----- Original Message -----
Sent: Tuesday, February 19, 2002 11:52 AM
Subject: [Reg-Piemonte] I: disarmiamo exa
Dal Brescia Social Forum
-----Messaggio Originale-----
Data invio: martedì 19 febbraio 2002 10.52
Oggetto: disarmiamo exa
Disarmiamo EXA 2002 Exa è la più
grande esposizione al mondo di armi sportive, da caccia e da tiro, comuni da
sparo; si svolge annualmente a Brescia e nel 2002, dal 13 al 16 aprile, se ne
terrà la ventunesima edizione. Brescia Social Forum
- Brescia Social Forum - 18.02.2002
15:27:43
Disarmiamo EXA 2002
Cos'è
Exa
Exa è la più grande esposizione al mondo di armi sportive, da
caccia e da tiro, comuni da sparo; si svolge annualmente a Brescia e nel 2002,
dal 13 al 16 aprile, se ne terrà la ventunesima edizione. Exa si propone
propagandisticamente come un evento tutto centrato sull' "idilliaca" passione
per le armi da caccia, sportive, da collezione; in realtà, scorrendo la lista
degli espositori dell' ultima edizione della mostra (e di quelle precedenti),
si potrà comprendere come dietro la facciata dell'esposizione di armi sportive
si nasconda una realtà diversa e ben più complessa. Grandi industrie che
espongono a Exa destinano una parte rilevante della loro produzione alle armi
da guerra, alle armi leggere e di piccolo calibro, alle dotazioni
antisommossa, a sistemi di addestramento per operatori alla sicurezza. Per
comprendere quale sia la vera movimentazione di affari promossa da Exa basta
citare alcuni dei maggiori espositori: primo tra tutti la Beretta, industria
armiera bresciana con una storia plurisecolare, il cui profilo è quello di un'
industria fondamentalmente militare in grado di convertirsi almeno in parte al
civile. La Beretta deve la propria fortuna alla prima guerra mondiale, e poi
alle grandi forniture militari del periodo dell'espansione "imperiale"
fascista; dopo una rapida riconversione postbellica ai fucili da caccia, la
Beretta tornò alle commesse governative con l'adesione dell'Italia alla Nato.
Oggi la Beretta dichiara ufficialmente un fatturato militare pari soltanto al
25-30% della sua produzione, ma non è azzardato ipotizzare che nel 2000 la
produzione militare abbia raggiunto il 40-50%, valutabile in 250-300 miliardi,
del fatturato consolidato, e che almeno la metà sia stata prodotta in Italia e
da qui esportata. E poiché queste cifre sono lontanissime da quelle ricavabili
sulla base delle autorizzazioni all'esportazione, si può ragionevolmente
affermare che il gruppo Beretta aggira di fatto, anche se probabilmente del
tutto legalmente, la legge 185/90, che sancisce il divieto di esportazione di
armi verso paesi in stato di conflitto, in via di sviluppo, e verso quelli i
cui governi sono responsabili di violazioni delle convenzioni internazionali
in materia di diritti dell'uomo.
Oggi la Beretta ha assunto una
struttura multinazionale, con fabbriche negli Stati Uniti, in Turchia, Grecia
e Spagna, e rifornisce le forze armate italiane, l'esercito degli U.S.A.,
l'aeronautica francese, e numerosi altri paesi. Ma all'esportazione di armi da
guerra vere e proprie aggiunge quella delle cosiddette armi leggere o di
piccolo calibro (rivoltelle e pistole a carica automatica, fucili, fucili
mitragliatori, fucili d' assalto e mitragliatrici leggere), che sfuggono ai
divieti della legge 185 ma che sono quelle più frequentemente usate nei vari
scenari bellici, e che provocano il maggior numero di vittime, specialmente
tra le popolazioni civili. La Beretta, per le sue dimensioni, rappresenta
l'esempio più eclatante tra i fabbricanti italiani di strumenti di morte che
utilizzano Exa come vetrina per promuovere la propria produzione, ma in scala
ridotta valutazioni analoghe possono farsi per altri espositori, come la
Benelli, la Franchi, la Breda, ecc. Sono poi presenti colossi internazionali
dell' industria armiera, anche bellica, come Browning, Winchester, Colt, Smith
& Wesson, Ruger.
