WASHINGTON – Un’affermazione di Hillary Clinton e alcune indiscrezioni aprono una prima breccia nelle indagini sull’assalto di Bengasi. Il segretario di Stato ha sostenuto che potrebbe esserci un legame tra i militanti locali e Al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi), fazione regionale che spazia dall’Algeria fino al Mali. La Clinton ha però aggiunto che ci vorranno mesi prima che l’indagine sia chiusa. Le rivelazioni si sono incrociate con quelle apparse sui media che non mettono in buona luce la Casa Bianca.
Vediamole in sintesi:
1) Già 24 ore dopo l’attentato l’intelligence Usa aveva informazioni precise che si trattava di un’azione terroristica.
2) Era nota l’identità di almeno quattro militanti coinvolti nella strage e di uno si sapeva anche il nascondiglio.
3) Sono state intercettate telefonate sospette tra un politico libico e il responsabile della Brigata 17 Febbraio, unità che doveva proteggere il consolato di Bengasi ma che è evaporata al primo sparo.
4) I libici non avrebbero permesso agli americani di interrogare alcune persone fermate.
5) Fino a mercoledì sera l’Fbi non era ancora arrivata a Bengasi: il team è bloccato a Tripoli per ragioni non chiare, probabilmente legate alla situazione in città.
6) L’edificio non è stato «sigillato».
Vediamole in sintesi:
1) Già 24 ore dopo l’attentato l’intelligence Usa aveva informazioni precise che si trattava di un’azione terroristica.
2) Era nota l’identità di almeno quattro militanti coinvolti nella strage e di uno si sapeva anche il nascondiglio.
3) Sono state intercettate telefonate sospette tra un politico libico e il responsabile della Brigata 17 Febbraio, unità che doveva proteggere il consolato di Bengasi ma che è evaporata al primo sparo.
4) I libici non avrebbero permesso agli americani di interrogare alcune persone fermate.
5) Fino a mercoledì sera l’Fbi non era ancora arrivata a Bengasi: il team è bloccato a Tripoli per ragioni non chiare, probabilmente legate alla situazione in città.
6) L’edificio non è stato «sigillato».
FUGHE DI NOTIZIE - Le fughe di notizie hanno aumentato il volume delle critiche da parte non solo dei repubblicani ma anche di molti esperti. Quattro senatori hanno scritto una lettera sollecitando il Dipartimento di Stato a rivelare i cablo inviati da Stevens e a fornire tutti i dati possibili sulla catena di eventi conclusasi con l’attacco dell’11 settembre. Fino ad oggi – è l’accusa, fondata – le fonti ufficiali non hanno fornito spiegazioni esaurienti. Inoltre la Casa Bianca, la Clinton e l’ambasciatrice all’Onu Susan Rice hanno cambiato più volte versione sul «contesto». Prima hanno parlato di un’azione non pianificata, quasi spontanea, da parte dei militanti e legata alla vicenda del film blasfemo. Poi hanno ammesso che si è trattato di un attacco terroristico. Infine nelle ultime ore il riferimento ai qaedisti.
I DUBBI - Il fuoco di fila ha un obiettivo evidente. Si vuol capire se il Dipartimento di Stato ha fatto tutto il possibile per proteggere Stevens. Dubbi cresciuti dopo che fonti anonime vicine allo stesso diplomatico citate dalla Cnn hanno sostenuto che lui stesso aveva percepito il crescere delle minacce e riteneva di essere nel mirino di Al Qaeda. Inoltre Washington avrebbe autorizzato l’uso dei locali anche se lo standard di sicurezza era al di sotto della norma. Ma è anche vero che si trattava di una sede provvisoria. La polemica ha raggiunto livelli feroci. Per due motivi. Il primo riguarda il rapporto con i media.
IL DIARIO - Il Dipartimento di Stato ha attaccato la Cnn (definita «indegna») perché ha violato il diario di Stevens trovato nel consolato. E la catena tv ha replicato – lo fa ormai ogni sera – con botte mai viste, arrivando ad affermare che la Casa Bianca «ha mentito» sulla ricostruzione. Alcune obiezioni hanno una base solida, ma altre sembrano strumentali. Ieri sera la Cnn ha parlato a lungo del fatto che il consolato non fosse stato messo in sicurezza dopo l’attacco. Giusto. Ma sono stati loro i primi a entrare sulla scena del crimine impadronendosi del diario. Il secondo è scontato. Mancano poche settimane alle presidenziali e si afferma che Obama non vuole ammettere che la Libia rischia di essere