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rapporto, delegazione Acione for Peace
Nablus 14/02/2002
Mentre gustiamo il pane caldo, zatar, e l'olio d'oliva di questa stupenda
terra, a casa di una nostra amica palestinese, avvertiamo dei frastuoni
da lontano.
Oggi è San Valentino ma questi rumori non sono fuochi d'artificio.
Passano minuti e i rombi si avvicinano, ci precipitiamo fuori, i bengala
illuminano il monte dei Samaritani, una pioggia di traccianti rossi viaggiano
velocemente verso la città.
È difficile stabilire gli obbiettivi degli spari provenienti dai carri armati
israeliani, molto probabilmente ancora una volta khallet al-zamoud è nel
mirino.
La città è deserta, non si avverte nessun rumore al di fuori di quello degli
spari, è impensabile immaginare una resistenza palestinese, i carri armati
sono troppo lontani per essere colpiti dalle poche armi leggere palestinesi.
La giornata comincia con il nostro viaggio verso Talmoun, nella zona di
Badan nel sud di Nablus, un paesino di circa 11.000 abitanti posto in uno
dei luoghi più belli della valle del Giordano.
Per raggiungere questo villaggio dobbiamo percorrere una delle strade
principali
che collega Nablus al confine giordano.
La strada si presenta interrotta da enormi voragini , tra un fossato e l'altro
circa 7/800 metri.
I tratti intermedi ulteriormente dissestati centralmente che obbligano,
così, anziani, malati, trasportatori a destreggiarsi su un fondo scivoloso
e infido per poterli oltrepassare.
Attorno alle colline che circondano questa strada postazioni militari vigilano
e impediscono qualsiasi tentativo di assestarla.
Il passaggio grazie anche alla prima giornata di sole del nostro viaggio,
è meraviglioso: un torrente, oliveti, una piccola cascata, mandorli, mostrano
la fertilità di questa terra.
Raggiungiamo il villaggio dove ci attende il sindaco, Bashir, " Da dicembre
dell'anno scorso gli israeliani per sei volte hanno invaso il paese, venerdì
scorso 50 carri armati lo hanno occupato costringendoci a 4 giorni di
coprifuoco
totale.42 persone arrestate, 20 edifici occupati, tra i quali il comune
dove hanno forzato le serrature e rovesciato e disperso tutti gli archivi;
è il risultato di questa incursione", ci racconta il sindaco.
Scendiamo per le strade accompagnati dal sindaco e il suo staff, tutti hanno
da raccontare qualcosa, veniamo aggrediti da un'anziana signora che ci urla
parole per noi incomprensibili: "il nostro campo di grano è stato distrutto
dagli israeliani, adesso come possiamo dare da mangiare ai nostri figli
e nipoti", ci traducono.
Continuiamo attraverso uliveti e campi coltivati interrotti dai profondi
solchi provocati dal passaggio dei carri armati.
"Due strade di ingresso su tre sono completamente chiuse dagli israeliani.
Atuf, una piccola frazione del paese, con i suoi 200 abitanti è totalmente
isolata da molti giorni. Gli abitanti non possono neanche raggiungere l'unica
farmacia della vallata e sono senza corrente elettrica e fornitura idrica",
continua il sindaco.
Arriviamo alle estremità delle due strade chiuse, quello che ci troviamo
di fronte non è un check-point come abbiamo visto in tutti questi anni,
la postazione israeliana è posizionata sulla collina vicino alla strada
che sorveglia dall'alto il passaggio.
per rompere l'isolamento di Atuf, Decidiamo di attraversare il check-point
con le mani alzate e il passaporto in mano ma i palestinesi ci avvertono
delle eventuali ritorsioni che potrebbero ricadere su di loro, così
abbandoniamo
l'idea.
Sulla strada di ritorno visitiamo le case distrutte dei martiri e il cimitero
profanato nell'ultima incursione degli israeliani.
Dal 1967 ad oggi questa area è stata un bersaglio costante dell'esercito
israeliano e da allora è stato confiscato il 60 % delle terre appartenenti
a Tamoun (mentre scriviamo il testo avvertiamo delle esplosioni, inutili
contarle perché sono continue).
Abbondanza d'acqua e terra fertile potrebbero garantire sviluppo economico,
potrebbero,
ma quel se è rappresentato dagli israeliani e questo nega ogni condizione
di sviluppo.
Con un'altra ferita nel cuore proseguiamo verso Balatah e Ascar , due dei
campi profughi attorno a Nablus.
Campi profughi: una vergogna nel cuore dell'umanità che dura da 54 anni.
Che cosa dire? Cosa aggiungere alle centinaia di pagine che abbiamo già
speso sull'argomento? E' certo che dopo ogni visita il senso di impotenza
ci rimane addosso. Tutte le osservazioni, tutti i pensieri, quando si visita
un campo profughi, conducono solo a due dati di fatto: la dignità non ha
costo, ciò che abbiamo sotto i nostri occhi non può e non deve continuare
all'infinito.
Non ci sarà mai una pace giusta senza il riconoscimento del diritto al ritorno
dei profughi.
Qui riportiamo solo alcune note di due membri della delegazione che hanno
visitato oggi per la prima volta i campi.
Sotto l'immagine di un giovane martire , entriamo nel campo di Balatah,
che si presenta come una città nella città.
Esiste infatti da più ci 50 anni ed è popolato ormai da circa 40.000 persone,
compresse i un dedalo di vicoli, nei quali chiunque non sia del posto rischia
di perdersi.
Ci colpisce subito la dignità di queste persone , soprattutto dei bambini
che ci circondano incuriositi ci seguono lungo la strada.
Alcuni vogliono essere fotografati, altri no, ma nessuno chiede soldi, né
regali.
Non sanno chi siamo, ma riconoscendoci come stranieri ci sorridono e ci
salutano con una vivacità straordinaria.
La stessa atmosfera si respira entrando nel campo di Ascar: all'ingresso
una lunga lista di martiri e ancora più gente che ci viene incontro.
Alcuni di essi conoscono la nostra amica palestinese che ci sta accompagnando
e ci guidano nella nostra visita.
Ogni edificio racconta una storia, c'è quella della casa demolita perché
appartenente ad un'attivista dell'Intifada è quella su cui campeggia la
foto del giovane ucciso dall'esercito israeliano mente si recava a lavoro.
Camminando nei vicoli fangosi all'interno del campo, ci rendiamo conto,
dalla vista dei negozi e dagli scorci degli interni, che qui vi è ancora
più povertà.
Scarsa illuminazione, rare televisioni, terrazze abitate, pochissime
automobili,
bambini in ciabatte in mezzo alla strada.
I nostri appassionati accompagnatori ci invitano a visitare il centro giovanile
del campo.
Al suo interno troviamo un piccolo bar, una stanza dedicata alle arti marziali
e un campo da calcio coperto la cui vista ci spinge irrefrenabilmente ad
accettare una sfida Italia - Palestina.
Per un momento svaniscono i problemi e le preoccupazioni, mentre si intrecciano
sempre più sorrisi, manifestazioni di simpatia, richieste e scambi di
informazioni,
in un clima di sincero interesse e solidarietà.
La delegazione di Action for Peace
Farshid Nourai, Monica D'Angelo, Antonio Elia, Alessandra Fantini, Massimo
Trizio, Fernando Primerano Riano', Paolo Pozzi, Michelangelo Cocco, Gabriella
Vero.