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Intervista a Nanni Salio



Abbiamo pubblicato un'intervista a Nanni Salio.
Eccola:

http://www.unionesarda.it/news.asp?IDNews=23007&IDCategoria=1&Archivio

Abbracci
Walter





INTERVISTA
Nanni Salio,
scienziato
contro la guerra

sabato 1 dicembre 2001
Alternativa alla guerra e nonviolenza per lui non sono solo belle parole.
Ma a Nanni Salio, torinese del 1943, ricercatore di storia della fisica
all'università, la militanza nei movimenti per la pace è costata cara. Una
brillante carriera accademica sacrificata per azioni e ideali.

Alla fine degli anni Sessanta, mentre in Italia si sviluppava l'acceso
dibattito sul nucleare, Salio firmava una petizione contro la
proliferazione degli esperimenti atomici. Una presa di posizione che non ha
mai voluto nascondere e che «in certi ambienti scientifici non era molto
gradita».
E' stato segretario dell'Istituto italiano di ricerche per la Pace,
collabora con numerose riviste del gruppo Abele. Tra le sue principali
pubblicazioni, Scienza e guerra, 1982, La pace educa alla pace, 1983, Le
guerre nel Golfo, 1991, Potere della nonviolenza, 1995. Attualmente è
responsabile del Centro "Sereno Regis" di Torino
(http://www.arpnet.it/regis/). La Comunità di Sestu lo ha invitato a
partecipare al dibattito "Terrorismo e guerra per un nuovo ordine mondiale?
Ci sono alternative?", tenuto mercoledì 28 all'aula consiliare del Comune.

La nonviolenza oggi è un'utopia?
E' piuttosto una distopia pensare che sia possibile portare avanti la
storia dell'uomo come storia di guerra. Questa strada porta solo
all'autodistruzione. La nonviolenza, invece, non è un'utopia. Sicuramente
non lo è stata nel secolo appena trascorso.

La guerra: una necessità?
La guerra è un progetto di dominio e, al contrario della strategia
nonviolenta, viene preparata in tempo di pace.

Lei sostiene che Bin Laden sia una creatura degli Stati Uniti. Perché?
E' ampiamente documentato che dal 1979 in poi, cioè dall'anno in cui l'Urss
invase l'Afghanistan, c'è sempre stato un rapporto tra i servizi segreti
della Cia, quelli pakistani, e i guerriglieri mujaheddin. Dopo la presa del
potere dell'Alleanza del Nord, gli stessi servizi pakistani hanno sostenuto
i talebani e quindi Bin Laden che già faceva parte di quella fazione. Non
dimentichiamo inoltre che la famiglia Bin Laden e la famiglia Bush
commerciano da decenni nel settore petrolifero. [George W Bush era tra i
maggiori azionisti di un fondo d'investimento in società con uno dei
fratelli di Bin Laden].

Secondo la teoria del "contraccolpo", gli Stati Uniti sono in parte causa
della loro tragedia. E' una giustificazione nei confronti di chi ha
commesso gli attentati dell'11 settembre?
Per un nonviolento non esiste alcuna giustificazione alla violenza. Questo
non significa che non bisogna avere il coraggio di interrogarsi. La teoria
che lei cita è di uno studioso pienamente inserito nell'establishment
americano, Chalmers Johnson, esposta nel libro Gli ultimi giorni
dell'impero americano (Garzanti, Milano 2001). Secondo Johnson, la politica
estera ed economica americana ha prodotto talmente tanti guasti e seminato
tanto odio da ritorcersi contro, anche se i cittadini americani non ne sono
consapevoli. Anche la Cia ha riconosciuto ufficialmente la teoria col nome
di "blowback".

