[Pace] Renitente alla leva in Ucraina: la Corte di Cassazione italiana conferma l’esistenza di crimini di guerra



Una recente ordinanza della Corte di Cassazione italiana (la n. 7047 del 2022, del 3 marzo scorso)  riconosce il diritto di protezione internazionale ad un cittadino ucraino giunto in Italia per evitare la chiamata alle armi nel suo Paese.

Tra i diversi motivi di ricorso, anche quello riguardante l’asserito pericolo, per il suddetto, di essere costretto a servire nell'esercito Ucraino, in quanto soggetto in età utile per la leva, con conseguente pericolo di essere coinvolto, suo malgrado, in azioni di guerra e di essere costretto a commettere crimini di guerra o contro l'umanità.

Gli Ermellini hanno, più nello specifico, statuito che “In materia di protezione internazionale, deve essere riconosciuto lo status di rifugiato politico all'obiettore di coscienza che rifiuti di prestare il servizio militare nello Stato di origine, ove l'arruolamento comporti il rischio di un coinvolgimento, anche solo indiretto, in un conflitto caratterizzato dalla commissione, o dall'alta probabilità di essa, di crimini di guerra e contro l'umanità”, puntualizzando che, per quel che qui più interessa:

1) tutte le fonti internazionali concordano sull'esistenza, in Ucraina, di un conflitto armato2, nel cui ambito le parti non hanno rispettato gli accordi del 2015-2016 sul cessate il fuoco ed hanno continuato a combattere nonostante la tregua;

2) le stesse fonti evidenziano la presenza di gravi violazioni e di crimini di guerra, commessi da ambo le parti in conflitto;

3) l'istituto dell'obiezione di coscienza - definita, in base alle Linee Guida UNHCR in materia di protezione internazionale, come "obiezione al servizio militare derivante da principi e motivi di coscienza, tra cui convinzioni profonde derivanti da motivi religiosi, morali, etici, umanitari o simili" - rileva sia come obiezione assoluta (cd. obiettori pacifisti) che sotto forma di obiezione parziale, ed in quest'ultimo caso tanto con riguardo al rifiuto dell'uso illegale della forza (ius ad bellum) che sotto l'aspetto del rifiuto dell'uso di mezzi e metodi di guerra non consentiti o non conformi al diritto internazionale o al diritto internazionale umanitario (ius in bello).

A fronte di quanto detto, ed a conforto di quanto già riportato in altra precedente occasione - prima citata -3, è dunque ipotizzabile che, seppur forse in misura tra loro differente (saranno la Storia ed i Tribunali a stabilirlo), anche in queste settimane di guerra vi possano essere delle violazioni riguardanti entrambe le parti in conflitto: una probabilità di cui dover tenere conto, se si vuole rimanere equilibrati nel giudizio, quantomeno sotto il profilo giuridico. 


Avv. Marco Valerio Verni


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