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storia del movimento pacifista italiano (1981-2001)
Da Comiso a Genova: storia del pacifismo italiano
1981-2001
(scheda a cura di Reds www.ecn.org/reds)
Il file è tratto da:
http://www.romacivica.net/anpiroma/attaccoagliusa/pacifisti.htm
VENTI ANNI DI MOVIMENTI
PACIFISTI E DI SOLIDARIETA' INTERNAZIONALE ALLE ORIGINI DELLE CULTURE
POLITICHE DEL MOVIMENTO ANTIGLOBALIZZAZIONE
Le culture politiche non nascono nel mondo delle idee, ma in quello
delle esperienze concrete. Più precisamente esse sono il sedimento, i
detriti o i resti, delle lotte e delle organizzazioni degli anni passati.
Ogni movimento che passa cioè, lascia un resto composto da militanti che
resistono al riflusso, riflettono sull'esperienza fatta, tendono a
riprodurre le conclusioni e le modalità di organizzazione cui
l'esperienza compiuta li ha fatti giungere. Possiamo rintracciare
l'origine delle culture politiche prevalenti nel movimento
antiglobalizzazione all'inizio degli anni ottanta, anche se potremmo
partire da lì per risalire ancora più indietro nel tempo.
La lotta contro l'installazione dei missili Cruise. 1981-1983
Nel 1981 il governo Spadolini accettava entusiasticamente
l'installazione a Comiso (Sicilia) di una batteria di missili nucleari
Cruise come richiesto dal programma di riarmo del presidente americano
Reagan. Con l'avvento di Reagan si ripiombò di nuovo in piena guerra
fredda. L'epoca era contrassegnata come si sa dal confronto tra USA e
URSS e da un equilibrio del terrore tra le due superpotenze che si basava
sul convinzione che se una guerra nucleare fosse scoppiata non ci
sarebbero stati sopravvissuti sulla Terra. Questa paura era vissuta a
livello di massa e segnava anche un certo costume (uscita di film e
telefilm catastrofisti, ecc.). Si sviluppò, contro l'iniziativa USA, un
vasto e internazionale movimento di massa che in Italia arrivò come al
solito in ritardo, ma che, come al solito, prese proporzioni molto
superiori a quelle degli altri Paesi. Una serie di iniziative locali (tra
le quali la prima Marcia Perugi-Assisi con apporto di massa) sfociarono
nella grande manifestazione romana del 24 ottobre 1981 a Roma, con mezzo
milione di persone. Nella manifestazione avevano avuto un ruolo dominante
i partiti della sinistra: PCI, DP e PdUP. Il Partito Comunista Italiano
(PCI), seppure declinante a livello elettorale, manteneva ancora intatta
la propria straordinaria forza di mobilitazione, organizzazione e
propaganda. Nessuno poteva immaginare di riuscire a indire una
manifestazione con una partecipazione superiore a qualche decina di
migliaia di persone senza l'apporto del PCI. L'estrema sinistra usciva
terribilmente provata dagli anni settanta. I pezzi sopravvissuti e un po'
logorati si raccoglievano prevalentemente intorno a Democrazia Proletaria
(DP), un partito poco omogeneo, per scelta, e che dunque non riusciva a
determinare una presenza nei movimenti centralizzata e coerente. Il
Partito di Unità Proletaria (PdUP, di cui il quotidiano Il Manifesto era
fiancheggiatore) era più omogeneo, ma sostanzialmente subalterno al PCI
(confluirà poi successivamente in quel partito), mediava continuamente
tra il suo apparato e i movimenti, ed era costituito in sostanza da
militanti-intellettuali, quando invece DP, soprattutto nel Nord Italia,
manteneva un forte impianto operaio. Il PdUP comunque giocò un ruolo non
indifferente nei comitati per la pace, proprio grazie a questa sua
maggiore omogeneità (anche se DP portava più gente alle
manifestazioni).
Dall'autunno 1981 dunque si sviluppò un movimento, anche se con una
autonomia piuttosto scarsa. Nei fatti il suo gruppo dirigente era
fortemente condizionato dalle scelte del PCI. Iscritti al PCI del resto
erano la maggioranza dei militanti dei comitati per la pace che si
costituirono in tutta Italia e che arrivarono a organizzare diverse
assemblee nazionali. Il PCI sosteneva questo movimento, ma al contempo
stava molto bene attento che non uscisse da certi argini e soprattutto da
una certa linea che voleva evitare uno scontro duro con il governo
(imponendogli scelte di disarmo unilaterale). Il PCI si sforzava cioè di
mantenere il movimento nell'ambito di un pacifismo generico che chiedeva
"a tutti" il disarmo, ma chiedendolo a tutti, e non prima di
tutto al proprio governo, nei fatti si disarmava politicamente e si
negava la possibilità di lottare per obiettivi concreti e raggiungibili:
se era infatti difficile, ma possibile, immaginare che il movimento
italiano avrebbe potuto impedire l'arrivo nel nostro Paese di missili
nucleari, era davvero impervio invece immaginare che esso potesse
costituire una forza di pressione in grado di impedire la stessa cosa
negli altri Paesi. Soprattutto quando fu chiaro davanti alla
determinazione governativa che occorreva una salto di qualità nello
scontro con l'esecutivo (ad esempio con l'indizione di un referendum
contro il riarmo), il PCI frenò e lo fece attraverso la forza di cui
disponeva all'interno del movimento. Il movimento, senza parole d'ordine
concrete, piano piano ripiegò.