Accanto a questi, altri produttori espongono a
Exa strumenti ad alta tecnologia e dotazioni in uso alle forza antisommossa
delle polizie di paesi "democratici" e non; si va dalle cosiddette "armi meno
che letali" ai gas lacrimogeni, dalle munizioni speciali agli spray irritanti,
ecc. Gli espositori di Exa, quindi, coprono tutta la vasta gamma degli
impieghi della produzione armiera.
Perché siamo contro Exa
Exa rappresenta dunque una vetrina per alcune tra le più importanti
fabbriche d' armi al mondo; promuove l'uso delle armi a scopo ludico,
sportivo, di difesa, ma costituisce occasione d'incontro e di affari anche per
tipologie di armi a uso bellico e antisommossa. Le ragioni per boicottare Exa
sono quindi molteplici e attraversano diversi temi tutti interni alla
dimensione della globalizzazione capitalista.
E' intuitivo e di tutta
evidenza il collegamento tra industria armiera e scenari bellici. Alcune delle
industrie che espongono a Exa producono vere e proprie armi da guerra
(Beretta, Breda, Franchi, ecc.); molte producono le cosiddette armi leggere e
di piccolo calibro che, pur non destinate in senso stretto a uso bellico, di
fatto, attraverso esportazioni illegali o triangolazioni che eludono la legge,
alimentano gli scenari di guerra che provocano ogni anno oltre 150.000 morti,
per lo più tra la popolazione civile. Nel luglio 2001 l'Organizzazione delle
Nazioni Unite ha tenuto a New York una conferenza sul commercio illegale delle
armi leggere e di piccolo calibro, definite dal Segretario Generale
dell'O.N.U. Kohi Annan, "armi di distruzione di massa". Sono stati rimarcati
gli effetti nefasti dell'accumulazione e della diffusione di armi leggere e di
piccolo calibro di uso militare, e forniti dati che illustrano tutta la
portata devastante del fenomeno. Nell'ultimo decennio, due milioni di bambini
sono stati uccisi in conflitti dove sono state usate armi di piccolo calibro e
cinque milioni sono diventati disabili. Si stima che soltanto in Afghanistan
vi siano circa dieci milioni di armi di piccolo calibro; sette milioni in
Africa Occidentale, circa due milioni in America Centrale.
Amnesty
International fornisce dati, relativi all'anno 2000, secondo i quali l'Italia
è il terzo paese esportatore di armi di piccolo calibro (dopo U.S.A. e Gran
Bretagna), con valori che superano i trecento milioni di dollari. Tra i
destinatari delle esportazioni legali di armi e munizioni si trovano Stati
coinvolti in conflitti, tra cui India, Pakistan, Eritrea e Etiopia, l'Uganda,
la Sierra Leone, il Congo, l' Algeria. Molti dei paesi destinatari sono teatro
di violazioni dei diritti umani, come Turchia, Arabia Saudita, Cina e
Indonesia. Si sottraggono invece a ogni controllo i traffici illegali, che
nella maggior parte dei casi hanno all' origine un trasferimento legale e poi,
attraverso triangolazioni tra Stati e intermediazioni di organizzazioni
criminali e trafficanti senza scrupoli, sfuggono agli embarghi e fanno perdere
ogni traccia di sé.
Le armi leggere e di piccolo calibro sono le armi
delle guerre moderne, provocano l'esacerbazione dei conflitti e rendono più
difficili le soluzioni diplomatiche, ma aumentano anche il tasso di
criminalità e le violazioni dei diritti umani. Exa quindi, dietro la facciata
rassicurante che attira decine di migliaia di visitatori ogni anno, nasconde
il suo vero volto di vetrina dei fabbricanti di strumenti di morte.
Disarmare Exa significa anche colpire la finanza armata: le
connessioni tra finanza ufficiale e paradisi fiscali, le banche che finanziano
il traffico d' armi internazionale, gli Stati che destinano quote importanti
del loro p.i.l. alle spese militari, sottraendole alla spesa sociale; le
lobbies e i potentati che influenzano scelte politiche, gravide di effetti
distruttivi sullo scenario internazionale. La produzione e l'esportazione di
armi, sia legale che illegale, ha bisogno di grandi capitali e di servizi
finanziari che solo le banche possono offrire, di modo che gli istituti
bancari destinano i risparmi dei cittadini anche a finanziare operazioni
bancarie che generano morte. Nell'anno 2000, secondo i dati forniti dal
governo, sono state autorizzate esportazioni di armi a uso bellico dall'Italia
per oltre 1.500 miliardi di lire, e quasi la metà degli importi autorizzati si
riferiscono ad esportazioni verso Sudafrica, Turchia, Nigeria e India. Circa
il 70% delle esportazioni ufficiali di armi leggere, quindi considerate "per
uso civile", ha invece avuto come destinatari paesi del sud del mondo: tra gli
altri, paesi come Libano, Congo, Marocco, Algeria, Burkina Faso, Mauritania,
Camerun, Senegal, India, Kenia, ecc. Le spese militari sottraggono alla spesa
sociale quote importanti dei p.i.l. di tutti i paesi, somme ingenti che
anziché essere destinate all'utilità pubblica servono a fornire gli eserciti e
le polizie di sempre più sofisticati strumenti di morte.
