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modifiche in corso alla legge 185/90 sull'esportazione di armi
Vi invio alcune note su un disegno di legge attualmente in discussione
che comporta modifiche alla legge n.185/90, la legge italiana sulla
trasparenza e il controllo del commercio di armi, una delle più avanzate
e lungimiranti nel contesto europeo ed internazionale. Le modifiche
riducono drasticamente controlli, trasparenza e divieti per una parte
rilevante dell export italiano di armamenti. Il ddl, presentato dall
attuale governo, è molto simile ad uno precedente presentato dal governo
D Alema, ma bloccato da ong come Amnesty ed Archivio Disarmo. E quindi
prevedibile che verrà approvato in tempi brevi. L Osservatorio sul
commercio delle armi vuole quantomeno informare opinione pubblica e
parlamentari sulle possibili conseguenze di tali modifiche.
Per saperne di più potete leggere direttamente il ddl 1927 (su internet
camera deputati).
Osservatorio sul Commercio delle armi
IRES (Istituto Ricerche Economiche e
Sociali) TOSCANA
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IL DISEGNO DI LEGGE N.1927 CHE MODIFICA LA L. N. 185/90 SULLA
TRASPARENZA E IL CONTROLLO DEL COMMERCIO DI ARMI ITALIANE: CONSEGUENZE E
RISCHI SULLA PACE E SICUREZZA INTERNAZIONALE.
Oscar (Osservatorio sul Commercio delle armi di Ires Toscana)
E’ attualmente in discussione nelle Commissioni riunite Esteri e Difesa
il disegno di legge n.1927 recante la ratifica ed esecuzione
dell’accordo quadro relativo alle misure per facilitare la
ristrutturazione e le attività per la difesa europea , che comporta,
al contempo, emendamenti la legge n. 185/90 sulla trasparenza e il
controllo del commercio di armi La modifica principale consiste
nell’introduzione di un nuovo tipo di autorizzazione alle esportazioni di
armamenti, la cosiddetta autorizzazione globale di progetto. Per
quanto si inserisca nell’ottica dell’integrazione dell’industria europea
degli armamenti, gli emendamenti introdotti possono avere conseguenze
sulla trasparenza e il controllo del commercio delle armi, sulla pace e
sicurezza sia italiana che internazionale. Il risultato è che una
parte significativa delle esportazioni di materiale di armamento
semplicemente scomparirà dalle possibilità di controllo degli organi
parlamentari, della stampa e dell’opinione pubblica. Ugualmente le
tradizionali rielaborazioni su tipo di armi esportate, imprese, banche
coinvolte e paesi destinatari, le analisi sul trend realizzate da Oscar
ogni anno non saranno più possibili per una parte rilevante dell’export
italiano di materiale di armamento Su tale parte di export italiano non
si applicheranno le normali procedure autorizzatorie né i normali
controlli.
Per comprenderne la portata e il contesto nel quale si inseriscono è
utile avere due parametri di riferimento: la legge n.185/90 recante
“Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei
materiali di armamento” ed alcuni riferimenti all’ “Accordo quadro
relativo alle misure per facilitare la ristrutturazione e le attività per
la difesa europea” che con tale disegno di legge si vuole
ratificare.
a) I
tratti salienti della legge vigente
La legge n.185/90, come noto, è un insieme organico di norme che
regola la trasparenza e il controllo del commercio italiano di materiali
di armamenti. I tratti distintivi della normativa sono identificabili nei
seguenti tre punti:
1. il
principio secondo cui le esportazioni sono subordinate alla politica
estera dell’Italia, alla Costituzione e ad alcuni principi del
diritto internazionale, segnando la fine del commercio di armi a basso
grado di responsabilità, da cui discendono i divieti di cui
all’art.1.5 e 1.6 (tra cui il divieto di esportare armi se queste
contrastino con la lotta al terrorismo internazionale, il divieto di
esportare a stati che responsabili di violazioni delle convenzioni
internazionali sui diritti umani e il divieto di esportare a paesi in
stato di conflitto), che hanno anticipato i criteri del Codice di
Condotta Europeo;
2. il
sistema di autorizzatorio e di controllo che prevede chiare
procedure di rilascio di delle autorizzazione e meccanismi di controllo
successivi, segnando una chiara distinzione tra mercato lecito e
illecito. Secondo la legge vigente esiste un solo tipo di autorizzazione
individuale per ogni prodotto finito, pezzo o componente esportato. Il
procedimento autorizzatorio è estremamente articolato e vede il concorso
di diversi ministeri. Nella domanda di autorizzazione singola devono
essere indicati, tra le altre cose, il tipo, il quantitativo e il valore
del materiale esportato, i compensi per intermediazione, il destinatario
intermedio e quello finale (nel caso in cui il materiale venga assemblato
in un paese estero ed esportato ad un terzo paese). Alla domanda deve
essere altresì allegato un certificato di uso finale, firmato
dalle autorità del paese che importa il materiale, attestante che il
materiale non verrà riesportato senza previa autorizzazione dell’Italia.