Nei due anni della sua esistenza di massa però, fecero capolino, un po'
timidamente nuovi soggetti. I pacifisti ad esempio raccolti nella LOC
(Lega Obiettori di Coscienza, con molti attivisti di provenienza estrema
sinistra), nel MIR (Movimento Internazionale di Riconciliazione, di
ispirazione cristiana), nella LDU (Lega per il Disarmo Unilaterale,
vicina ai radicali), ma anche gruppi cristiani (valdesi e più in generale
protestanti, ed anche cattolici soprattutto nel Veneto).
Si tentarono altre manifestazioni nazionali, ma con partecipazione
decrescente (5 giugno 1982, 19 marzo 1983). Con l'approssimarsi
dell'installazione vera e propria dei missili però prese sempre più
piede, insieme al disimpegno del PCI e una certa mancanza di iniziativa
dell'estrema sinistra, la pratica dell'azione diretta non violenta dei
pacifisti radicali, modalità abbastanza sconosciute in Italia. Vero e
proprio laboratorio di questa cultura fu il campo internazionale per la
pace di Comiso: un campeggio nato nell'estate del 1982 e che si trasformò
in permanente (con il nome di IMAC International Meeting Against Cruise):
i militanti italiani vennero così a contatto con i militanti disarmisti
inglesi, tedeschi, ecc. meno legati ai gruppi della sinistra, ma molto
radicali nell'azione e che si proponevano di bloccare fisicamente
l'arrivo dei missili. Portarono anche un modello di organizzazione che
agli italiani parve un po' strano: i "gruppi di affinità",
coordinati da un consiglio degli speaker. Numerosi furono gli episodi di
repressione di questi attivisti, particolarmente cruenta l'aggressione
poliziesca dell'8 agosto 1983. Comunque nulla rispetto a quanto poi si
sarebbe visto vent'anni dopo a Genova. All'epoca però sollevò un certo
scalpore. In un estremo tentativo di bloccare l'arrivo dei missili si
tenne quella che fu, sino ad allora, la più grande manifestazione in
Italia: il 22 ottobre 1983 marciarono a Roma un milione di persone. Ma
anche questa estrema possibilità fu vanificata dalla determinazione del
PCI a non radicalizzare lo scontro, e dalla scarsissima autonomia del
movimento rispetto alle organizzazioni politiche. Nelle assemblee dei
comitati il PCI cominciò a chiedere patenti di "non violenza
strategica" ai presenti in maniera tale da separare l'ala più
radicale e strumentalizzare i settori cattolici che caddero in larga
parte nel tranello.
Il movimento fu sconfitto. Ma lasciò una serie di "sedimenti".
Il primo fu la partecipazione, inizialmente timida di settori cattolici
interni alla Chiesa. Gli anni settanta avevano conosciuto il fenomeno
delle Comunità di Base (che si impegnarono comunque a fondo nel
movimento), ma che si collocavano per lo più al di fuori delle strutture
della Chiesa. Nel movimento per la pace invece si muovevano settori
legati alle parrocchie. La "lotta per la pace" in buona
sostanza, dopo l'abbandono di questo terreno da parte dell'estrema
sinistra e del PCI, rimase per un lungo periodo in mano a loro, e da quel
periodo nacque una certa diffidenza di questi settori nei confronti delle
organizzazioni della sinistra, del loro tatticismo, della loro radicalità
ideologica unita ad una certa moderazione nell'azione. Il PCI dette vita
a un piccolo apparato chiamato Associazione per la Pace, dove trovarono
soprattutto rifugio militanti di una particolare corrente del PCI, quella
ingraiana, ma che, pur disponendo di larghi mezzi, si ritagliò un ruolo
di "lobby pacifista", di pressione sulle istituzioni, senza
investire sul serio nell'organizzazione di movimenti. Nell'apparato del
PCI (che allora contava migliaia di persone) alcuni funzionari vennero
distaccati a occuparsi "di pace", e lo stesso accadde nell'ARCI
(all'epoca controllata dal PCI) e nella CGIL. Una serie di associazioni
indipendenti presero nuovo alimento, oltre a quelle già citate ricordiamo
lo SCI (Servizio Civile Internazionale). E' in questa epoca che prende
forma quella che venne chiamata "cultura della pace".
Il movimento di solidarietà verso i popoli oppressi 1980-1990
Il 1979 è stato per l'America Latina quel che il '68-'69 è stato per
l'Italia: l'inizio di un periodo di ascesa impetuoso delle lotte che
impose la fine dell'oscura fase storica dominata dalla dittature: gli
scioperi brasiliani che poi portarono alla nascita del PT e quindi della
CUT, la rivoluzione sandinista, il drastico rafforzamento delle
guerriglie in Salvador e Guatemala e negli anni successivi la caduta
delle dittature argentina, boliviana, la crisi di quella cilena, ecc.
Quegli stessi anni però segnavano contemporaneamente il riflusso dei
movimenti politici di contestazione in Europa, ed anche in Italia. Per
cui, per molti militanti scontenti dell'esistente, l'America Latina
costituì una "riserva di speranza" per attraversare gli anni
bui e si dedicarono così alla solidarietà nei confronti dei processi
rivoluzionari che là si svilupparono. Questa solidarietà crebbe in
maniera proporzionale alla repressione sanguinaria di quelle esperienze
portata avanti dall'amministrazione Reagan. In quegli anni la
controrivoluzione finanziata apertamente dagli USA provocò nella regione
più di centomila morti, massacri di intere popolazioni, decine di
migliaia di scomparsi.