Ma attraverso
le esportazioni di armi verso i paesi in via di sviluppo, si alimenta e
perpetua il loro debito, e quindi la loro dipendenza, nei confronti degli
Stati industrializzati, con la conseguente impossibilità di sviluppare
economie destinate a soddisfare in primo luogo i bisogni primari dei
cittadini, di promuovere e finanziare progetti in materia di salute,
alimentazione, istruzione.
Disarmare Exa significa anche promuovere un
modello di sviluppo sostenibile per l'ambiente, perché l'esercizio della
caccia impoverisce il patrimonio faunistico del nostro pianeta, alterando
l'equilibrio dell' ecosistema e provocando ogni anno la morte inutile di
centinaia di milioni di esseri senzienti. La scomparsa e il rischio di
estinzione di diverse specie animali sono anche conseguenza della caccia,
oltre che della distruzione del loro habitat naturale.
Disarmare Exa,
insomma, significa pensare alla costruzione di un mondo diverso, in cui le
risorse oggi utilizzate per procurare morte, distruzione, danno ambientale,
possano essere destinate a utilizzi socialmente utili; in cui le fabbriche d'
armi possano essere riconvertite ad altri cicli produttivi; in cui la guerra
sia bandita per sempre.
Exa nella guerra globale
Nell'ultimo decennio i grandi potentati economici e finanziari
transnazionali, gli apparati militari-industriali, i principali governi del
mondo sempre più frequentemente hanno fatto ricorso alla guerra per risolvere
i conflitti, per imporre la loro pace, i loro interessi nei punti di crisi e
di rilevanza strategica del pianeta. E dopo la strage terroristica dell'11
settembre alle Twin Towers la guerra sembra diventare ormai, sempre più, la
forma stessa del dominio, sanguinosa e devastante, terribile nella sua
concretezza, fatta di bombe, pallottole, distruzione e morte per le
popolazioni civili. Va imponendosi una sorta di stato di guerra permanente
sull' intero pianeta. Le azioni belliche, attuabili ovunque in qualsiasi
momento, diventano normalità nel governo sui popoli. Lo schema amico-nemico e
la guerra squalificano ogni iniziativa di mediazione politica tra istanze
complesse legittime e differenti, e cercano invece di garantire nel Nuovo
Ordine Mondiale neoliberista la concentrazione della ricchezza e del potere
nelle mani di pochi a discapito della gran parte dell'Umanità, del diritto
universale ad una vita dignitosa.
Teatro di operazioni militari sono
oggi l'Afghanistan e la Palestina, prestissimo potrebbero essere la Somalia,
l'Iraq, forse di nuovo i Balcani. E anche le forze armate italiane, con un
consenso ampiamente maggioritario in parlamento, ma non fra i cittadini,
sempre più sono impiegate in queste azioni di guerra con un ruolo attivo
importante. Nel bilancio pubblico gli stanziamenti del governo per le spese
militari sono in costante aumento.
All'interno degli stessi Paesi più
ricchi, lo stato di guerra porta con se l'ampliarsi dell'esclusione dalla
sfera dei diritti, dei servizi e delle tutele sociali, nonché l'adozione
sempre più frequente di misure e metodi autoritari, apertamente repressivi,
per colpire il dissenso e la protesta democratica.
E' in questo
scenario che si pone, nell'anno 2002, l'esposizione di Exa, la cui rilevanza
economica e commerciale -come abbiamo visto- va ben al di là della realtà
bresciana. Ed è in questo scenario che Exa si rivela più che mai, nei marchi
degli espositori di armi leggere per ogni uso, nel logo accattivante che la
pubblicizza, nella propria stessa esistenza, un veicolo per alimentare,
foraggiare, legittimare, rendere senso comune accettato e persino bello
("sportivo") proprio la guerra, i suoi strumenti e chi sulla guerra realizza
profitti a palate. Senza guerra non ci sono produzione e vendita di armi.
