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Rapporto delegazione Action for Peace in Palestina
Gerusalemme, 16 febbraio 2002
La delegazione di Action for Peace stamattina ha visitato i villaggi
palestinesi
di Abud e Bet Reema, situati sulle colline a nord-ovest di Ramallah, entrambi
in zona C (sotto totale controllo israeliano). L'intenzione è di rompere,
con la nostra presenza, l'isolamento in cui questi villaggi si trovano da
ormai molti mesi. Oggi ci accompagna Reena, membro del PARC, una Ong che
si occupa del rilancio dell'agricoltura. Cambiamo mezzo dopo aver attraversato
a piedi il check-point di Kalandria in mezzo a un delirante traffico di
automobili, taxi e furgoni assiepati in attesa di passare il posto di blocco.
Per raggiungere il primo villaggio, essendo impossibile percorrere le strade
asfaltate, a causa della chiusura da mesi di un check-point, siamo costretti
a seguire un percorso alternativo lungo la mulattiera costruita proprio
da PARC originariamente per uso agricolo e divenuta ora l'unica strada
percorribile
dai più di 80.000 palestinesi che abitano i 42 villaggi della zona. Due
ore di viaggio estenuante, fra buche, sassi, precipizi, ripide pendenze
che ci costringono a un certo punto a scendere precipitosamente dal nostro
mezzo per alleggerirlo: questa è la vita di ogni giorno per la gente di
questi villaggi, questo è ciò che si intende quando si parla di negazione
della libertà di movimento. Basti pensare che, senza l'assurda e illegale
chiusura del check-point, per giungere a Abud sarebbero sufficienti 20 minuti.
Durante il tragitto abbiamo modo di vedere, posti strategicamente sulle
sommità delle colline, i 4 insediamenti di coloni che sono all'origine della
militarizzazione della zona: torrette di controllo, piccoli bunker da cui
sbucano armi puntate, ulteriori posti di blocco che ostacolano la comunicazione
fra i villaggi. 'A causa delle difficoltà di spostamento 250 persone che
lavoravano in Israele hanno perso il lavoro', ci dice Ibrahim indicandoci
alcuni di loro seduti sul bordo della strada, senza nulla da fare. 'Non
solo andare a lavorare è difficile, ma anche recarsi in ospedale diventa
quasi impossibile' continua e non può fare a meno di ricordare il caso non
isolato della donna costretta a partorire lungo la strada, il cui figlio
è morto due ore dopo per l'assenza di cure.
Arrivati ad Abud, la prima sosta è davanti ad un campo di ulivi: durante
l'ultimo anno, per presunti motivi di sicurezza, per un'estensione di 4
km i militari israeliani hanno distrutto 3750 alberi, che costituiscono
la principale fonte di sussistenza per la gente del luogo. Insieme ai
responsabili
del villaggio assistiamo con ammirazione alla ripiantumazione degli ulivi:
'Noi li ripiantiamo, e sappiamo che quando avremo finito ritorneranno coi
loro bulldozer a distruggere tutto' ma noi lo facciamo lo stesso', ci dice
con orgoglio uno dei contadini.
Ci spostiamo a Bet Reema, dove il 24 ottobre scorso un blitz israeliano
con elicotteri e 40 fra carri armati e bulldozer, ha distrutto e bruciato
4 case, applicando brutalmente il metodo della punizione collettiva,
espressamente
proibito dalla IV Convenzione di Ginevra: quando qualcuno è anche solo
sospettato
di aver commesso un reato si colpisce non solo lui ma la sua famiglia e
l'intera comunità in cui vive.
Mentre osserviamo il cumulo di macerie che una volta era una casa, una donna
coi suoi bambini si avvicina e ci dice che quella era casa sua; i militari
sono arrivati di notte con i cani, hanno costretto tutti ad uscire senza
prendere nulla (neanche il latte per i neonati), a restare fermi in strada
sotto la pioggia senza poter andare in bagno, fino alle sei del mattino.
Il marito è stato arrestato perché sospettato di esser stato l'autista degli
attentatori del ministro Zevi.
La sensazione che proviamo di fronte alle macerie ed al racconto di questa
donna e delle altre vittime di questi crimini è indescrivibile, restiamo
ammutoliti a guardarci.
Andando via con l'amaro in bocca ripensiamo alle parole di Ibrahim: 'In
queste condizioni, con la chiusura delle strade, lo sradicamento degli ulivi,
la distruzione delle case, l'imposizione del terrore, non solo è difficile
muoversi, lavorare, ma ogni aspetto della nostra vita è limitato se non
completamente impedito'.
La delegazione di Action for Peace:
Farshid Nourai, Monica D'Angelo, Alessandra Fantini, Antonio Elia, Michelangelo
Cocco, Massimo Trizio, Gabriella Vero, Paolo Pozzi, Ferdinando Primerano
Rianò.