Sono inoltre obbligatore l’autorizzazione alle transazioni
bancarie, rilasciata dal Ministero del Tesoro, e la certificazione a
dogana che viene comunicata al Ministero delle finanze. L’alto grado di
collegialità ministeriale permette controlli incrociati ed limita
possibilità di abusi o collusioni. Infine restano attivi controlli
successivi quali il certificato di arrivo a destino e il controllo
sull’uso finale. Tutti questi dati sono infine riportati nei loro valori,
quantitativi, industrie esportatrici e destinazioni nei vari allegati
della relazione annuale presentata al Parlamento, che svolge il ruolo di
ulteriore indirizzo e controllo. L’obiettivo è quello di limitare le
triangolazioni e impedire che pezzi o materiali finiti di fabbricazione
italiana finiscano nelle mani di stati o di privati inaffidabili.
3. Di
estrema importanza è il divieto di cedere armi quando manchino adeguate
garanzie sulla destinazione finale, richiedendo che alla domanda di
autorizzazione sia allegato un certificato di uso finale
attestante che il materiale non verrà riesportato senza preventiva
autorizzazione dell’Italia. E’ rilevante che la legge richieda che il CUF
sia rilasciato dalle autorità governative: per cercare di evitare
traffici illeciti e il fenomeno delle
triangolazioni si mira a coinvolgere le autorità del paese
in modo da impegnarlo a svolgere un’attività di controllo sugli operatori
economici e a limitare il fenomeno delle triangolazioni.
4. Infine
la legge recepisce le istanze di trasparenza interna ed esterna
emerse in sede ONU prevedendo un’ampia e significativa informazione al
Parlamento, e quindi all’opinione pubblica, sulle esportazioni e
importazioni di armi italiane, tramite la presentazione di una relazione
annuale al Parlamento del Presidente del Consiglio dei Ministri, che
riporta dati dettagliati su azienda fornitrice, materiale esportato,
valore, destinatario finale, banche coinvolte, etc.
Per tali norme e principi l’Italia si colloca in una delle posizioni
più avanzate a livello europeo, sul versante della trasparenza, dei
controlli e delle prevenzione dei conflitti, ed è risultata uno dei paesi
meno coinvolti nel riarmo di paesi instabili quali ex Jugoslavia, Iraq e
Afghanistan.
b) le
modifiche introdotte dal disegno di legge
La modifica principale consiste nell’introduzione di un nuovo tipo di
autorizzazione alle esportazioni di armamenti, la cosiddetta
autorizzazione globale di progetto. Secondo l’art.7 del ddl, essa
viene “ rilasciata a singolo operatore, quando riguarda esportazioni,
importazioni o transiti di materiali di armamento da effettuare nel
quadro di programmi congiunti intergovernativi o industriali di
ricerca, sviluppo, produzione di materiali di armamento svolti con
imprese di Paesi membri dell'UE o della NATO”, con i quali l’Italia
abbia sottoscritto accordi che garantiscano il rispetto dei principi
ispiratori della legge. In sintesi, per ciascun programma di
coproduzione realizzato con un paese Nato o dell’Unione Europea,
un’unica autorizzazione globale si sostituisce alle singole
autorizzazioni finora vigenti per l’esportazione di ogni specifico pezzo
e componente.