Tra il 1981 e il 1982 sorsero un po' in tutta Italia dei comitati di
solidarietà con il popolo del Nicaragua, comitati Salvador, e poi
successivamente riviste e bollettini (Amanecer, Quetzal, Nicarahuac,
ecc.). Nacque in questo periodo anche l'Associazione Italia-Nicaragua,
che dal 1982 organizzò con regolarità campi di lavoro e di solidarietà in
Nicaragua che portarono migliaia di persone a contatto diretto con una
rivoluzione. Il suo numero di iscritti non era alto (2000 nel 1986), ma
influenzava una vasta area. Il più alto momento di mobilitazione rimase
la manifestazione nazionale di Bologna del 13 marzo 1982 in solidarietà
con il Salvador e che portò in piazza 50.000 persone. Colpivano di questi
processi rivoluzionari l'impostazione scarsamente ideologica delle
guerriglie, il pieno coinvolgimento di settori cristiani, l'autonomia dai
cosiddetti Paesi socialisti, la presenza delle donne, l'attenzione data
alla partecipazione popolare. Indignava anche la smaccata repressione
statunitense.
Nella prima metà degli anni ottanta una serie di ong (organizzazioni non
governative) di ispirazione cattolica, rafforzatesi grazie a
finanziamenti governativi a favore della cooperazione internazionale,
inviarono migliaia di cooperanti e volontari (che permanevano sul posto
diversi anni) in tutta l'America Latina. Diversi attivisti che oggi sono
impegnati nella solidarietà con il Movimento Sem Terra ad esempio,
provengono da quella esperienza. Più ancora che nel movimento per la pace
qui fu più nettamente evidente l'apporto cattolico, anche se spesso, alla
base, con una scarsa demarcazione con l'estrema sinistra. All'epoca
infatti un cattolico che si radicalizzava ben raramente si trovava a
proprio agio nel PCI. In questo movimento di solidarietà ebbero un ruolo
molto attivo diverse congregazioni missionarie. Molti dei classici
"gruppi di appoggio" alle missioni da sempre presenti nelle
parrocchie, subirono un processo di rapida evoluzione e politicizzazione,
a contatto con l'esperienza diretta di missionari che vivevano là una
realtà di ascesa delle lotte e della resistenza popolare che in qualche
modo li segnò. Una serie di riviste di area come Nigrizia, il Sial,
Missione Oggi, furono influenzate in maniera evidente dalla Teologia
della Liberazione, una corrente teologica estremamente radicale che aveva
conquistato anche una fetta della gerarchia ecclesiastica
latinoamericana, soprattutto in Brasile.
Dalla seconda metà degli anni ottanta anche le confederazioni sindacali
si impegnarono su questo terreno. Promossero progetti di cooperazione,
soprattutto con realtà sindacali latinoamericane, crearono dei propri
dipartimenti e, infine, delle proprie ong. A volte le finalità erano
scarsamente cristalline (aiutare le componenti più moderate del
sindacalismo latinoamericano), altre volte però in quell'ambito trovarono
"rifugio" militanti e funzionari sindacali scontenti della
linea portata avanti in Italia dai gruppi dirigenti.
Questo decennio, senz'altro il più "internazionalista" della
storia d'Italia, vide il sorgere anche di altri movimenti di
solidarietà.
Nel 1985 con la proclamazione dello stato di emergenza in Sudafrica, il
regime dell'apartheid, che segregava in quel Paese la maggioranza nera,
calamitò l'attenzione di molti attivisti. Si creò una rete di comitati di
solidarietà che svolse un lavoro di controinformazione e boicottaggio dei
prodotti sudafricani. Altri comitati sorsero dopo che nel novembre 1987
ebbe inizio l'intifada palestinese, un movimento che attirò l'attenzione
di molti giovani che si erano radicalizzati con il movimento dei medi del
1985 (era l'epoca in cui divenne di moda portare la Kefiah), e che ebbe
un grosso momento di verifica nella manifestazione nazionale dell'11
febbraio 1989 a Roma di solidarietà con la Palestina.
Le lotte dei popoli, e che avevano come controparte l'amministrazione
reazionaria di Reagan, aveva riattivato organismi che non si dedicavano
in modo specifico alla resistenza di un singolo popolo: ad esempio la
Lega per i diritti dei Popoli, Amnesty International, l'Associazione per
la Pace (particolarmente impegnata sulla Palestina). Su questi temi
inoltre si impegnavano anche gli organismi cattolici in maniera sempre
più consistente, e così, presto, si scatenò la repressione della
gerarchia ecclesiastica: nel 1987 venivano allontanati da Nigrizia e
Missione Oggi i loro direttori: Zanotelli e Melandri.
Nella seconda metà degli anni ottanta divenne abbastanza tipico mettere
tutte queste lotte in unico calderone: Sudafrica, Centroamerica,
Palestina, disarmo, ecc. con momenti di incontro comuni. L'11 aprile del
1987 ad esempio si tenne a Verona un'assemblea di tutti gli organismi di
solidarietà contro Reagan e per il diritto dei popoli, che decise per il
6 giugno una manifestazione a Venezia in concomitanza con la riunione del
G7.
Verso la fine degli anni ottanta però il movimento andò indebolendosi.
Sul fronte America Latina la "guerra di bassa intensità"
condotta dagli USA aveva seriamente indebolito la rivoluzione
centroamericana: la direzione sandinista faceva scelte sempre più
moderate (accordi di Esquipulas) rifiutandosi di approfondire gli aspetti
progressivi della rivoluzione (blocco della riforma agraria, ecc.) sino
ad arrivare nel dicembre 1989 agli accordi di San Isidro in cui si
"pugnalava alle spalle" la guerriglia salvadoregna. Pochi
giorni dopo gli USA invadevano Panama. Questi compromessi non servirono a
salvare i sandinisti che persero le elezioni del febbraio 1990.
Contemporaneamente anche le altre guerriglie centroamericane si trovarono
indebolite e cominciarono a pensare ad una sorta di resa concordata.
