“C’è del marcio in Medio Oriente”. 13/09/12 ( articolo di gennaio 2012 )
Di Mostafa El Ayoubi – Nigrizia.
Far guidare i Paesi arabi della regione da regimi sunniti così da contrastare l’influenza dell’Iran sciita. Sarebbe questo il piano Usa. Lo denunciano un leader dei cristiani maroniti del Libano e il patriarca Beshara Al-Rahi, capo della chiesa maronita.
Dalla speranza di far nascere un mondo arabo libero e democratico si è passati alla preoccupazione per la sua disgregazione e frammentazione su base tribale e religiosa. Tale è oggi lo stato d’animo di molti arabi, a distanza di un anno dall’inizio della cosiddetta “primavera araba”. Il perdurare della crisi politica in Egitto, la distruzione della Libia e l’affermazione degli islamisti – gli unici finora a cogliere i “frutti” delle rivolte arabe -, preoccupano seriamente una parte consistente dei cittadini arabi, in particolare quelli cristiani del Medio Oriente.
In Egitto, il movimento salafita, diventato una consistente realtà politica, è una corrente islamista che considera i cristiani copti eretici da sradicare. Cosa succederà agli 8-10 milioni di copti, quando gli islamisti giungeranno al potere? (*) Saranno sottomessi di nuovo allo statuto di dhimmi come ai tempi remoti? O saranno costretti a esiliare in massa?
Altrettanto problematica la situazione dei cristiani (e di altre minoranze) in Siria. Che ne sarà di loro, se cadesse il regime di al-Assad e prendessero il suo posto gli islamisti, che conducono l’insurrezione armata sotto l’egita degli Usa e dei suoi alleati?
Molti osservatori internazionali affermano che in Medio Oriente e Nord Africa è in atto il tentativo di riconfigurare la mappa geopolitica. Un piano iniziato nel 2003 con l’invasione dell’Iraq e rilanciato nel 2011, sfruttando il vento delle proteste sociali.
L’obiettivo principale è rimodellare i paesi arabi su base etnica e religiosa per controllarli meglio e arginare l’influenza dell’Iran sciita nella regione. Per raggiungere tale scopo, bisogna instaurare piccoli stati guidati dagli islamisti sunniti, come i Fratelli Musulmani. Se il progetto dovesse riuscire, a pagarne le conseguenze saranno le minoranze religiose, i cristiani in primis.
Oggi l’ostacolo che impedisce il compimento di tale piano è la Siria. Motivo per cui gli Usa e i suoi alleati hanno lanciato, all’inizio del 2011, una vasta campagna diplomatica e mediatica, assieme a un’offensiva guerresca, affidata a ribelli e mercenari, per rovesciare il regime siriano.
Preoccupati per il loro futuro nel Medio Oriente i cristiani da anni gridano contro il pericolo della settarizzazione. Michel Aoun, leader dei cristiani maroniti in Libano, preoccupato della crisi in Siria, ha parlato “dell’intenzione degli Usa di creare una diga sunnita all’avanzamento dell’Iran nella regione; sarà una barriera che parte dalla Turchia per raggiungere la Giordania e l’Egitto, passando per la Siria. Quando questa diga sarà realizzata, i cristiani saranno espulsi”. Simili preoccupazioni sono giunte dal patriarca Beshara Al-Rahi, capo della chiesa maronita, il quale teme un’epurazione dei cristiani arabi in Medio Oriente e paventa l’avvento degli islamisti in Siria. In un incontro con il presidente francese Sarkozy, nell’autunno scorso, il patriarca aveva criticato l’ingerenza dell’Occidente negli affari della Siria.
Ma le grida d’allarme non sembrano trovare ascolto nemmeno presso la diplomazia vaticana. Mons. Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio dei diritti dell’uomo dell’Onu, ha avallato un recente rapporto intitolato I crimini siriani contro l’umanità
Mons. Tomasi ha dichiarato, il 3 dicembre scorso a Radio Vaticana, che “la comunità internazionale ha la responsabilità non solo di muoversi con le sanzioni”, ma anche “di prendere in considerazione le esigenze delle minoranze”. Tuttavia, le dichiarazioni del prelato si basano su un rapporto sul quale sorgono molti dubbi. La co-relatrice del rapporto, Karen Koning Abuzayd, è la responsabile della Middle East Policy Council, un’agenzia di consulenza geopolitica composta da rappresentanti dell’establishment americano e di diverse compagnie petrolifere, come Axxon, e di fabbricanti d’armi, come Raytheon. Ciò solleva un problema di conflitto d’interessi e rende poco credibile il rapporto.
Mons. Tomasi avrebbe dovuto confrontarsi piuttosto con i suoi correligionari arabi sulla situazione in Siria, riguardo alla quale mons. George Kassab, arcivescovo di Homs, ha dichiarato qualche mese fa: “Noi cristiani, assieme ai musulmani, abbiamo contribuito a costruire la civiltà araba (…). Oggi, in quanto cristiani, siamo presenti in tutti i settori e in tutte le funzioni pubbliche. (…) abbiamo avuto dei martiri, dei cristiani vittime di gruppi armati, i quali hanno fatto girare la voce che erano i militari a sparare sulla gente e ci hanno anche detto: ‘Noi vi uccidiamo perché collaborate con il regime’”.
Il rapporto Onu, basato solo sul “sentito dire”, è funzionale alla nuova strategia occidentale nella regione. Quindi, non stupisce affatto che testimonianze come quella del prelato siriano vengano ignorate. Fa molto riflettere, invece, il fatto che il Vaticano non ne tenga conto.
(*) L’articolo è di gennaio 2012, prima delle elezioni presidenziali egiziane. redazione at infopal.it