[Pace] Una riflessione critica a 60 anni dalla prima marcia Perugia-Assisi del 1961
- Subject: [Pace] Una riflessione critica a 60 anni dalla prima marcia Perugia-Assisi del 1961
- From: Alessandro Marescotti <a.marescotti at peacelink.org>
- Date: Sat, 9 Oct 2021 14:08:10 +0200
Il movimento pacifista italiano ha conosciuto quattro stagioni:
- la sua primavera, con la marcia Perugia-Assisi del 1961;
- la sua estate, con la lotta agli euromissili dell’inizio degli anni Ottanta, sostenuto dal PCI di Berlinguer ma anche da tanti giovani e da tante realtà spontanee della società civile;
- il suo autunno, con la guerra del Golfo del 1991, in cui il pacifismo venne abbandonato dal PCI, ormai a fine corsa, ma per fortuna don Tonino Bello ebbe la capacità, con padre Ernesto Balducci, di ridare un riferimento credibile ad un movimento disconosciuto da chi lo aveva alimentato, magari in funzione anti-craxiana;
- il suo inverno, con l’appoggio di D’Alema e Fassino alla guerra del Kosovo del 1999 e dell’Afghanistan del 2001; un inverno durato vent’anni, caratterizzato persino da ambiguità durante le guerre di Libia e di Siria che hanno visto uno sbandamento vistoso del movimento pacifista.
Unica eccezione nel lungo inverno del declino pacifista è stato il grande movimento mondiale del 2003 per fermare la guerra di Bush in Iraq. Un movimento che si innestava nella precedente mobilitazione no-global del 2001. Nel 2003 milioni di persone riempirono le piazze, e anche i balconi, con le bandiere arcobaleno.
L'assuefazione al male
Oggi, a sessant’anni dalla prima marcia Perugia-Assisi, il movimento pacifista conosce una crisi senza precedenti. Pensate che non vi è stata alcuna reazione allarmata neppure alla notizia (rivelata da Wikileaks) che la CIA è in grado di controllare tutti i cellulari e persino le nostre conversazioni davanti a una smart TV.
Oggi ignoriamo che c’è un informatico in carcere negli Stati Uniti che – con grande sacrificio personale – ha passato a Wikileaks oltre ottomila pagine top-secret (con il nome in codice Vault 7) che attestano quella capacità di controllo globale su cellulari e smart TV, in violazione della Costituzione Italiana e della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Il nome di questo informatico è Joshua Adam Schulte ma non vedo folle che si mobilitano. Si ripete il copione di Edward Snowden che adesso è salvo non perché ci siamo mobilitati noi ma perché è saputo fuggire e ora vive nascosto.
La “guerra al terrore” ha generato il carcere di Guantanamo (su cui è partita una campagna per la chiusura), dove hanno torturato le persone senza che il movimento pacifista abbia fatto in Italia qualcosa di realmente significativo. Alcuni addirittura pensavano che Guantanamo fosse stata chiusa! La nostra responsabilità di pacifisti è grande. Perché? Semplice. Perché loro hanno addormentato le nostre coscienze. Ma noi che abbiamo fatto per svegliarle?
La strategia della rana bollita
Vent’anni di guerra in Afghanistan ci hanno abituato ai suoi abusi. Le violazioni delle Convenzioni di Ginevra non hanno mobilitato le masse. Non siamo stati in grado neppure di supportare la richiesta della Corte Penale Internazionale di processare gli Stati Uniti per crimini di guerra.
La strategia del potere in questi anni non è stata quella di sbaragliare il pacifismo con una prova muscolare. La strategia è stata quella di mettere in una pentola tiepida la rana e di lessarla un po’ alla volta, finché non ha avuto più lo scatto per saltare fuori. Ed ora il movimento è bollito. Quanti si stanno battendo per chiedere la liberazione di Daniel Hale che ha fatto obiezione di coscienza ai droni e oggi è in un carcere americano per aver raccontato la verità? Quanti provano l’indignazione giusta per uscire fuori dal tiepido brodo in cui sono stati lessati?
La solitudine di Assange
Siamo di fronte a una preoccupante assuefazione al male. Una larga fetta della società convive con ciò che detesta. Ma è come se questa assuefazione la subissimo anche noi pacifisti perché, come ho scritto prima, non siamo in grado di supportare efficacemente la campagna per Wikileaks e per la liberazione di Assange.
Permeabili alle bugie di guerra
Senza il contributo di Assange non avremmo saputo che cosa succedeva realmente in Afghanistan. E quando Assange ha messo online le menzogne di guerra, noi non abbiamo usato quegli strumenti formidabili, ma ci siamo succhiati come caramelle le bugie che venivamo condivise sui media progressisti.
Abbiamo persino creduto che la guerra in Afghanistan avesse migliorato le condizioni di vita degli afghani! Tutte bugie che gli Afghanistan Papers hanno demolito, ma quanti hanno letto gli Afghanistan Papers fra i pacifisti italiani? E così ci siamo fatti infiltrare dalla propaganda, altrimenti non si spiegherebbe la nostra mancata azione per porre fine alla guerra in Afghanistan, guerra interrotta per volontà degli Stati Uniti senza che vi fosse una battente iniziativa pacifista.
Questo è un estratto da un lungo saggio che oggi fa da articolo di apertura sul sito di Micromega, una riflessione a 60 anni dalla prima marcia Perugia-Assisi. Per leggere il testo completo cliccare su
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