Per ottenerla l’operatore deve dichiarare solo “la descrizione del
programma congiunto; le imprese dei paesi di destinazione o di
provenienza del materiale; il tipo di materiale”(art. 6 ddl).
c) Le
conseguenze sulla legge n.185/90
In linea generale (con i distinguo che andremo ad
illustrare relativi alle coproduzioni con cinque paesi europei che hanno
firmato l’accordo quadro), nel caso di autorizzazione globale
di progetto:
1. non
si applicano le tradizionali procedure autorizzatorie: scompaiono
quindi i riferimenti nella domanda di autorizzazione all’esportazione
al numero dei pezzi, al valore, al destinatario finale, alle
intermediazioni finanziarie, sia per i pezzi e componenti esportati, sia
per il prodotto finito (art. 6 del ddl).
2. non
si applica il sistema di controlli previsto dalla legge per le
normali esportazioni. Tali esportazioni sono esenti dai controlli
bancari (art.11. del ddl), e non viene richiesto né il certificato
di arrivo a destino, nè il certificato di uso finale (art. 10
del ddl). Informazioni, procedure e controlli sono drasticamente
ridotti non solo per i singoli pezzi e componenti esportati, ma anche per
il prodotto finito. Esse non riguardano solo gli scambi tra i paesi Nato
e UE, ma anche i casi di esportazione a paesi terzi o privati del
materiale coprodotto dall’Italia ed assemblato in un paese partner
.
3. Il
governo chiede di essere informato solo sulla destinazione intermedia e
non su quella finale del materiale coprodotto. In altre parole il
rilascio della licenza equivale ad un’abdicazione di sovranità e
responsabilità e si traduce in una delega in bianco sulla scelta
dei paesi di destinazione finale (anche extra europeo o extra Nato,
anche repressivo o aggressivi o a privati inaffidabili) alle autorità
del paese con cui si coproduce, senza che le nostre autorità possano
controllare nulla in merito. Il riferimento all’adesione ai principi
della nostra normativa risulta estremamente generico e insufficiente a
garantirne il rispetto dei divieti e dei controlli. Secondo il
magistrato Bellagamba “E’ così legittimata la triangolazione”. In una
prospettiva più ampia europea, la prassi della delega favorirà lo
spostamento della capacità manifatturiera e di assemblamento nei paesi
con minori barriere all’esportazione e, al contempo, un’armonizzazione
verso il basso delle normative sulla trasparenza e controllo;
4. Ugualmente
i divieti previsti dall’art-1 della legge saranno applicati solo
sul paese di destinazione intermedia (il paese Nato o UE con cui si
coproduce) e non su quello di destinazione finale (che può essere in
contrasto con i divieti della legge italiana) come accadeva fino adesso,
il che li rende superflui;
5. Nel
caso di autorizzazione globale di progetto viene drasticamente limitato
anche il grado di trasparenza, di indirizzo e controllo
parlamentare. Per ciò che concerne le esportazioni che godono
di autorizzazione globale dalla relazione scompariranno informazioni
circa valore, destinatario finale, controlli bancari etc. Non sarà
nemmeno più possibile desumere dalla relazione, come negli anni passati,
un quadro completo e corretto sul valore aggregato delle nostre
esportazioni, operare le tradizionali ù analisi diacroniche sul trend e
avere un quadro chiaro di esportazioni per paese e per
valore.
Il campo di applicazione è molto vasto ed è prevedibile che, in pochi
anni, essa coprirà una parte rilevante delle nostre esportazioni
di armi. La licenza si applica a tutti i progetti di coproduzione
realizzati in con paesi della Nato o dell’Unione Europea, che abbiano
genericamente aderito ai principi della nostra normativa. Considerando
che i programmi di coproduzione intergovernativa coprono già il
50% degli scambi in ambito europeo e che tale percentuale è
destinata ad aumentare in seguito al processo di integrazione e
globalizzazione dell’industria si può avere una prima stima della
portata della modifica. A tale quota va aggiunta la percentuale di
coproduzioni interindustriali: secondo la formulazione
dell’emendamento all’art.13 della legge, infatti, le procedure
semplificate non si applicano solo agli accordi intergovernativi, “più
sicuri” in quanto prevedono un accordo preventivo tra governi, ma anche
ad accordi tra industrie dei paesi sopra elencati.
e) Un’ulteriore modifica
Il disegno di legge prevede un’ulteriore modifica che riguarda il
divieto di esportare a paesi i cui governi siano responsabili di
accertate violazioni dei diritti umani. Il nuovo testo precisa che le
violazioni delle convenzioni devono essere gravi e accertate da
appropriati organi dell’UE e dell’ONU. L’aggiunta dell’aggettivo
gravi restringe la cerchia dei paesi che ricadono all’interno del
divieto.
