Riportiamo ampi stralci dell’intervista che madre Mariam-Agnès de la Croix, superiora del monastero di Qara, Siria, ha rilasciato a Ora pro Siria. Coordinatrice del gruppo di supporto del movimento Mussalaha (in arabo «riconciliazione»), movimento popolare interconfessionale e multietnico, ha partecipato il 20 ottobre a Roma a un incontro sulla crisi siriana, promosso da Aiuto alla Chiesa che Soffre, insieme al patriarca Gregorios III Laham.
Quali sono le motivazioni che hanno spinto Lei, una religiosa, ad  impegnarsi in questa campagna di informazione sulla Siria?
Ho notato  che semplicemente il raccontare i fatti così come li viviamo ha suscitato  inquietudine e ha causato reazioni da parte di alcuni per i quali la promozione  di posizioni ideologiche passa prima della realtà sul terreno, o di altri per i  quali la realtà è a tal punto quella presentata dai media che qualsiasi altra  narrazione, anche quella dei testimoni oculari, appare a loro come una menzogna  o una cospirazione contro la democrazia. Sapete bene che la strada per l’inferno  è lastricata di buone intenzioni. Un’ideologia è intrinsecamente perversa quando  dimentica la realtà per creare una realtà alternativa plasmata a misura dei  propri interessi. Aggirare la realtà con la creazione di una realtà alternativa  si chiama “manipolazione delle masse”. Chi ne viene interessato subisce una “alienazione”. Ho sperimentato il dolore di tali situazioni e, naturalmente,  sono stata sempre più spinta dalla mia coscienza e dal mio impegno religioso a  dare la mia testimonianza pacatamente, sapendo che è, in ultima analisi, per  difendere gli innocenti e i piccoli, quelli di cui nessuno parla e che non  interessano a nessuno, perché non fanno parte del mercato politico. Sì, ho  accettato di dare la mia testimonianza e continuerò a farlo avendo cura di non  esprimere giudizi affrettati. Continuo a credere nella buona volontà della  comunità internazionale e spero che con una testimonianza credibile i cuori si  volgano in favore del Vero e del Bene, e ricevano la forza di lavorare per la  giustizia, anche a costo di una perdita di alcuni interessi momentanei. È  un’utopia credere che sia lecito che gli    interessi delle grandi  potenze siano pagati con il sangue degli innocenti. Credo che questa epoca sia  finita. Siamo nell’era della globalizzazione e digitale. L’opinione pubblica non  si lascia ingannare e non può essere rinchiusa nella propaganda di massa.
Perché secondo lei, ogni posizione sugli eventi in Siria viene  ricondotta a un pro o contro Assad?
Improvvisamente i media hanno  mostrato un ritratto in bianco e nero. Da una parte i “manifestanti pacifici”, che, sia detto en-passant-, sono confusi con tutto il popolo siriano mentre non  sono la maggioranza, e dall’altra un regime oppressivo assetato di sangue.  Questo ritratto binario, manicheo, è un metodo di manipolazione delle masse.  Ricordiamo che i  media non sono un pulpito di buona condotta, né una  scuola di valori, tanto meno un riferimento morale. Ma la loro attrazione è tale  che molte persone recepiscono l’immagine, accompagnata da un discorso  semplicistico, come loro Credo perché hanno fame di una Causa. E quale migliore  Causa che l’espellere un dittatore rimanendo comodamente seduti nella propria  poltrona? Abbiamo sperimentato la censura di un sistema che, mentre  assicura la promozione della democrazia e della libertà di opinione, diventa  totalitario. Questo abuso è in contrasto con i diritti umani e sfigura il volto  del mondo occidentale. L’impossibilità di formulare un parere diverso da quello  che viene offerto come norma da seguire e da pensare. Ho parlato un giorno di “prêt à penser”, “pronti a pensare”. La situazione in Siria è molto complessa ed  è per questo che siamo stati costretti a parlare a questo proposito: ci sono  gruppi – che sostengono di appartenere all’opposizione – che terrorizzano la  popolazione, distruggendo le  infrastrutture di Stato, mettendo in pericolo  le zone residenziali e saccheggiando il patrimonio culturale. Noi siamo  testimoni di questi gruppi che abbiamo nominato nel novembre 2011 “bande armate  non identificate”. Oggi tutti hanno riconosciuto questi personaggi. Si tratta di  mercenari finanziati da Arabia Saudita e Qatar. Secondo la rivista americana “The Economist” ci sono più di 2000 gruppi che operano in Siria, la maggior  parte sono legati ad Al Qaeda, ai Fratelli Musulmani e ai salafiti. Non sono  venuti per instaurare la democrazia, ma la legge  coranica in nome di  