road map vat, miguel
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- Date: Sat, 8 Sep 2012 23:00:17 +0200 (CEST)
http://vaticaninsider.lastampa.it/fileadmin/user_upload/File_Versione_originale/Ayuso_relazione_Istanbul.pdfLa road map del Vaticano su Siria e “risveglio arabo”, padre comboniano Miguel Ángel Ayuso Guixot
alessandro speciale roma
A meno di una settimana dal difficile viaggio di papa Benedetto XVI in Libano, la Santa Sede ha delineato in modo chiaro ed esplicito la sua policy nei confronti del Paese dilaniato dalla guerra civile. Ma l'intervento pronunciato ieri dal padre comboniano Miguel Ángel Ayuso Guixot, segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, durante una conferenza di alto livello a Istanbul sul “risveglio arabo” va molto oltre: delinea la posizione del Vaticano sugli eventi che hanno sconvolto negli ultimi anni due anni il Medio Oriente e il Nordafrica, in una fase in cui l'entusiasmo iniziale ha lasciato il passo allo scetticismo e le comunità cristiane della regione si sentono sempre più nel mirino.
Sulla Siria, padre Ayuso – un esperto di islam e Medio Oriente, che ha diretto per anni il Pontificio Istituto di Studi Arabi e di Islamistica prima di essere chiamato in Curia a inizio estate – riassume in cinque punti le priorità del Vaticano: cessazione immediata delle violenze da parte di tutti gli attori in gioco; dialogo come percorso necessario per “rispondere alle legittime aspirazioni del popolo siriano”; riaffermazione del principio dell'unità del Paese “a prescindere da affiliazioni etniche e religiose”; richiesta alla Siria, in quanto “membro alla famiglia delle nazioni”, di “riconoscere le legittime preoccupazioni della comunità internazionale”; infine, appello alla comunità internazionale perché si “dedichi al processo di pace in Siria e nell'intera regione”. [...]
Si tratta di una posizione articolata che cerca di trovare un equilibrio tra le molte e contraddittorie voci cattoliche sul conflitto, proponendo allo stesso tempo un percorso per uscire dalla spirale della violenza e dallo stallo diplomatico. La Santa Sede non può infatti ignorare i patriarchi delle Chiese orientali della religione che, terrorizzati – come ammette lo stesso Ayuso – dallo “spettro” di quanto accaduto ai cristiani in Iraq, si sono schierati in maniera più o meno esplicita a fianco del regime di Assad e sperano di trascinare dalla loro parte anche papa Ratzinger in occasione della sua prossima visita nella regione.
Guixot sottolinea che la comunità cristiana si tiene fuori dalla “politica delle fazioni” non per “codardia” ma per essere, con “coraggio”, un “ponte” tra le diverse comunità: un'affermazione che è anche un invito implicito ai leader cristiani a non schierare la Chiesa a favore dall'una o dall'altra parte.
Nel suo discorso, il numero due del Dialogo Interreligioso riconosce da una parte legittimità al governo di Damasco, di contro a quanto fatto dalla cancellerie occidentali, ma sottolinea con forza come le “aspirazioni” del popolo siriano siano “legittime” e non possano quindi essere ignorate o liquidate come l'influsso di 'forze straniere', come pure fanno molti leader cristiani. Allo stesso tempo, la richiesta alla comunità internazionale di continuare a lavorare per la pace, significativamente, non fa menzione sull'opportunità di una qualche forma di intervento armato.
Le cinque, terse paginette dell'intervento vaticano alla conferenza di Istanbul delineano anche con una chiarezza finora mai raggiunta il modo in cui la Santa Sede segue le evoluzioni della “primavera araba”, senza cedere agli allarmismi di chi punta il dito contro la crescente violenza contro i cristiani in Paesi come l'Egitto per rimpiangere i dittatori del passato.
Il punto di partenza dell'analisi vaticana è il riconoscimento che, se nella regione prenderanno piede regimi democratici, i diritti umani, a cominciare dalla libertà religiosa, non potranno che beneficiarne e che i cristiani arabi, “insieme ai loro fratelli musulmani, sono pronti a fare la loro parte di cittadini nella costruzione di società che rispettino i diritti umani di tutti”.
Le prime elezioni seguite alla “primavera” – in Marocco, Tunisia e Egitto – hanno portato alla vittoria di partiti islamici che “hanno adottato il linguaggio del pragmatismo e della moderazione”: di fronte a questi risultati, la Santa Sede mette l'accento sulla necessità di coltivare una “cultura della democrazia” che impedisca l'affermarsi di una “forma deteriore di governo della maggioranza” che soffoca i diritti delle minoranze.
Allo stesso tempo, Guixot riconosce le ragioni dello scetticismo di molti leader islamici moderati nei confronti dei sistemi democratici occidentali, associati ai valori “ateistici” e “non islamici” che vedono arrivare dall'Occidente, e sottolinea l'importanza dei documenti messi a punto dall'università egiziana Al-Azhar – il più rispettato centro intellettuale dell'islam sunnita – che sostengono l'affermazione di sistema democratici, dei diritti umani e della libertà di culto nel quadro della tradizione islamica. Una posizione che la Santa Sede valorizza contro chi, come i movimenti salafisti, “strumentalizza la religione come uno strumento per creare discordia” all'interno delle nazioni arabe.
Infine, la Santa Sede riconosce che, perché la transizione si compia e raggiunga il proprio “equilibrio politico naturale”, ci vorrà del tempo e che gli 'scossoni' attuali sono comprensibili; ma avverte anche che la transizione non “deve degenerare e provocare ulteriore instabilità”. Soprattutto, il Vaticano ricorda ai nuovi leader islamici moderati la necessità di rispondere subito ai problemi concreti delle loro società – povertà e disoccupazione in primis – per dare il tempo al “risveglio arabo” di trovare il suo “modello di governo, respingendo quelli che vengono imposti dall'esterno”.
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