Lettera aperta all'Ordinario
militare mons. Vincenzo Pelvi
e per conoscenza a Famiglia
Cristiana.
Eccellenza
Rev.ma,
ho
appreso dal sito dell’Ordinariato (News del 24/11/12) che è in vendita il
volume “Il Cuore delle Missioni di Pace”, supplemento a “Famiglia
Cristiana”, il quale “attraverso
scritti e immagini aiuta a conoscere meglio l’impegno dei militari italiani
all’estero ma soprattutto i sentimenti e i valori che animano tanti giovani
con le stellette”.
Sul
medesimo sito è riportato anche uno stralcio del suo contributo (che non
potrò leggere per intero, non volendo sostenere la pubblicazione
acquistandola) sul quale mi soffermo a riflettere.
Lei,
dunque, scrive rivolgendosi al militare italiano impegnato in
guerra:
“Caro amico, ti saluto con paterno
affetto e ti ringrazio per il dono della tua vita al servizio della pace. E’
per tutti motivo di grande gioia l’impegno in favore dei popoli kosovaro,
libanese, afgano da te profondamente consolati e concretamente aiutati.
Imparare a vivere per una ragione che è più potente della vita stessa; una
passione per l’uomo, chiunque sia e dovunque si trovi, per il suo valore
infinito: ecco la tua vocazione. Amo pensare alla motivazione interiore che
plasma la tua professione e ti vede al servizio del bene comune, custode
della concordia civile, messaggero di quella sicurezza radicata nel cuore di
chi non ha paura di donare se stesso”.
“Grazie perché testimoni
che nasciamo con qualcosa che ci brucia dentro e inquieta: la sete di essere
amati e di amare, che ogni uomo viene al mondo con un bisogno sconfinato di
felicità e con uno smisurato anelito di fraternità e libertà. Interpretando
i sentimenti degli italiani, desidero ancora riaffermare la riconoscenza a
te che dai prova di una straordinaria forza interiore, sopportando grandi
sacrifici e affrontando non pochi disagi. Ma la speranza racchiusa nel tuo
cuore è fonte luminosa della certezza che non sei solo e che non lo sarai
mai. E se in qualche attimo ti manca la fiducia, ricordati che il Signore
Gesù ti ama, ti parla, perché sei suo amico e presto esaudirà i tuoi
sogni”.
Non
trovo gioia nel fatto che ci siano stati italiani, armati di tutto punto,
partiti per la guerra (ancorché ribattezzata “missione di pace”) e la prego
con cortesia di non farsi interprete dei miei sentimenti per esprimere
gratitudine a queste persone: non ho alcun motivo di ringraziarle. Anzi,
leggere che i soldati abbiano “profondamente consolati e concretamente
aiutati” quei popoli, mi riempie di tristezza perché mi appare come la
beffa che segue al danno. Quanto alla “vocazione” che lei discerne nella
scelta militare, cioè “imparare a vivere per una ragione che è più
potente della vita stessa”, su questo in qualche modo concordo: è vero
che i militari hanno ragioni più potenti della vita, infatti impegnano la
loro addestrandosi a sopprimerla.
Sinceramente,
lo “smisurato anelito di fraternità e
di libertà” che le appare testimoniato da chi partecipa ad azioni di
guerra, io lo riscontro molto più in coloro che - sono parole del Concilio
Vaticano II- “rinunciando alla
violenza nella rivendicazione dei loro diritti, ricorrono a quei mezzi di
difesa che sono, del resto, alla portata anche dei più deboli” (Gaudium
et Spes, 78). Sto parlando della difesa civile nonviolenta che quanto ad
efficacia e valore etico, ha ricevuto ampie conferme di studio, pratica e
-come sottolinea il Concilio- vita cristiana. Aggiungo che in Italia esiste
una norma di legge (art. 8 c. 2-e L. 230/98) che impegna lo Stato ad
attivare forme di ricerca e sperimentazione in materia di difesa civile non
armata e nonviolenta, verso la quale non viene investita nemmeno una
briciola delle ingenti risorse destinate alle Forze armate di cui lei fa
parte.
Perché
la Chiesa italiana non cessa di entrare organicamente nell’organizzazione
militare e non offre, invece, il contributo che le è proprio per valorizzare
la difesa nonviolenta? Almeno per dare concretezza a quell’anelito
conciliare a cinquanta anni dalla sua apertura!
Del
resto, per prestare assistenza spirituale alle nostre sorelle e ai nostri
fratelli con le stellette, non è indispensabile né opportuno che sacerdoti e
vescovi le indossino. Senza di esse, sacerdoti e vescovi possono additare ai
militari molto meglio quello che lei, giustamente, scrive ad ogni soldato:
“se in qualche attimo ti manca la
fiducia, ricordati che il Signore Gesù ti ama, ti parla, perché sei suo
amico e presto esaudirà i tuoi sogni”. I sogni che ci rendono amici di
Cristo e che egli esaudisce, sono solo quelli disarmati, sono quelli del
profeta Isaia: “Spezzeranno
le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una
nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più
l’arte della guerra”
(Is 2,4).
Io
sogno che un giorno lei e tutti i cappellani militari strapperete le
stellette dalle vostre talari, ma resterete nelle caserme, sulle navi
militari, nelle zone di guerra, in mezzo alle soldatesse ed ai soldati per
incoraggiarli a spezzare i loro fucili d’assalto ed aiutarli a rifiutarsi di
imparare a combattere.
Con
un fraterno e sincero saluto di pace.
Napoli,
25/11/2012
Antonio
Lombardi (Pax
Christi)