Allah. Essi sfruttano la religione per scopi politici. Essi danno un’immagine  negativa dell’Islam. È un dovere per noi di parlare e di nominare gli  aggressori, chiunque siano quelli che mettono in pericolo la popolazione civile  e la vita di innocenti. Oggi gli esperti dicono la rivoluzione è stata deviata  favorendo un conflitto settario e confessionale. È un peccato. Ieri il grande  oppositore Nabil Fayyad ha scritto in tono drammatico sulla stampa araba: “No,  non è la mia rivoluzione”. Cosa dire dopo questo? Pensate che la  gerarchia cattolica in Siria e il suo leader siano dei minorati o degli ostaggi  che hanno bisogno di uno sponsor o un salvatore che parla per loro? Ecco un bel  modo per deviare la voce autorevole di un responsabile. Sua Beatitudine il  Patriarca inizia il suo appello per la Riconciliazione con una citazione di san  Paolo per mostrare che si tratta di un messaggio spirituale. Sua Santità papa  Benedetto XVI in Libano, chiedendo la Riconciliazione come la via di soluzione  in Siria, ha chiamato i cristiani ad essere ciascuno nel proprio ambiente un “servo della Riconciliazione”. I nostri pastori non ci chiamano a una posizione  di sottomissione ad un regime, ma ad una posizione di fedeltà al messaggio di  Cristo che ci insegna ad amare i nostri nemici e a pregare per coloro che ci  perseguitano. La riconciliazione è la via perché essa mette fine all’odio e  insegna l’amore a colui che si presenta o che io credo essere il mio  nemico. È per la paura del regime di Assad? Questa accusa è ridicola. La  Chiesa non ha paura di nessuno ed è indipendente da qualsiasi autorità politica.  La Chiesa dice, spesso ad alta voce, quello che crede essere la verità e la  giustizia. D’altra parte, è vero che oggi la Chiesa riceve minacce e che  sono spesso attuate, ma provengono dagli insorti. Per non ripetere gli eventi  già noti (come ad esempio l’esodo di 150.000 cristiani a Homs e la zona  circostante a causa dell’invasione di queste aree da parte dei ribelli e  mercenari stranieri) notiamo che sono i quartieri cristiani che sono più spesso  oggetto di attacchi armati: ieri un’autobomba a Bab Touma e l’incendio presso la  Chiesa dell’Annunciazione a Midane, la settimana scorsa il bombardando delle  aree cristiane di Aleppo ha causato undici morti, poi omicidi e sequestri  giornalieri dell’elite cristiana. Nonostante questo i nostri pastori rifiutano  di parlare di persecuzione, ma di pressioni per costringere i cristiani ad  essere più concilianti con l’opposizione armata. Conosciamo il regime e il suo  aspetto dittatoriale. Le sue azioni non ci sorprendono. Ma che una opposizione  ufficialmente presentata come promotrice dei diritti umani, della democrazia e  della libertà, agisca con violenza ancor più sanguinosa rispetto al regime,  questo è ciò che sciocca. L’appello delle Gerarchie della Siria è chiaro. Si  esprimono a partire da un piano spirituale e invitano a resistere a un  messianismo falso. La teologia della liberazione ha degli aspetti che ogni etica  cristiana deve adottare come opzione preferenziale per i poveri e la lotta  contro l’ingiustizia. Ma la Chiesa mette in guardia contro l’adozione della  lotta politica al posto di combattimento spirituale. (…) Sursum corda! Come  cristiana io sono impegnata nella Città terrena, ma tengo gli occhi in alto, a  Gerusalemme, la città che scende dal cielo, che è mia Madre. Questo è il mio  progetto di vita, che mi riempie di speranza e di gioia. Il Regno di Dio mi  riempie e mi rende felice fino al midollo della mia vita passeggera. Ne sono  testimone rispettosamente, senza cercare di imporlo a nessuno. Ma io dico che è  un dono da condividere con tutti gli uomini di buona volontà e non posso  resistere al desiderio di farlo. (…) Ma di che tipo di democrazia stiamo  parlando? E perché, giacché questa è la democrazia, il mondo intero si immischia  di imporre con il ferro e fuoco la sua opinione al popolo siriano, che nella sua  maggioranza è messo a tacere da oppressione, isolamento e ostracismo proprio da  questi pseudo-combattenti per la libertà e la democrazia? Io credo che una  vera democrazia inizia con il diritto di autodeterminazione di un popolo. Un  referendum è una conditio sine qua non. Elezioni libere altrettanto. Chi si  preoccupa di sentire il popolo siriano quello che pensa? La democrazia può anche  diventare un cavallo di Troia per far passare progetti che nulla hanno a che  fare con l’effettiva liberazione di un popolo. Guardate in Iraq, meditiamo sulla  Libia.