Questi fatti e la sconfitta di Lula alle presidenziali del dicembre 1989
in Brasile segnò la fine di un decennio magico per l'America Latina e
l'inizio di un periodo di riflusso che perdura tuttora. I finanziamenti
ai progetti di cooperazione in Italia vennero tagliati per una serie di
scandali e dunque diminuì seccamente il numero di persone che andavano
nei Paesi del Terzo Mondo in progetti di solidarietà. Tutto ciò, unito
all'affievolirsi dell'intifada e al processo di negoziazione che ebbe
inizio nel 1990 in Sudafrica, spinsero gran parte della militanza
internazionalista sulla strada della delusione e del disimpegno, ed è
questa la principale ragione della debolezza nella risposta alla guerra
che sarebbe scoppiata da lì a pochi mesi nel Golfo.
Il movimento contro il nucleare 1985-1987
Una serie di eventi catastrofici (ad esempio Bhopal, dicembre 1984)
dal punto di vista dell'impatto ambientale fecero sì che i temi ecologici
conquistassero un interesse di massa a metà degli anni ottanta. In Italia
comunque piccoli gruppi già da anni conducevano battaglie di minoranza
contro l'energia nucleare, appoggiati però solo dall'estrema sinistra,
dato che il PCI aveva una posizione seccamente filonucleare. Su questo
terreno comunque una serie di organizzazioni che erano state create dal
PCI, come ad esempio la Lega Ambiente, acquisirono un profilo autonomo, e
lo stesso fece, in anni in cui la crisi del PCI progrediva lentamente ma
inesorabilmente, anche la sua organizzazione giovanile, la FGCI. A Roma
il 20 aprile 1985 si tenne una manifestazione nazionale contro il piano
nucleare del governo promossa da Lega Ambiente, preceduta da numerose
iniziative locali (Trino Vercellese, Saleto, ecc.) contro i progetti di
costruzione di centrali elettriche (a carbone o nucleari) portati avanti
dall'ENEL. Durante le amministrative di quell'anno si presentarono le
"liste verdi", con modalità che segnarono l'esistenza di questo
raggruppamento politico anche in futuro: fu una decisione di un piccolo
ceto politico, spesso riciclato opportunisticamente da altre esperienze,
e che avvenne al di fuori e spesso fuori dal movimento (contrariamente ad
altri Paesi, come la Germania, dove spesso i verdi erano espressione
politica del movimento).
Quello che si definì "il popolo inquinato" ricevette una
poderosa spinta dall'incidente della centrale ucraina di Chernobyl (26
aprile 1986) che diffuse radioattività in tutta Europa: la manifestazione
nazionale a Roma del 10 maggio 1986 vide la partecipazione massiccia di
giovanissimi e la forte presenza anche di organismi sino ad allora non
propensi alla mobilitazione di massa, come il WWF. A maggio partiva la
campagna per i tre referendum abrogativi tesi a impedire l'esistenza del
nucleare in Italia, promossa da Verdi, FGCI, DP, ecc. ma non dal PCI.
Anche la CGIL (allora sotto il pieno controllo del PCI e in parte del
PSI) faceva muro contro, nonostante che in molte istanze di base
l'opzione antinuclare godesse di ampie simpatie. I quesiti referendari
raccolsero in poco tempo un milione di firme (con merito prevalente,
sotto l'aspetto organizzativo, di DP) e fecero vacillare il fronte
nuclearista, PCI compreso, che a settembre chiedeva l'"uscita dal
nucleare", anche se in maniera non completa (voleva il mantenimento
del "presidio tecnologico" della centrale nucleare di Montalto
di Castro). La battaglia contro il nucleare civile calamitò anche le
forze pacifiste (ormai quasi esclusivamente composte da gruppi di
ispirazione cristiana) che unirono la lotta al nucleare militare con
quella al nucleare civile. Il 30 ottobre 1986 30.000 cattolici del
Triveneto firmatari dell'appello Beati i Costruttori di Pace (e che negli
anni successivi evolse in un organizzazione) manifestarono contro il
nucleare, contro i "mercanti di morte", contro l'apartheid e
per l'obiezione fiscale alle spese militari.
Ebbero poi inizio tutta una serie di manifestazioni e azioni dirette
contro le centrali nucleari esistenti o in costruzione: quelle del 10
ottobre riuscirono a bloccare i cantieri delle centrali ENEL a Montalto
di Castro, Trino Vercellese, Viadana, Caorso; il 16 e il 18 ottobre si
tennero grandi manifestazioni di giovani a Napoli e a Milano; il 25
ottobre 1986 una manifestazione nazionale unì temi pacifisti ed
antinucleari; il 26 aprile 1987, a un anno da Chernobyl, una catena umana
unì la centrale di Caorso all'aeroporto militare di San Damiano a 25 km.
Si formarono molti gruppi militanti Lega Ambiente e WWF, collettivi
ambientalisti, mentre i Verdi capitalizzavano nelle politiche del 1986, a
livello elettorale, la spinta del movimento, a spese anche di un PCI che
si dedicava a manovre di vario tipo tese a scongiurare i referendum. Nel
novembre 1987 si tennero i referendum, che videro una schiacciante
vittoria del fronte ambientalista. Era la prima volta che un movimento di
massa esisteva, e addirittura vinceva, senza l'apporto del PCI.
