Figlie promesse in sposa a uomini contro la loro volontà, madri lapidate per aver provato a prendere le loro difese, giovani costrette a interrompere gli studi perchè troppo belle. I casi di cronaca ci restituiscono spesso solo il volto tragico della difficile condizione delle donne musulmane in Italia. La parlamentare Souad Sbai: "In alcuni casi sono più libere nei loro paesi d'origine che qui"
ROMA - Saana, 18 anni di origine marocchina, uccisa dal padre perché amava un italiano. Jamila, 20 anni pakistana, nata in Italia, segregata in casa e costretta a interrompere gli studi dai fratelli perché troppo bella e promessa sposa ad un cugino del suo paese d'origine. P. 15 anni marocchina, costretta dal padre a seguire le lezioni di musica con i tappi alle orecchie perché: "la musica è impura". Aicha, 25 anni, segregata in casa da quando ne aveva 12, con l'unico permesso di uscita per andare a scuola. Storie di donne musulmane che vivono Italia. Segregate, maltrattate, uccise, da padri, fratelli, mariti, in nome di un Islam che a volte, gli stessi omicidi non conoscono bene. Un Islam che anche l'Italia forse non conosce bene perché non riesce a tutelare queste donne se non quando si arriva alla tragedia. E spesso è troppo tardi.Sbai (Pdl): "Più libere in Marocco che qui"."La condizione delle donne musulmane nel nostro paese - denuncia Souad Sbai, marocchina, parlamentare PDL da anni impegnata per la difesa delle donne arabe in Italia e presidente dell'associazione ACMID Donna (Associazione delle Donne Marocchine in Italia) - è in molti casi tragica, molte sono segregate in casa da mariti padroni, vengono tolti loro i documenti, non gli è permesso di imparare l'italiano, subiscono maltrattamenti e a volte sono vittime di poligamia (sono 15 mila i matrimoni poligamici in Italia.) Le storie che emergono, le donne che riescono a denunciare sono solo la punta di un iceberg, di un fenomeno molto sottovalutato". "Queste donne - continua Sbai - nella maggioranza dei casi, almeno per quelle marocchine che sono la comunità più numerosa, nel loro paese potevano fare tutto, lavoravano, uscivano, si truccavano, ballavano, poi arrivano qui, e vengono segregate in casa per paura dei costumi occidentali e perché qui le comunità islamiche dal 1998 con l'arrivo degli estremisti si sono riorganizzate e sono più chiuse che nei paesi di origine".
I musulmani nel nostro paese sono circa un milione e mezzo e la comunità più numerosa è quella marocchina con circa 450 mila presenze come dice il rapporto Caritas Migrantes del 2011. La maggioranza vive al Nord dove è più facile trovare lavoro ma anche il centro del Paese ne ospita larghe comunità. Le moschee islamiche vere e proprie, con cupola e minareto sono cinque (a Roma, Segrate, Brescia, Colle di Val d'Elsa e Catania) gli altri sono luoghi di culto, realtà che si organizzano come associazioni culturali islamiche o sale di preghiera allestite in spazi affittati nei condomini, seminterrati, palestre. Nel 2007, il Sisde aveva individuato 735 realtà ed oggi non avendo dati ufficiali è difficile censirle, come ha detto Izzedin Elzir, iman di Firenze e Presidente UCOII, Unione Comunità Islamiche in Italia, "sono più di 800 su tutto il territorio nazionale ma non si conosce il numero preciso perché non esiste un studio unitario ".
Imam Salem: "Tragedie colpa di cattiva educazione". Riguardo ai fatti di sangue e di segregazione, li definisce "fatti di cronaca" l'imam Sami Salem, da vent'anni in Italia e oggi guida alla moschea della Magliana, "quando accadono questi fatti è colpa dei padri o dei mariti che non hanno saputo educare bene all'Islam, che magari non conoscono bene la religione, arrivano in Italia dove sicuramente tutto è diverso dai loro paesi di origine e ad un certo punto pretendono di imporsi. Se si arriva al sangue, significa che l'ignoranza è sfogata in aggressività perché non si è riusciti a risolvere il conflitto in altro modo e quel genitore si vergogna di essere disonorato di fronte alla comunità. Nei casi di conflitto bisogna andare a parlare con l'imam che è la guida spirituale."
Bouchaib: "Moschee non regolamentate culla del radicalismo"."Il radicalismo spesso arriva proprio dalle moschee - dice Gamal Bouchaib, presidente dei Musulmani Moderati in Italia - le moschee non sono regolamentate nel nostro paese e nascono come associazioni culturali che diventano luoghi di culto, così basta avere dei soldi, essere sponsorizzati e affittare un locale per fare una moschea, anche gli imam non si sa da dove vengano, non c'è una dottrina unica di insegnamento del Corano e questo genera diverse interpretazioni e problemi di estremismo." Non è un caso che negli anni alcuni imam siano stati espulsi dall'Italia. "Ad esempio - continua Bouchaib - se una famiglia viene dal Marocco, è abituata ad imam marocchini, qui invece sono egiziani, jidahisti, afgani e quindi di altre culture, molto più chiusi, gli uomini sentono interpretazioni del Corano che non avevano mai sentito nel loro paese e sono le donne a pagare il prezzo più alto, perché i mariti in tanti casi esercitano la loro autorità in nome della religione e gli tolgono i documenti o non le fanno uscire da casa".
Ottomila richieste di aiuto. Al numero verde dell'associazione ACMID Donna, inaugurato con il progetto "Mai più sola", dove gli operatori rispondono anche in arabo, sono arrivate 8mila richieste di aiuto con l'82% di denunce. Il progetto prevede un percorso completo di assistenza alle vittime di violenza. Quando i carabinieri intervengono portano via la donna che viene ospitata in diversi centri di accoglienza e case famiglie che operano su tutto il territorio nazionale.
"Sono luoghi protetti- spiega Souad Sbai - perché queste donne, una volta che denunciano, rischiano la vita." Altri problemi nascono spesso con le seconde generazioni. Ragazzi che nascono in italia, imparano la lingua e i costumi occidentali e poi ad un certo punto, magari a 15-16 anni si trovano l'imposizione paterna di dover sposare un cugino marocchino o egiziano mai conosciuto. Loro, che neanche sanno parlare in arabo. E' successo a Siham di origine marocchina che ha denunciato l'imposizione paterna ed è stata inserita in un programma di protezione. I giovani che rompono con la famiglia hanno il problema che i loro documenti sono registrati su quelli del padre e loro non hanno la cittadinanza italiana. Sono apolidi e possono essere espulsi. L'onorevole Sbai con un'interrogazione scritta del 29 marzo ha chiesto al Governo italiano come intenda agire per regolarizzare la condizione delle seconde generazioni in Italia e ha proposto la "concessione della cittadinanza onoraria per motivi di giustizia in attesa di un provvedimento che preservi questi ragazzi dai pericoli dell'estremismo domestico o comunitario."
25 aprile 2012