L’iniziativa stessa di Mussalaha ad alcuni sembra che corra il  rischio di fiancheggiare Assad, ad altri invece un ingenuo tentativo senza  possibilità di incidenza reale.
La Riconciliazione è la più grande  forza al mondo. Guardiamo Gandhi e il suo movimento della non-violenza, ha  sconfitto la più grande potenza coloniale del mondo. Guardiamo Nelson Mandela e  la sua azione non violenta, che ha messo fine alla terribile legge  dell’apartheid. Credo che la Riconciliazione è un colpo grande contro  coloro che hanno in mente di instaurare un proprio regime con ferro e fuoco  senza tener conto della maggioranza silenziosa che essi sequestrano attraverso  il taglio delle strade di accesso nel Paese e che essi destabilizzano invadendo  i quartieri residenziali. La maggior parte del popolo siriano, ad iniziare  dall’opposizione che opera all’interno del paese, ha chiesto una soluzione  pacifica, senza l’intervento straniero.
Nonostante tutte le ambiguità degli Organismi internazionali,  continuano alcuni tentativi di mediazione, anche da parte dei Paesi Non  Allineati o dei Paesi Arabi. Ma a questo punto sarà davvero possibile che una  delle due parti faccia un passo indietro e scelga di ritirarsi?
Penso che queste mediazioni non hanno futuro perché sono prigioniere di  schieramenti politici e quindi di interessi inconciliabili. Un blocco respinge  Assad per motivi geostrategici. Un blocco vuole    Assad per ragioni  geostrategiche contrarie. Questo è lo schema delle grandi potenze. Nessuno è  disposto a mollare la presa. Per noi la sola via d’uscita in questa impasse è  l’uscita dalla contrapposizione di regime-opposizione per dare voce al popolo  della Siria stessa nella sua maggioranza silenziosa. Sì, ridargli la priorità a  decidere del proprio futuro, fornendo le condizioni che permettono ai vari  componenti di incontrarsi, dialogare, negoziare, di scegliere e potersi  esprimere tramite referendum ed, infine, libere elezioni. I cristiani hanno il  dovere fondamentale di essere ben informati al fine di prendere una posizione  coerente con i fatti reali e non essere manipolati. Immaginate che, oltre a  sopportare il calvario insieme con gli altri loro compatrioti, i cristiani sono  accusati di essere “con il regime”. Essi non sono per il “regime”, ma come ha  detto il Patriarca maronita Beshara Rai sono con lo Stato. Ora si cerca di  distruggere il loro Stato. Semplicemente essi sono solidali con i loro  connazionali nel lavorare per preservare lo Stato. Questa è la loro casa, questo  è il loro paese. I Cristiani in Occidente sono cittadini a pieno titolo. Essi  possono chiedere ai loro rappresentanti eletti di cambiare la politica dei loro  paesi, e in particolare di abolire le sanzioni che puniscono la popolazione  civile. Non dimentichiamo le centinaia di migliaia di bambini che sono morti in  Iraq a causa delle sanzioni dirette a colpire  il regime di Saddam Hussein.  Una volta che siamo bene informati bisogna pregare, pregare, pregare.  L’informazione dà le buone intenzioni di preghiera. Infine la solidarietà con  coloro che soffrono. Dobbiamo aiutare particolarmente i cristiani orientali a  non prendere la via dell’esilio. Cosa sarebbe un Medio Oriente senza cristiani?  Cosa sarebbero i luoghi santi senza cristiani? Reperti archeologici?  Musei? I cristiani in Siria hanno  bisogno per qualche altro mese di  assistenza finanziaria per sopravvivere lontano dai loro luoghi di residenza (ci  sono 300.000    cristiani sfollati, che hanno perso tutto), senza  cedere alla tentazione di andarsene. Hanno bisogno di aiuti alimentari,  carburante per l’inverno e di trasporti. Una somma di $300 al mese per famiglia  è in grado di migliorare la sua situazione e consentirle di resistere. Non  importa la quantità, ogni donazione è benvenuta e sarà fedelmente trasmessa.  Ecco il nostro conto in banca in Libano (non aperto in Siria a causa delle  sanzioni).
Numero di conto: 4041232351300
Nome completo del titolare del  conto: Monastère Saint Jacques le  Mutilé Pays: Liban
Numero del registro  bancario: 75 Code SWIFT/BIC
IBAN:  LB91007500000004041232351300