, viene motivata con la necessità di “adeguarsi al criterio numero
2 previsto dal "Codice di condotta", che prevede la
specificità della gravità per le violazioni dei diritti dell'uomo”.
Merita precisare che il Codice di Condotta, approvato nel 1998 e non
vincolante giuridicamente, è stato inteso come una base di partenza, un
minimo comun denominatore sul quale costruire una regolamentazione più
rigorosa e vincolante. I criteri che introduce, specifica lo steso
documento, “should be regarded as the minimum for the management
of, and restraint in, conventional arms transfers by all EU Member”. Ed
ancora, nelle disposizioni operative è precisato che il Codice “non
ostacolerà il diritto degli Stati membri di operare politiche
nazionali più restrittive”.
f) Il contesto europeo e l’accordo quadro per la ristrutturazione
dell’industria
Le modifiche introdotte dal disegno di legge sono motivate dalla
necessità di adeguarsi e ratificare un accordo internazionale: l’accordo
quadro per la ristrutturazione dell’industria europea della difesa
("Framework Agreement Concerning Measures to Facilitate the
Restructuring and Operation of the European Defense Industry")
presentato il 27 luglio 2000. L’accordo, come noto firmato e
ratificato da altri cinque paesi (Francia Gran Bretagna, Spagna, Germania
e Svezia) è nato su spinta dei rappresentanti delle industrie europee
degli armamenti con il fine di facilitare il processo di integrazione e
di ristrutturazione dell’industria.
A tal fine l’accordo introduce appunto la licenza globale di
progetto da applicare a singoli programmi di coproduzione
intergovernativa realizzati solo tra i sei paesi che hanno
ratificato l’accordo e che si sono impegnati a rispettare le norme
in esso contemplate. Tale licenza si sostituisce alle singole
autorizzazioni e copre tutto il progetto di coproduzione non preclude la
richiesta di certificati di arrivo a destino e di utilizzo delle società,
né i controlli a dogana.
Al contempo, per definire le destinazioni finali dei materiali
coprodotti, l’accordo prevede l’obbligo di una procedura di decisione
comune tra le autorità dei paesi partecipanti ad una coproduzione,
volta a definire assieme una lista di destinazioni lecite, cui esportare
il prodotto finito. La procedura è quella del consensus, molto
simile all’unanimità, la quale conferisce a ciascun paese partecipante
alla coproduzione una sorta di diritto di veto nel bloccare
l’inserimento nella lista di un paese ritenuto, secondo la propria
politica e normativa, a rischio, aggressivo o repressivo. In tal modo,
almeno formalmente si favoriscono i paesi con le normative più
avanzate (Italia, Svezia, Germania) e un processo di orientamento
dei criteri esportativi verso standard alti. Ogni paese le cui
industrie partecipino alla coproduzione mantengono quindi una
responsabilità e potere sulla definizione delle destinazioni finali.
Per quanto l’accordo quadro presenti vaghezze e limiti soprattutto sul
versante politico e della trasparenza, è’ evidente che le modifiche
introdotte dal ddl si spingono oltre a quanto previsto
dall’accordo sui seguenti punti:
1. La
differenza principale, consiste nel fatto che licenza di progetto
globale prevista dal ddl non si applica solo alle coproduzioni con i
cinque paesi partner, e che si sono impegnati a rispettarne gli
obblighi, come previsto dal trattato, ma anche ai restanti paesi
dell’Unione Europea o della Nato. Per i paesi che non hanno
aderito all’accordo quadro (Belgio, Canada, Repubblica Ceca, Danimarca,
Grecia, Ungheria, Islanda, Lussembugo, Olanda, Norvegia, Polonia,
Portogallo, Spagna, Turchia, Stati Uniti, etc. alcuni dei quali hanno
legislazioni estremamente permissive e controlli molto blandi) non
valgono le norme relative alla procedura del consensus per definire
assieme la lista delle destinazioni lecite. Nei confronti di tali paesi,
il rilascio della licenza globale di progetto equivale a conferire
una delega in bianco sulla scelta delle destinazioni finali anche a paesi
extra europei ed extranato, senza che le nostre autorità possano
controllare nulla in merito, favorendo una deresponsabilizzazione e un
ammorbidimento verso il basso. Tale estensione contraddice lo spirito
dell’accordo quadro, che prevede invece una responsabilizzazione di tutti
gli stati partecipanti alla coproduzione nella definizione delle
destinazioni lecite. Inoltre la licenza non si applica solo a
coproduzioni intergovernative, come previsto dall’accordo quadro, che
quindi prevedono quantomeno un controllo statuale a priori minimo sia
sulla coproduzione che sulle industrie, ma anche a qualsiasi
coproduzione interindustriale. E’ quindi sufficiente per una società
italiana stringere un accordo con una qualsiasi società ad es.
turca (anche costituita ad hoc) per godere delle procedure
semplificate e aggirare i tratti salienti della legge n.185/90
(Bellagamba, magistrato).
