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Professionisti italiani nelle operazioni di pace




PROFESSIONE PEACEKEEPER

(News ITALIA PRESS) "Fornire ai laureati competenze professionali che li
rendano capaci di operare in aree di crisi": questo l'obiettivo dichiarato
dal professor Alberto Antoniotto, direttore del corso "Peacekeeping e
interventi umanitari" presentato ieri nell'Aula magna dell'Università di
Torino, che partirà a gennaio.
Alla presenza di un pubblico prevalentemente maschile, con una numerosa
presenza di militari, il professor Miozzo dell'Università di Torino, il
generale Orofino comandante del Centro Operativo Interforze, il dottor Piva
del Ministero degli Esteri e il dottor Machin, responsabile dello Staff
College di Torino hanno illustrato gli obiettivi del corso che si svolgerà
per il secondo anno consecutivo, citando esperienze concrete di operazioni
in corso e le possibilità lavorative che si sono rivelate per gli studenti
dello scorso anno.
Gli interventi umanitari "da 20 anni portano l'Italia a essere operatore
nelle zone di crisi" ha detto il dottor Miozzo e "hanno portato gli italiani
in tutto il mondo": contingenti militari, ma anche volontari italiani delle
ONG. Dall'intervento in Libano, alla Somalia, alla Bosnia, per poi citare i
più recenti esempi del Kosovo e dell'Afghanistan. Chiamati ad operare in
scenari sempre diversi e in situazioni molto delicate "i peacekeeper che il
corso vuole formare devono avere competenze e esperienza sul terreno: è un
universo che deve essere conosciuto, di cui fanno parte i militari, ma anche
volontari, ONG e  organismi internazionali. La formazione proposta serve a
sapere dove e perché si va" spiega il direttore Antoniotto ed è quindi
necessario "un approccio culturale al peacekeeping" come lo ha definito il
dottor Machin. "Si tratta di voler insegnare una certa umiltà nel rapporto
con altre culture e di inserirsi neutralmente nelle zone di conflitto".
Consulente del corso sarà  generale Giuseppe Orofino che ha maturato
esperienza nel settore delle operazioni umanitarie: a lui abbiamo chiesto il
significato della formazione di peacekeeper italiani e quale sia la
consistenza dei contingenti di pace impegnati in territori di crisi.

Generale Orofino, come giudica la realizzazione di questo corso e quali
prospettive offre per la presenza degli italiani in operazioni di pace?
Un corso di questo genere può contribuire innanzitutto a far conoscere tutti
gli interventi di questo tipo che gli italiani realizzano e hanno
realizzato, dal momento che spesso non si conoscono: questa integrazione di
conoscenza é molto utile perché va a costituire il famoso 'sistema Italia'
nel campo del Peace-keeping che stiamo realizzando e che porterà a un
maggiore e maggiormente qualificato contributo alle azioni internazionali da
parte del nostro Paese, verso le popolazioni che hanno bisogno del nostro
aiuto. Si vuole offrire una molteplicità di conoscenze che formino
peacekeepers con competenze che spaziano nei campi giuridico,
amministrativo, culturale, sociologico. E' un corso che significa, per chi
vuol frequentarlo, un primo passo verso una scelta di vita dedita agli aiuti
umanitari.

Che significato ha per il nostro Paese l'impegno in operazioni di
peacekeeping?
Le operazioni umanitarie sono in generale coordinate all'interno di un'
azione internazionale e vanno realizzate a vantaggio della comunità
internazionale stessa, nei confronti di persone e Paesi che vivono
situazioni di difficoltà e che stanno male. Il popolo italiano è un popolo
sensibile e incoraggia la partecipazione ad operazioni umanitarie. Si
tratta, inoltre, di inserire in questo modo il nostro Paese nella contesto
internazionale, ma il problema contingente è una situazione esplosiva alle
porte di casa nostra e quindi oggi è ancora più opportuno realizzare queste
partecipazioni a accollarsi un impegno di questo genere.

Quale evoluzione ha avuto la realizzazione degli interventi umanitari
italiani?
Abbiamo cominciato negli anni Ottanta in Libano e poi siamo andati avanti
fino agli interventi attuali, abbiamo cominciato con piccole operazioni di
pace e siamo giunti a una presenza più significativa.  Esiste una differenza
che è maturata in questi vent'anni di pecekeeping italiano e consiste nel
numero di interventi realizzati, di uomini impegnati e nell'esperienza
accumulata nel settore, che oggi mettiamo al servizio di che voglia
frequentare il corso in questione.

Quale pensa sia il ruolo delle Forze Armate negli interventi umanitari e in
che modo si inserisce la loro presenza in un corso di questo tipo?
La presenza delle Forze Armate con la loro esperienza deriva dal fatto che
esse sono Peacekeeper per eccellenza, sia singolarmente che come complesso
di forze che ha realizzato un servizio nelle aree di crisi per popolazione e
territorio: mi sembra un buon motivo per partecipare alla docenza e fornire
un supporto accademico per l'esperienza vissuta e le conoscenze accumulato.

Che tipo collaborazione esiste tra le ONG e le forze armate? Ricorda casi di
contrasti nella gestione dei conflitti?
Direi che si può parlare di un'ottima collaborazione: c'è uno scambio di
informazione, di conoscenze, di esperienze e di aiuto, soprattutto per
quanto riguarda alcuni servizi che le ONG  necessitano e che possono essere,
per esempio, garanzie di sicurezza.
Non mi sono mai capitati casi di divergenze. Nel corso della mia esperienza,
dal 1997 al 2001, non ho mai avuto occasione di poter constatare l'esistenza
di contrasti tra le diverse componenti che partecipavano alle operazioni di
peacekeeping.

Esiste un modello di peacekeeping italiano?
Non ci sono modelli perché ogni operazione umanitaria è diversa e
indipendente: ci possono essere esperienze e osservazioni recepite dalle
precedenti occasioni che e possono essere d'aiuto nelle future operazioni.


Nello

change the world before the world changes you

www.peacelink.it/tematiche/latina/latina.htm