la faccia di un feroce dittatore



Inoltro queste considerazioni di Stefano Pellò, islamista dell'Universitàà di Venezia, su un episodio passato largamente inosservato.


-------- Messaggio originale --------
Data: Thu, 27 Sep 2012 22:57:20 +0200
Mittente: stefano pellò
A: Alberto Cacopardo <alberto.cacopardo at alice.it>


ti mando un link di una notizia che probabilmente avrai già visto. Neanche una parola sui media ufficiali, non solo italiani. Se fosse stato un giornalista europeo ucciso dal fuoco dei soldati siriani anziché un giornalista arabo che lavorava per la tv iraniana ucciso dal fuoco dei "ribelli" avremmo avuto le prime pagine e le aperture dei telegiornali. Invece niente. E se fosse che i ribelli ammazzano più dei soldati governativi e fanno più stragi, e che l'esercito siriano ha agito per reazione, anziché il contrario? Perché si dà per scontato che un "regime" (basta il nome del resto) abbia per natura più responsabilità di chi (chiunque esso sia, attenzione) gli spara contro? Non pensi si tratti di un banale ragionamento a priori? È sufficiente creare il mostro (Milosevic, Saddam, Gheddafi, Assad...), poi qualunque cosa succeda è comunque innanzitutto responsabilità sua e del suo "regime". "Dittatore" e "regime" non hanno per definizione avvocati difensori, e una volta inculcato all'opinione pubblica (conta ancora qualcosa, del resto?) che le cose stanno così, una volta recepito l'assunto di partenza, non c'è discorso critico che tenga. Dunque, una volta deciso che qualcuno è un "dittatore", tutto viene di conseguenza, anche le posizioni dei pacifisti critici (ricordo i commenti di alcuni sul tuo blog). "Eh sì, i ribelli avranno pure sbagliato, ma Assad comunque sbaglia di più". Questo è un assunto non supportato da alcuna prova empirica, anzi, ma che nessuno osa mettere in dubbio. Un giornalista ucciso da terroristi non è tale, se lavora per una televisione che esprime il punto di vista opposto. È banale da far paura: semplicemente non esiste. Non esistono i milioni di sostenitori di Assad, non esistono i tripolini e i libici tutti che avevano sostenuto un punto di vista strutturalmente differente, non esistono i ribelli che hanno combattuto per cinque anni contro gli occupanti americani in Iraq. Non esiste il PKK, che evoca soltanto un gruppo di selvaggi montanari in armi. I "ribelli" siriani, invece, sostenuti e armati dalla Turchia nazionalista ed espansionista del neo-ottomano sultano Erdogan, dalla wahhabita e assolutista Arabia Saudita, dal Qatar dei petro-sceicchi, dal fantoccio geopolitico Kuwait, dall'Egitto della pulizia etnica anticristiana, dalla storicamente indifendibile Giordania del settembre nero, più naturalmente dai gonzi angloamericani guidati dalla grande finanza continuano a suscitare l'empatia estetica della civile Europa (oggi leggo sulla BBC un capolavoro dell'ipocrisia britannica, un delizioso articolo dal titolo "Frontline poet", su un combattente dei ribelli che compone versi di guerra). 
No, il giornalista ammazzato non ha la faccia di un feroce dittatore, proprio per niente, né diceva cose da dittatore, come non le dicevano le decine di giornalisti e di membri della società civile damascena e aleppina ammazzati dai "ribelli" nell'ultimo anno. Ricordi l'attacco alla televisione di Damasco? Sette giornalisti siriani uccisi, più una decina di semplici impiegati. Nessuno con un nome né un volto né una storia. Ma questo non è uno scandalo, per il mondo democratico. È più credibile e importante la foto sulla BBC con una donna velata che piange. Chissà chi è, chissà chi l'ha fatta mettere in posa. Ma nessuno si pone il problema: è chiaro, è una vittima del regime.