[Pace] "La pace si fa con la pace", editoriale di Andrea Malaguti su La Stampa



A corto di consensi interni, il presidente della Repubblica francese, dopo avere invocato la presenza di soldati europei in Ucraina, incardina la campagna elettorale europea a una stupida idea muscolare delle relazioni internazionali. Il sottotesto è semplice: i boss mafiosi capiscono solo il linguaggio dei boss mafiosi. E Putin è il capo di tutti i boss. Dunque, se lui uccide noi uccidiamo. Non c’è alternativa alla guerra. Neppure se rischiamo la fine dell’umanità. Solo che invece di dirgli: fermati, sei pazzo, armiamoci ma trattiamo fino a svenire, ciò che resta dell’Europa si siede plaudente sulla coda di questa suicida Grandeur di ritorno per vedere l’effetto che fa. Così finisce male. Il presidente del Consiglio, Charles Michel, manda in giro una lettera il cui titolo esplicito è: si vis pacem para bellum. Dopo duemila anni siamo sempre lì. Ma a nome di chi parla, di grazia? Con chi si è confrontato? A chi ha chiesto il permesso? Il Vecchio Continente è un arcipelago di leader zoppi, divisi, confusi, concentrati a rimirarsi l’ombelico in attesa del 9 giugno. 

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La sensazione, disperante, è di essere appesi non alle idee, ai progetti, tanto meno alle visioni, ma semplicemente agli umori, ai sondaggi, alle nevrosi di una classe politica inadatta a gestire la gravità del momento. Un gruppo dirigente che nei dibattiti parlamentari si esibisce in un imbarazzante macchiettismo alle vongole, sostituendo risposte, analisi e preoccupazioni, con faccette, gag e teste nascoste sotto la giacca di eleganti tailleur. Persino la Cina lavora per la pace più di noi. Se è vero che Li Hui, rappresentante speciale di Pechino per gli Affari euroasiatici, dopo essere stato a Kiev e a Mosca dichiara: «Tutte le parti insistono sulle proprie posizioni e c’è un divario relativamente grande nella loro comprensione dei colloqui di pace, ma tutti concordano sul fatto che i negoziati, piuttosto che le armi, metteranno fine a questa guerra. Lo scopo della nostra spola diplomatica è chiaro: impegnarci in una comunicazione approfondita con la Russia e l’Ucraina, i due Paesi coinvolti nella guerra, e con le nazioni europee interessate. E, sulla base degli ultimi sviluppi della situazione, cercare congiuntamente modi per una rapida risoluzione politica della crisi». Xi Jinping è più illuminato di noi? Vede cose che noi non vediamo? Magari fosse. Davvero l’Europa è capace solo del micragnoso sforzo diplomatico sotto i nostri occhi? Abbiamo poco tempo. Le elezioni americane rischiano di lasciarci orfani del fratello maggiore nella Nato e nudi di fronte alle mire espansionistiche putiniane. Ha ragione Jacinda Ardern, per cinque anni a capo del governo neozelandese, mai come ora serve una convincente leadership politica. All’orizzonte non si nota. Ultime considerazioni. Ero a Bologna, ieri. Per un convegno su Chiara Lubich a ottant’anni dalla fondazione dei Focolari. “Che tutti siano uno”, Giovanni, 17, 21. Frase magnifica. Non sono particolarmente religioso, ma non è questo il punto. C’era il cardinale Matteo Zuppi, il presidente della Cei, una delle poche autorità morali del Paese. Parte delle idee espresse in questo articolo nascono dal confronto con lui, che, salutandomi, mi ha detto: «Solo un dissennato non sarebbe preoccupato in un momento così. Dobbiamo chiedere all’Europa uno sforzo. Si vis pacem para pacem». La pace si fa con la pace. La si cerca ad ogni costo. «E questo non significa essere molli, al contrario. Bisogna essere e dimostrarsi forti. Ma senza allontanarsi dalla ricerca di una soluzione disarmata». Diversamente, come ci ha detto una ragazza che ascoltava le nostre chiacchiere agitate, «continueremo a trasformare il mondo in un gigantesco ospedale». E, avanti così, in un camposanto. —

Andrea Malaguti
Direttore della Stampa
24 marzo 2024