Senza produzione e vendita di armi non c'è guerra. E' tutto qui, in fondo, il
gioviale happening di Exa.
Proposta in progress
Ma noi,
uomini e donne comuni, di Brescia, di Genova, di Assisi, di Porto Alegre, noi
che pensiamo possibile la globalizzazione della pace e dei diritti, e non del
dominio di pochi sull'intero pianeta, siamo parte dell'umanità contro la quale
i potenti scatenano e fanno combattere le guerre.
Ebbene, chi si
oppone alla guerra nei mille modi possibili, senza se e senza ma, chi è per la
pace, chi non vuole lasciarsi arruolare, chi diserta e disobbedisce, chi non
collabora, chi vivendo ogni fede sa che nessuna guerra si può scatenare in
nome di Dio, chi non è d'accordo ma non sa che fare, chi crede possibile un
altro mondo senza armi, chi non ci crede molto ma vede che questo mondo è
simile al peggiore possibile. invitiamo tutti questi uomini e donne e molti di
più, come noi e diversi da noi, a condividere, fra tantissimi soggetti
collettivi, politici, associativi, sindacali, studenteschi., singoli
individui, con provenienze, percorsi, sensibilità, pratiche, domande, impegni
quotidiani, obbiettivi grandi e/o immediati differenti. un semplice scopo
comune: dire no a Exa. Dirlo in molti modi pacifici, pubblici, chiari,
comprensibili, con creatività, allegria e radicalità. Affermare che questa
mostra di prodotti che servono ad uccidere è semplicemente illegittima,
ingiusta, perché di quei prodotti chiunque può diventare e diventa vittima
innocente.
Exa non è figlia legittima di Brescia, non è un fiore
all'occhiello dell' "intraprendenza e dell'operosità" dei bresciani. E Brescia
non è la città dei produttori e dei mercanti di strumenti di morte. La stessa
tradizionale "vocazione armiera" della Valle Trompia è l'esito di scelte
politiche ed economiche, non un dato naturale incontrovertibile, certo non è
l' unico modello di organizzazione dei rapporti sociali che possa dare
identità e lavoro alle popolazioni di quel territorio. Siamo convinti che la
sicurezza dell' occupazione e del reddito per i lavoratori oggi impiegati in
quel settore non debba essere messa a rischio, ma è altrettanto certo che i
percorsi della riconversione dell' industria bellica, pur difficili e
realizzabili in tempi lunghi, non siano affatto impraticabili.
Per
altro, importanti scelte di delocalizzazione produttiva verso regioni del
mondo dove il costo del lavoro è più basso negli ultimi anni sono state
compiute anche dalla Beretta, e questo, con l' intensificarsi della
competizione sul mercato mondiale, dimostra che persino in Val Trompia la
produzione armiera non è sinonimo di garanzia occupazionale e che anche in
questo ambito della manifattura bresciana prevale la tendenza alla riduzione
di manodopera. Dunque, un serio percorso di riconversione al civile dell'
industria bellica valtriumplina e di reinserimento degli addetti in altri
settori lavorativi può rappresentare non solo una possibilità per porre fine
alla produzione di armi ma anche, in prospettiva, una concreta necessità di
garanzia dell'occupazione e del reddito per gli operai di quelle imprese a
rischio di disoccupazione.
Da anni sono moltissimi e sempre di più i
bresciani attivi nella solidarietà reale, in mille iniziative che vedono la
società civile locale sostenere in modo concreto le popolazioni colpite dalla
distruzione portata in ogni parte del mondo anche dalle armi che da Brescia
vengono vendute a qualsiasi acquirente. L' impegno fattivo di molti bresciani
in questi anni nella cooperazione alla pace nella ex Jugoslavia, a supporto
delle popolazioni civili, per il ripristino del legame sociale devastato dalla
guerra etnica, è solo uno degli esempi. E' questo il vero fiore all'occhiello
che già da molto tempo ha fatto conoscere i cittadini bresciani ai cittadini
di tutto il mondo, non certo la produzione di guerra che riempie le tasche di
pochi industriali e banchieri.
Esprimere questa solidarietà con
coerenza e concretezza, dire no alla guerra non può non significare anche
sollevare e affrontare al più presto il grave problema che è Exa, chiedere che
la mostra delle armi leggere smetta di esistere.