Conclusioni
In sintesi gli effetti delle modifiche apportate dal disegno di legge
sulla attuale normativa italiana, incidono, per una parte rilevante delle
nostre esportazioni, sugli aspetti salienti della legge n.185/90:
principi, trasparenza, controlli, divieti. In generale lo spirito
che lo informa sembra essere quello di una riduzione piuttosto drastica e
frettolosa di alcuni elementi essenziali della legislazione nazionale,
quando ancora la regolamentazione multi o sovranazionale non risulta
sufficientemente forte, dettagliata o estesa, delegando a paesi con
normative meno avanzate delle nostre l’applicazione di divieti controlli
e trasparenza.
Le motivazioni di tali modifiche sono quelle di facilitare l’integrazione
dell’industria degli armamenti e di adeguarsi a strumenti multinazionali,
in particolare l’accordo quadro per la ristrutturazione dell’industria. A
prescindere da alcune inesattezze, e da alcune modifiche introdotte dal
ddl non richieste dagli strumenti internazionali (quali l’estensione
dell’autorizzazione globale a paesi Nato e UE che non hanno ratificato
l’accordo quadro o la restrizione del divieto di esportare a paesi i cui
governi sono responsabili di violazioni delle convenzioni sui diritti
umani), è importante sottolineare che, nel processo di integrazione
dell’industria e nel difficile cammino verso la costituzione di una
politica estera e di sicurezza comune, risultano estremamente importanti
le modalità con cui questo cammino viene intrapreso e gli
obiettivi di breve e lungo periodo da perseguire.
Sulle modalità si possono tracciare alcuni brevi spunti di
riflessione:
1. Destinazioni
finali. Nel caso di coproduzioni che coinvolgono più paesi la scelta
delle destinazioni finali del materiale coprodotto si possono seguire due
criteri. Il primo è quello dell’unanimità: una destinazione è lecita se
accettata e compatibile dalle normative e politiche di tutti i paesi
partecipanti alla coproduzione. Il secondo è quello di delegare al paese
che assembla la scelta delle destinazioni finali o terze. Nel primo caso,
il meccanismo che si favorisce è quello di orientare l’armonizzazione dei
criteri per l’esportazione a paesi extraeuropei verso gli standard più
alti e verso i paesi con normative più rigorose. Nel secondo caso, come
dimostrato dalla prassi, la tendenza seguita dalle industrie sarà quella
di spostare capacità manifatturiera ed assemblamento nel paese con
legislazioni meno rigorose e barriere minori all’esportazione, favorendo
la politica del minimo comun denominatore. L’accordo quadro (che si
applica solo ai sei paesi che l’hanno firmato), rappresenta uno sforzo
per applicare il primo criterio (pur temperato dalla mancanza di
trasparenza), mentre il disegno di legge applica, per tutti gli
altri paesi Nato o UE che non l’hanno ratificato, la delega in bianco,
favorendo l’armonizzazione verso il basso e incentivando triangolazioni
con gravi rischi sulla pace e sicurezza internazionale. Applicare
l’autorizzazione globale solo alle coproduzioni con i cinque paesi che
hanno ratificato l’accordo quadro sembra la soluzione che meglio si
armonizza, sia con lo spirito della nostra legislazione, che con quello
che informa l’accordo.
