bombardamenti e i
rastrellamenti di questi giorni la rendono ancora più difficile. Ha ragione
Gheddafi solo un pieno riconoscimento di Israele da parte del mondo arabo
attraverso una pacifica convivenza con i palestinesi e i vicini arabi può
garantire la vera sicurezza di Israele.

Comunque, dopo che ti sarai auto oscurato caro Lerner fai una cosa giusta.
Tu che sei giornalista di sani principi recati nei TPO, scegli tu, Gaza,
Betlemme, Nablus, Jenin o magari Hebron dove noterai delle bellissime stelle
di davide disegnate dai coloni e dai soldati sui negozi degli arabi
costretti a chiudere per i porci comodi dei coloni di Brooklin e dintorni.
Prova a esercitare i tuoi diritti, vedrai che il tuo moralismo ne trarrà
giovamento.

Un ultima cosa su Arafat. L’America ha detto che Israele non deve ucciderlo,
quello che dice l’Europa non serve a nulla sul terreno. Tuttavia cosa stanno
facendo i soldati israeliani tenendolo chiuso senza cibo, senz’acqua, senza
finestre, senza soccorso medico? Lo stanno lentamente uccidendo. Una cosa
ancora: lo stanno profondamente umiliando e non perché è prigioniero ma
perché minacciano delle vere e proprie esecuzioni dei suoi uomini molti dei
quali, i più giovani, erano poco più che bambini scampati dai bombardamenti
di Sabra e Chatila e che Arafat ha preso con sé, allevato, istruito dandogli
dignità e lavoro. Non vogliono uccidere Arafat ma garantirgli una morte
lenta, un dolore senza precedenti attraverso il martirio dei suoi uomini,
del suo popolo, del suo sangue palestinese. A Ramallah c’è una grande
speranza: il presidente Arafat e una pacifista ebrea israeliana tenuti sotto
il tiro dei carri armati di Sharon: fosse per loro due sarebbe pace e
giustizia anche domani.

grazie per l’attenzione

firmato appello_palestina