L'opposizione alla Guerra del Golfo 1990-1991
Per comprendere la dinamica particolare delle reazioni alla guerra
del Golfo dobbiamo fare una piccola premessa sulla rivoluzione degli
equilibri interni alla sinistra tra la fine degli anni ottanta e l'inizio
degli anni novanta. Per quanto riguarda l'estrema sinistra essa aveva
subito un processo di rapida semplificazione: il PdUP era confluito nel
novembre 1984 nel PCI, la Lega Comunista Rivoluzionaria (che aveva avuto
un certo ruolo nei movimenti di solidarietà, oggi nel PRC come area
programmatica Bandiera Rossa) era confluita in DP prima che essa stessa
confluisse nel Movimento per la Rifondazione Comunista (poi PRC) tra
maggio e giugno 1991. Il PCI fu scosso da una profonda crisi dovuta alla
svolta della Bolognina impressa dal suo segretario Occhetto. I suoi
militanti, sia quelli allineati che quelli critici, tra il 1989 e il 1991
furono totalmente assorbiti dalle questioni interne al loro partito. Nel
febbraio del 1991 si consumò la scissione: da una parte rimase il PDS
(poi DS) e dall'altro quello che diverrà il PRC. I pezzi sopravvissuti
dell'area dell'Autonomia operaia (distrutta alla fine degli anni
settanta) ebbero un qualche ruolo nelle mobilitazioni antinucleari del
triennio '85-'87. Si trattava comunque di una Autonomia ben diversa da
quella del '77: per semplificare in maniera estrema è come se fosse
sopravvissuta solo la sua ala moderata, quella, per intenderci, contraria
all'uso delle P38, anche se ben disposta, entro certi limiti, nei
confronti di fenomeni di radicalità di piazza. Un'area dunque prudente,
attenta ai dati del politico (molti sono stati tentati dall'esperienza
del PRC), con un maggior radicamento sociale. Alla fine degli anni
ottanta però era ancora debole e con prospettive confuse.
Movimenti e aree politiche ebbero un po' di rifornimento energetico
grazie alla miniradicalizzazione giovanile che si verificò tra il 1985 e
il 1990. Nel 1985 scoppiò il movimento dei medi che lottavano contro il
degrado della scuola pubblica. Molti di loro li ritroveremo poi,
cresciuti, nelle proteste universitarie della Pantera, un movimento di
occupazione contro la privatizzazione che iniziò nel dicembre 1989, ma
che si era già esaurito nel marzo dell'anno successivo.
Come si vede dunque a metà del 1990 ci si trovava con i movimenti di
solidarietà stanchi e sconfitti, con una serie di apparati politici in
crisi e in via di "dismissione", con studenti in disarmo. Si
erano manifestati nuovi fenomeni di dissenso sindacale di massa (nel 1987
sorsero i comitati di base della scuola), ma certo nel 1990 non avevano
nemmeno un decimo della loro capacità di mobilitazione di due anni prima.
E' questo clima che spiega la ragione per cui un fatto senza precedenti
come l'entrata in guerra del nostro Paese, abbia suscitato reazioni tutto
sommato così deboli.
Il 2 agosto 1990 l'Iraq invase il Kuwait. Quattro giorni più tardi l'ONU
decise il blocco totale (embargo) nei confronti di quel Paese. Era la
premessa da parte degli USA per preparare e giustificare la guerra, di
cui aveva bisogno per riaffermare il dominio imperiale nella regione
strategica del petrolio. A favore dell'invio delle navi italiane votarono
anche il PCI (con l'esclusione della sua sinistra interna) e parte dei
Verdi. La residuale estrema sinistra era ovviamente contraria, ma molto
isolata nella sua richiesta di ritiro unilaterale delle navi italiane.
Anche gran parte del pacifismo era disorientato, perché disarmato
politicamente ad affrontare una simile questione: aveva per anni
sostenuto che l'ONU doveva risolvere i conflitti, ora invece l'ONU
preparava una guerra, invocava una pace generica priva di obiettivi
concreti, visto che si negava la possibilità di incidere su quelli più
raggiungibili, ovvero il ritiro dei militari italiani. La Marcia
Perugia-Assisi di quell'anno fu caratterizzata da questa impostazione
equidistante tra USA e Iraq, che creava un clima di delega nei confronti
dei potenti, perché risolvessero loro la situazione.
Il 17 gennaio 1991 cominciarono così i bombardamenti, che furono un vero
e proprio shock, ma che colsero però tutti impreparati: non si era
formata durante quei mesi alcuna rete significativa di comitati, nella
delega più totale nei confronti dell'ONU. Così la reazione fu fortissima,
ma assolutamente improvvisata: nei giorni immediatamente successivi ai
bombardamenti scesero in piazza in tutta Italia centinaia di migliaia di
persone, seguendo l'appello di chiunque proponesse la mobilitazione (a
Milano ricoprì questo ruolo, sostanzialmente, DP). Poi, sempre nella
disorganizzazione e nell'assenza di costruzione di strutture di
mobilitazione, subentrò un clima generale di ansiosa rassegnazione sino
ai primi giorni del marzo 1991, quando l'esercito iraqeno si arrese. Solo
nelle scuole, per merito di tanti insegnanti, si mentenne un clima di
mobilitazione antiguerra permanente. I comitati che qui e lì erano sorti,
e quelli che avevano resistito dal decennio precedente non riuscirono a
coordinarsi, e presto sparirono o ridimensionarono le proprie attività.
Una sconfitta gravissima perché da quel momento il segnale per le classi
dominanti italiane fu chiaro: la potenza militare italiana poteva essere
impiegata ovunque senza grandi opposizioni, come del resto da allora
accadde. Qualche sedimento comunque rimase. A Milano ad esempio sorse il
Comitato per la verità nella guerra del Golfo (poi chiamato Comitato
Golfo), da cui nacquero poi numerose iniziative tra cui l'associazione Un
ponte per Bagdad, e a partire dal 1993 la rivista Guerre e Pace, ecc. E'
in questo periodo inoltre che sorge il movimento delle Donne in Nero da
settori del femminismo, del pacifismo e della sinistra.