2. Controlli
su pezzi e componenti. Facilitare gli scambi di materiali, pezzi e
componenti tra le industrie di paesi diversi che partecipano ad una
stessa coproduzione non significa eliminare un nucleo minimo di
controlli. L’autorizzazione globale (che si sostituisce alle
singole autorizzazioni alle esportazioni dei singoli pezzi per un
programma di coproduzione che può durarare anni) è stata formulata in
modo talmente vago, senza alcun riferimento al numero dei pezzi, al loro
valore, a controlli su materiali ed industrie, che non si comprende come
si possa verificare l’aderenza delle esportazioni al programma,
l’affidabilità delle industrie, né seguire e verificare l’iter di ogni
pezzo e componente uscito dall’Italia, di cui si rischia di perdere
traccia. I pericoli sono quelli di deviazioni a privati o paesi
aggressivi o repressivi dei materiali di marca italiana, soprattutto se
si tratta di componenti di elettronica e avionica e se sono assemblati in
paesi con livelli bassi di controllo. In un’ottica di integrazione
transnazionale delle industrie sarebbe inoltre necessario integrare
e progressivamente sostituire tali controlli nazionali con nuove forme di
collaborazione e controllo prima multinazionale e poi sovranazionale
(banche dati e sistema informatico transazionale, controlli periodici
sulle industrie, collaborazioni tra dogane, autorità nazionali e polizia)
più aderenti a questo nuovo contesto ma anche realmente efficaci.
3. Trasparenza.
E’ noto che anche i paesi più restii a porre vincoli alle proprie esportazioni, come Gran Bretagna e Francia, hanno pubblicato recentemente relazioni annuali sulle esportazioni effettuate. Conoscere l’iter dei flussi di armi è utile sia in un’ottica di prevenzione dei conflitti che in un’ottica di controllo. Politicamente la redazione di una lista segreta di destinazioni permesse costituisce un passo indietro rispetto alle istanze di trasparenza portate avanti dalle NU e dall’UE e dai recenti passi avanti fatti dai paesi europei nella pubblicazione di un rapporto annuale sulle esportazioni di armi. Informare parlamento ed opinione pubblica sulle destinazioni finali ed intermedie dei materiali coprodotti, si traduce in un ulteriore strumento di controllo del rispetto degli accordi e delle regole nazionali e multinazionali, limitando possibilità di collusioni e condizionamenti. Inoltre il coinvolgimento e l’informazione al Parlamento conferisce un’impronta democratica al processo di costruzione di un’Europa politica, favorendo una maggiore responsabilizzazione e lungimiranza.
La scelta delle modalità ha effetti diretti sul risultato di medio e di lungo periodo che si vuole perseguire e sull’Europa politica che si vuole costruire, sulla pace e sulla sicurezza italiana, europea ed internazionale. Se il rapido processo di integrazione e globalizzazione dell’industria è un dato di fatto e può costituire, secondo alcuni, una spinta verso l’armonizzazione delle normative sulla trasparenza e controllo, è evidente che la teoria funzionalista dello spill over così come quella del mercato unico, non può essere integralmente applicata ad un’area dalle molteplici implicazioni quale quella delle armi, in quanto gli interessi dell’industria non sempre si conciliano con le esigenze di politica estera nazionale sia essa intesa in termini tradizionali come mantenimento di una capacità difensiva interna, sia in termini più avanzati come strumenti di prevenzione dei conflitti che possono coinvolgere l’Italia e l’Europa, e della tutela dei diritti umani.. Il processo di integrazione industriale non può automaticamente creare un’Europa della difesa, se non è guidato, e corretto da una dimensione politica che integri gli aspetti economico industriali con quelli della della pace e della sicurezza e da un realismo che prenda atto della gradualità di questo difficile processo cercando di non lasciare vuoti normativi in un campo delicato quale quello del commercio di armi.
In linea generale, lo spirito delle modifiche apportate, anche nel contesto di accordi e documenti internazionali, come l’accordo quadro e il codice di condotta, sembra rispecchiare da parte del nostro paese una politica rinunciataria che risponde al principio del minimo comun denominatore. Al contrario l’Italia, in forza della propria normativa, che la poneva, fino adesso, in una delle posizioni più avanzate, avrebbe potuto svolgere un ruolo guida, propulsivo e responsabile, volto a costruire una regolamentazione europea di trasparenza e controllo del commercio delle armi orientata verso standard alti. Solo con un atteggiamento responsabile si può costruire politica estera e di sicurezza dell’UE, orientata al mantenimento della pace e della sicurezza europea ed internazionale, che accompagni azioni di soluzione dei conflitti ad azioni preventive realmente efficaci e lungimiranti.
Chiara Bonaiuti Oscar (Osservatorio sul Commercio delle armi di Ires Toscana)