Exa e il suo
"palcoscenico", la rilevanza nazionale ed europea, la visibilità, oltre che la
gravità, di questo evento, rappresentano anzi un'opportunità grande che la
società civile, il movimento contro la guerra e per i diritti globali può
cogliere, per dare ulteriore legittimità ed efficacia concreta alle proprie
ragioni e alla preziosissima pratica quotidiana della solidarietà e delle
azioni di pace.
Anzitutto, chiediamo con forza ai promotori
dell'esposizione una moratoria, cioè di rinunciare almeno all'edizione di
quest'anno di Exa. Crediamo che nella situazione di guerra in atto tale
decisione sia doverosa come gesto minimo indispensabile di assunzione di
responsabilità, di buon gusto e senso civile, di rispetto per l'Umanità
martoriata dall' effetto dei loro prodotti.
Ma temiamo che i
produttori e mercanti di pistole, fucili, mitra, così come le società
finanziarie e le banche ad essi collegate, siano più preoccupati di non
correre il rischio - rinunciando all'expò 2002 - di una qualche flessione del
giro d'affari che attraverso Exa si alimenta.
Facciamo appello allora
a tutti i soggetti interessati, di Brescia e non di Brescia, a partecipare e a
promuovere insieme a noi una serie di iniziative di critica forte, pacifica e
radicale ad Exa, dal 13 al 16 aprile prossimi.
Immaginiamo e
proponiamo uno scenario articolato e complesso di iniziativa, che abbia la
maggior efficacia possibile sul piano politico e comunicativo e che si
dispieghi, nelle settimane e nei mesi a venire, a partire da ora e poi
soprattutto nei giorni dell' esposizione, in momenti di informazione
(volantinaggi, articoli di giornale, conferenze stampa, predisposizione di un
apposito sito internet...), di approfondimento, di discussione, di mostra e
proiezione video, di spettacolo teatrale e musicale, di incontro (in primo
luogo con i lavoratori e con gli studenti), di manifestazione di strada e di
azione diretta che coinvolgano tanto la città e il suo centro storico, quanto
la zona immediatamente a ridosso dello spazio espositivo, alla periferia est
di Brescia.
Intendiamo promuovere nei giorni di Exa un forum di
approfondimento, di discussione e proposta, al quale abbiamo l'ambizione di
dare rilevanza nazionale, sulla produzione bellica, sui percorsi possibili
della riconversione dell' industria armiera, sulle pratiche reali di
costruzione della pace e di rifiuto della guerra. Compiremo azioni di
informazione e denuncia riguardanti le banche armate.
Almeno due, in
giorni diversi, dovranno essere i momenti di presenza di massa nella zona
della mostra. In uno dei due giorni dell'apertura dell'esposizione al pubblico
l'uno. In uno dei due giorni dell' accesso alla mostra per i soli operatori
l'altro. L'obbiettivo specifico da condividere che proponiamo in questi due
momenti è "assediare" fisicamente il luogo della mostra, isolare all' interno
degli stand gli operatori del settore e ostacolare concretamente il normale
svolgimento dell'esposizione, senza creare frizione con il pubblico dei
visitatori. E' evidente che tale proposta, solo abbozzata, dovrà essere
specificata nelle prossime settimane.
Del resto lo scenario e le
proposte che iniziamo qui a delineare sono volutamente generici, proprio per
consentire a tutti i soggetti interessati di portare il loro contributo alla
stessa elaborazione del calendario delle iniziative. Iniziative, anche quelle
di strada attorno alla zona fieristica, che speriamo molteplici, che crediamo
possano e debbano avere modalità e forme le più diverse, pacifiche, non
violente, di disobbedienza civile e sociale, che non comportino danno a
persone e cose, che abbiano come prerogative irrinunciabili la chiarezza, la
radicalità, la pubblicità e l' efficacia comunicativa, e siano mosse
dall'obbiettivo condiviso da tutti i promotori: criticare, delegittimare,
ostacolare Exa.
Pensiamo le giornate di Exa non come un punto
d'arrivo, ma come un passaggio imprescindibile per rilanciare anche nella
provincia di Brescia l'opposizione alla guerra e alla produzione bellica, per
la riconversione delle fabbriche d' armi. In tal senso, consideriamo
importante arrivare anche attraverso le giornate della contestazione ad Exa
alla creazione di un osservatorio permanente sulla produzione ed il commercio
di armi leggere.
Proponiamo l'inizio di un lavoro lungo, difficile, ma
irrinunciabile e importante, per disarmare Exa, per bandire la guerra e le sue
armi da Brescia.
Comincia adesso.
10 gennaio
2002
Brescia Social
Forum
|