Il movimento contro la guerra di Bosnia 1992-1995
L'ascesa del nazionalismo serbo provocò una serie di conseguenze
nella Federazione Jugoslava, prime tra tutte la spinta alla secessione
delle sue parti costitutive; Slovenia e Croazia dichiararono la propria
indipendenza nel settembre 1991, la Serbia diresse una dura guerra in
varie parti della Croazia e dall'aprile del 1992 spostò il suo obiettivo
sulla Bosnia con l'intento di annettersela. La forte e determinata
reazione del popolo bosniaco fece fallire l'intento, dando l'avvio a una
guerra di resistenza destinata a durare sino ai bombardamenti NATO del
1995 che imposero una pace che faceva della Bosnia un territorio sotto
protettorato internazionale. Si trattava del primo conflitto su larga
scala sul suolo europeo dalla fine della seconda guerra mondiale. Eppure
ciò produsse un movimento di solidarietà con quelle popolazioni di
dimensioni vergognose. Le ragioni sono di vario tipo.
La prima ha a che fare con la sconfitta dei movimenti pacifisti e di
solidarietà degli anni ottanta e che a metà degli anni novanta non si
erano certo ancora ripresi. La seconda è dovuta alle difficoltà di natura
ideologica da parte sia della sinistra che del pacifismo radicale.
Molti pacifisti ponevano e pongono come nucleo della propria identità la
nonviolenza. Dunque di fronte ad un conflitto essi vedono come male in
sé, il fatto che esso sia portatore di violenza, e non si pongono quindi,
come prima domanda, dove stia l'oppresso e dove l'oppressore. Dunque di
fronte a dei popoli, come quello bosniaco, che resisteva all'oppressione
anche con le armi, molti di loro si trovarono in forte difficoltà e
dunque si concentrarono su uno sforzo equidistante di dialogo,
pacificazione, "comprensione" tra etnie. Si trattava di una
visione ideologica sovraimposta alle popolazioni locali, e dunque,
contrariamente alla solidarietà portata nei confronti dell'America Latina
del decennio precedente che aveva comportato numerosi contatti con forze
politiche e persone del luogo, in questo caso lo scambio tra attivisti
solidali e popolazione locale fu assolutamente episodico. Le
organizzazioni pacifiste cattoliche furono però, per lo meno, presenti
sul posto, con volontari, attività di solidarietà, ecc. contrariamente
alla sinistra antagonista, assente nella solidarietà per tutto il
conflitto bosniaco. La sinistra pidiessina, attraverso progetti e
iniziative di associazioni a lei vicina, fu presente ma con una distanza
dall'apparato statale italiano che diveniva sempre più ristretto, sino a
sparire quasi del tutto in occasione della guerra del Kosovo. Citiamo
come eccezione positiva i piccoli gruppi che si mossero in sintonia con
la rete Workers Aid for Bosnia, che legava sindacalisti specie del Nord
Europa a sindacati e realtà di base bosniache. Tra costoro era anche
Guido Puletti, che fu assassinato appunto in una di queste azioni di
solidarietà.
Le difficoltà della sinistra erano organizzative e ideologiche. C'era un
nuovo partito, il PRC, nei confronti del quale molti militanti avevano
nutrito forti aspettative. La sua dirigenza, che impresse alla vita
interna dei circoli un andamento e dei costumi "tipo PCI",
provocò un fenomeno che dura tuttora di straordinario (nel senso che ha
pochi precedenti nella storia delle organizzazioni di sinistra nel nostro
Paese) turn-over. Pur essendo il PRC un partito giovane, esistono in
Italia centinaia di migliaia di persone che per un qualche periodo sono
state nel partito e poi ne sono uscite, segno abbastanza inequivocabile
dell'esistenza di uno spazio politico, che però un tal partito non riesce
a soddisfare.
A livello sindacale la fine degli anni ottanta sino alla prima metà degli
anni novanta videro una intensa attività di dissenso dai vertici
confederali, tale da distrarre dai problemi internazionali anche
militanti solitamente attenti. Nel 1987 nasceva il primo fenomeno di
dissidenza di sinistra rispetto i sindacati di massa: i comitati di base
della scuola. Un'esperienza tutto sommato breve destinata però a lasciare
sedimenti organizzativi. Una sua piccola parte che si chiamerà Cobas
evolverà in vera e propria struttura sindacale, seppur piccola, e
sopravviverà agli anni novanta divenendo una delle protagoniste della
lotta al concorsone nel 2000. Nel 1984 nasceva in CGIL la corrente di
opposizione Democrazia Consiliare su iniziativa di DP, che unendosi poi
alla componente dissidente del PCI capitanata da Bertinotti (che si era
differenziata publicamente nel 1988) darà vita nel 1991 ad Essere
Sindacato da cui prenderanno vita tutte le successive reincarnazioni
della sinistra sindacale CGIL, prima Alternativa Sindacale e quindi
l'attuale Lavoro e Società. Tra il 1992 e il 1993 la lotta alla
concertazione dei sindacati maggioritari portò ad una ampia contestazione
di massa che favorì la formazione di piccoli sindacati collocati a
sinistra della CGIL (CUB, Slai Cobas, ecc.).