Dietro l'11 settembre c'è solo Bin Laden?
Giulietto Chiesa ha detto: "Cercate la cupola, non solo Bin Laden". Bin
Laden è in realtà una metafora. Non abbiamo prove, ma solo indizi sulla sua
piena responsabilità negli attentati dell'11 settembre. Riuscire a compiere
un attentato di questa portata senza la complicità di altre organizzazioni
è impossibile. E poi ci sono dei segnali che farebbero pensare ad un
coinvolgimento della Cia nelle speculazioni finanziarie che hanno preceduto
la tragedia. A 15 miglia dal Pentagono si trova una base aerea per i caccia
che però non hanno fatto in tempo a evitare il disastro al ministero
americano. Il tempo intercorso tra l'attentato alle torri gemelle e quello
al Pentagono sarebbe stato sufficiente affinché i caccia militari
intercettassero il jet diretto a Washington. Inoltre, personaggi vicini ai
servizi segreti pakistani ritengono impossibili eventi simili senza la
copertura di settori interni. Un attentato di questo tipo deve essere
progettato per anni. E' impossibile mantenere il segreto per tanto tempo.

Come è possibile diffondere il messaggio di pace?
Il movimento per la pace non possiede strumenti mediatici così potenti da
raggiungere tutta l'opinione pubblica.
Nonostante ciò sappiamo che almeno il 50 per cento dei cittadini è
contrario alla guerra e che si aggira attorno a questa percentuale anche la
quantità di coloro che ritengono l'informazione inadeguata e manipolata.
Oggi, una parte significativa dell'informazione che il movimento per la
pace può controllare, usa la tecnologia e soprattutto Internet, che si sta
rivelando molto efficace.

Qual è il compito principale del movimento per la pace?
Sicuramente l'azione educativa che però richiede molto tempo. Il movimento
per la pace non può modificare la situazione nell'immediato.

Dopo l'11 settembre anche le strategie del movimento devono cambiare?
Al di là della manifestazione deve esistere l'azione. Il movimento per la
pace deve superare la fase reattiva e spontanea per diventare struttura
organizzata permanente capace di prevenire le situazioni di crisi e non
limitarsi ad inseguire gli eventi. Nel movimento sono presenti diverse
componenti storiche che sono intervenute contro specifiche guerre. A mio
avviso, in questa fase è richiesto un mutamento importante, ovvero la
capacità di assumere il messaggio e la politica dell'azione nonviolenta
come la linea guida. Sin d'ora questo è stato fatto solo da una minoranza
ed è un elemento di debolezza ancor oggi presente. Una proposta coerente si
basa su alcuni punti essenziali. Da un lato deve avvenire una
democratizzazione delle Nazioni Unite affinché possano svolgere ciò che ha
sancito la Carta internazionale, cioè risolvere il conflitto con le forze
nonviolente (caschi bianchi che intervengono in modo pacifico). D'altro
lato si devono creare le condizioni per un modello di economia e di
sviluppo coerente con uno stile di vita nonviolento e non basato sullo
sfruttamento.

Gli inviati di guerra sostengono tutti la pace?
No. Il loro è un compito importante ma non tutti credono nel "Giornalismo
di pace" per il quale le notizie devono essere educative. Johan Galtung ha
proposto delle linee guida per i giornalisti sul sito Transcend.org che
dovrebbero essere lette. Comunque, i peggiori sono i commentatori, quelli
che fanno giornalismo a tavolino.

Per esempio?
Tiziano Terzani, Enzo Bettiza, Oriana Fallaci
(http://digilander.iol.it/giovaniemissione/fallaci.htm), per fare qualche
nome. I commentatori spesso giustificano la guerra, invece l'inviato al
fronte, cito Ettore Mo, Maurizio Chierici, riesce quasi sempre a riportare
un punto di vista equilibrato. Bisogna anche dire che i giornalisti non
vengono messi in condizioni di operare al meglio e liberamente. Un esempio
di informazione libera è il libro del giornalista pachistano Ahmed Rashid,
The story of the afghan warlords (La storia dei signori della guerra
afghani) che presto sarà pubblicato in Italia da Feltrinelli. Bisognerebbe
leggere il ritratto che Rashid ha fatto dei talebani. Ricordiamoci che nel
'94 a Kabul erano stati accolti come dei liberatori per porre fine alle
violenze dell'Alleanza del Nord.

Laura Floris


Interventi di Nanni Salio
Dopo l'11 settembre
http://digilander.iol.it/giovaniemissione/strageusa6.htm

Sui fatti di Genova
http://www.mondosolidale.it/g8_agg7.htm