Tutti questi militanti, politici e sindacali non erano solo
"distratti" per le vicende interne (cui si aggiunse nel 1994 la
lotta contro il governo Berlusconi), ma avevano anche delle difficoltà
politiche nel gestire la loro solidarietà con la Bosnia. In fondo
difficoltà non dissimili da quelle dei settori cattolici: per motivi
diversi da questi ultimi anche loro erano disabituati di fronte ad un
conflitto a prendere una posizione basata sulla domanda: chi è l'oppresso
e chi l'oppressore? I militanti di sinistra erano abituati a
solidarizzare in realtà non con i popoli ma con le loro espressioni
politiche. Se queste erano simpatiche e sufficientemente di sinistra
bene, ma se sfortunatamente questi popoli per varie ragioni storiche non
si erano date espressioni politiche di sinistra non riscuotevano alcuna
solidarietà, pur vivendo situazioni di terribile oppressione. E' la
ragione per cui la resistenza dei tamil, dei guineani, degli aborigeni
australiani, dei ceceni, dei tibetani, ecc. non ha stimolato alcun tipo
di solidarietà, a sinistra. Dato che i bosniaci avevano
maggioritariamente una direzione che non era certo di sinistra, dunque,
nessuna solidarietà ai bosniaci.
Il movimento contro la guerra in Kosovo 1998-1999
Il conflitto in Kosova aveva cominciato a manifestarsi pienamente già
a partire dal 1998. Da parte della sinistra ci fu un atteggiamento simile
a quello della guerra di Bosnia, mentre invece da parte dei pacifisti,
già sperimentati in Bosnia, ci fu intervento attivo seppur con le
modalità che abbiamo già visto nel capitolo precedente.
Quando il conflitto scoppiò in tutta la sua violenza dunque, come al
solito la sinistra fu colta impreparata. In gran parte dei città sorsero
comitati e coordinamenti e si riattivarono vecchie strutture che datavano
dalla guerra del Golfo o addirittura dal decennio precedente.
In questa occasione risorse dalle ceneri una corrente, quella stalinista,
che solitamente si teneva a distanza di sicurezza dai movimenti (ma era
presente con propri strumenti organizzativi e di propaganda nel movimento
contro i Cruise). I militanti di questa cultura, rappresentata del PRC
prima da Cossutta, e dopo l'uscita di questi, da Grassi, e che conta
diverse organizzazioni anche fuori dal partito, avevano conosciuto un
grave disorientamento all'epoca della caduta del Muro di Berlino, poi si
ripresero (per quel che riguarda le attività internazionaliste) a partire
dalla metà degli anni novanta, quando anche tramite l'Associazione
Italia-Cuba organizzavano viaggi di solidarietà in quel Paese (che attirò
comunque l'attenzione solidale di molti altri gruppi, di diverso
orientamento ideologico). Durante le mobilitazioni contro la guerra in
Kosova presero posizioni accesamente filoMilosevic, contribuendo non poco
alla caratterizzazione del movimento in senso antialbanese. Anche a causa
di questo orientamento che rifiutava di combattere allo stesso tempo sia
contro l'intervento NATO che contro la pulizia etnica diretta da
Milosevic, il movimento rimase ultraminoritario e riuscì a mobilitare un
numero di persone incomparabilmente inferiore a quello che aveva
protestato in occasione della guerra del Golfo. Una serie di realtà
comunque, anche se meno chiassose, mantennero insieme all'opposizione
alla guerra anche una netta ripulsa del nazionalismo granserbo: tra
queste le organizzazioni pacifiste, i centri sociali del nord est, un
piccolo settore che faceva riferimento al Comitato di Solidarietà con il
Kosova. Quel poco di mobilitazione comunque presto sparì, e la guerra
terminò con la gran parte degli attivisti smobilitati.
La solidarietà con il Chiapas e l'America Latina 1994-2001
Nel gennaio 1994 l'EZLN uscì allo scoperto. Si rivelò al mondo una
guerriglia ancor meno ideologica di quelle degli anni ottanta, e che
poneva una forte enfasi nel rapporto con la base india. Nel giro di un
paio d'anni, grazie anche a iniziative zapatiste particolarmente aperte e
internazionali (Berlino, Aguascalientes, Spagna), cominciò una sorta di
"turismo politico" da parte di molti giovani in quella regione.
Si trattava di permanenze molto meno organizzate di quelle degli anni
ottanta e forse con un grado minore di consapevolezza, ma aprirono le
porte dell'attività internazionalista ad una parte consistente dei centri
sociali.
Dopo lo sgombero del Leaoncavallo nel 1989 in tutta italia vi fu una
ondata di occupazioni di fabbriche ed edifici abbandonati da parte dei
giovani che si erano radicalizzati negli anni precedenti; fu un processo
gestito da settori provenienti dall'area dell'autonomia, che da questo
momento si rivitalizzò in maniera definitiva, anche se con i cambiamenti
che già abbiamo descritto. I centri sociali si occuparono inizialmente di
antiproibizionismo, di spazi, elaborarono una propria cultura molto
influenzata da quella dei neri USA (suscitò una grande impressione in
questo ambiente la rivolta di Los Angeles del maggio 1992), ma dalla metà
degli anni novanta divenne evidente una sorta di spaccatura tra i centri
sociali. Una parte (tra questi il Leoncavallo e quelli del Nord Est)
avviarono trattative di varia natura con le istituzioni, dettero vita a
operazioni molto disinvolte nei confronti dei partiti, enfatizzarono la
possibilità di ritagliarsi "spazi di libertà", anche dal
lavoro, con molte aspettative riguardo al lavoro autonomo, al terzo
settore, ecc. Altri centri sociali invece, soprattutto del Sud,
mantennero una caratterizzazione più "classica" legata al
lavoro (soprattutto quello precario), alla lotta per la casa, con un
profilo di scontro con le istituzioni, e di diffidenza verso la politica
dei partiti. E' dal primo settore che venne una fortissima spinta alla
solidarietà verso il Chiapas con l'organizzazione non solo di viaggi, ma
anche di progetti autofinanziati, ecc. Da questo lavoro nacque poi
l'Associazione Ya Basta! Teniamo presente comunque che la lotta zapatista
ha riscosso la simpatia di tutti i settori impegnati
nell'internazionalismo, nel pacifismo e nella solidarietà (con
l'esclusione degli stalinisti). Vari gruppi di origine cattolica (ad
esempio la Rete Radie Resch) nello stesso periodo hanno seguito la lotta
dei Sem Terra brasiliani.
Questi diversi settori del resto continuavano a "parlarsi"
seppur in maniera saltuaria. Ricordiamo nel novembre 1994 la convenzione
pacifista a Firenze che riunì di una settantina di organismi locali e
nazionali contro il nuovo modello di difesa (già si parlava di
globalizzazione) e le manifestazioni in occasione del G7 di Napoli
(quello dove Berlusconi ricevette l'avviso di garanzia) dove una rete di
associazioni chiamata Il Cerchio dei Popoli (Comitato Golfo, Cobas SLAI,
FMLU, Beati i costruttori di pace, ecc.) organizzò una sorta di
controvertice.
Il movimento per un consumo critico 1990-2001
Anche se non rientra strettamente nel tema di questo articolo, di
fatto è importante parlare di questo movimento per varie ragioni.
Ad animarlo sono settori di provenienza cristiana, pacifista, ma anche di
"sinistra classica". Spesso si tratta di quei militanti che
cominciarono le loro attività negli anni ottanta, nei movimenti di cui
abbiamo parlato più sopra. Essi reagirono molto meglio dei militanti di
estrema sinistra alla sconfitta: si misero a lavorare sottotraccia,
riuscendo così a coinvolgere sempre nuove generazioni, spesso in uscita
dalle (o dentro alle) parrocchie. Si trattava di una militanza poco
orientata alla manifestazione di massa del dissenso e molto più impegnata
sul terreno dei cambiamenti dello stile di vita quotidiano. Si cominciò
con l'obiezione fiscale alle spese militari, per poi organizzare la
distribuzione e la vendita di prodotti provenienti dal Terzo Mondo a
prezzi equi e solidali. Oggi esistono diverse centinaia di Botteghe del
Mondo con una media di una decina di volontari, e che spesso non si
limitano a vendere, ma promuovono iniziative di sensibilizzazione sul
territorio. E' stata questa la vera attività di solidarietà
internazionale degli anni novanta e quindi rientra a pieno titolo in
questa trattazione.
Varie ong dopo il taglio dei finanziamenti da parte dello stato
riorientarono la propria attività negli anni novanta in quella che
chiamano "sensibilizzazione" sui temi del debito, della fame,
ecc. Tra queste si distinguono Mani Tese, il Centro Nuovo Modello di
Sviluppo, ecc. oltre al mondo legato a diverse congregazioni e alle loro
riviste (Nigrizia, ad esempio) che hanno continuato a mantenere, seppur
con maggior prudenza rispetto al passato, una impostazione radicale.
Questi gruppi si interessano attivamente anche (spesso sommando le
militanze in diversi organismi) di finanza etica, di consumo critico,
ecc. Un'attività in cui si sono dimostrati particolarmente efficienti è
quella del boicottaggio di multinazionali accusate di sfruttare lavoro
minorile, o di devastare l'ambiente, ecc. In queste occasioni si sono
spesso creati coordinamenti di associazioni per gestire questo tipo di
campagna. Questo genere di attività non attrasse in alcun modo i partiti
o i sindacati perché estranea alla loro tradizione. Diverso è il caso
invece di singoli militanti di sinistra che ritrovavano in questo ambito
una maniera congeniale di fare attività politica. Una parte di quest'area
a metà degli anni novanta, parallelamente ad un analogo processo avvenuto
in una parte dei centri sociali, ebbe un forte sbandamento
"privatistico": erano gli anni in cui si decantavano le lodi
del "terzo settore", in realtà un trabocchetto per aprire la
strada alla privatizzazione dei servizi pubblici. In questo caso fu la
sinistra "classica" che contribuì non poco a mantenere la
"barra a sinistra", e oggi, con la flessibilità dilagante, di
cantori del "privato sociale" se ne trovano pochini in
quest'area, pur permanendo qua e là una qualche ambiguità.
Conclusione
Questa rassegna aveva sostanzialmente lo scopo di mostrare come le
idee dei movimenti sono sempre idee sorte da esperienze passate, a loro
volta poi le nuove esperienze generano altre idee, e così via, in un
flusso continuo. Speriamo che appaia chiaro del resto ciò che ha
caratterizzato la particolarità italiana dei movimenti internazionalisti
e pacifisti. Essi hanno sempre goduto di una scarsa autonomia dalle varie
correnti politiche e/o religiose. Un'altra caratteristica è che non sono
mai riuscite, forse proprio per la ragione precedente, a costruire
strutture stabili, organizzazioni di massa (sul modello per intenderci
della CND inglese). Il dato dominante è quello della frammentazione. Una
carattristica positiva però, e tutta italiana, sta nella disponibilità
alla mobilitazione di massa che ha mantenuto un livello costantemente
superiore a quello di tutti gli altri Paesi imperialisti. Movimentisti,
assemblearisti, poco organizzati, ma sempre molti e disponibili alla
lotta. Queste caratteristiche nazionali hanno a loro volta delle precise
ragioni sociologiche che non affrontiamo qui: speriamo però che il
movimento antiglobalizzazione possa per una volta tenersi strette quelle
positive e buttare a mare quelle negative.