Cosa succede in , articolo di Massimo Di Felice







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Cosa succede in Siria: una sintesi dal Réseau Voltaire

Cosa succede in Siria: una sintesi dal Réseau Voltaire

A cura di Stefano Di Felice

La Siria si trova sotto un attacco incrociato da parte della stampa occidentale mainstream e di bande di mercenari, quasi completamente stranieri, al soldo dei governi occidentali di Francia, Germania, Stati Uniti e Gran Bretagna, delle monarchie wahabite del Qatar e dell’Arabia Saudita, con il supporto della Turchia e con la partecipazione particolarmente interessata di Israele.

L’analisi dei fatti presentata dal Réseau Voltaire1 di Thierry Meyssan risulta interessante non solo per la complessità delle argomentazioni e per la ricchezza delle informazioni, fornite direttamente da Damasco, ma per la capacità di far comprendere come ciò a cui stiamo assistendo altro non rappresenta che lo svolgersi di un copione noto e ben sperimentato negli anni. Cambiano gli equilibri, cambiano le alleanze, ma la strategia rimane quella: infiltrare, delegittimare, destabilizzare, annientare e insediare chi possa garantire il controllo. Può essere utile presentare il contributo di Meyssan seguendo i primi tre punti della sequenza di cui sopra, perché è alla fase della destabilizzazione che ci troviamo in questo momento.

Infiltrare

“Sono stati trasferiti dei combattenti dalla Libia alla Turchia, utilizzando anche i mezzi delle Nazioni Unite”. La Turchia ha tra l’altro messo a disposizione alcuni campi lungo il confine, e “il quartier generale dell’Esercito libero ‘siriano’ (Els) – struttura paravento delle operazioni segrete della Nato posta sotto comando turco – si trova nella base aerea Nato di Incirlik”, rende noto il giornalista francese. Tali bande armate “non sono formate da attivisti per la democrazia (…) né sono nate dalle proteste pacifiche del febbraio 2011. (…) I combattenti dell’Els riconoscono l’autorità spirituale dello sceicco Adnan al-Arour, un predicatore takfirista che invoca il rovesciamento e l’assassinio di Asad, non per motivi politici, ma perché di confessione alawita e, in quanto tale, a suo giudizio, un eretico. Tutti i dirigenti dell’Els sono sunniti e tutte le brigate dell’Els sono intitolate a personaggi storici sunniti. I ‘tribunali rivoluzionari’ dell’Els condannano a morte i loro avversari politici (non soltanto i sostenitori di Bashar al-Asad) e i miscredenti, che sgozzano in pubblico. Il programma dell’Els è volto a porre fine al regime laico rappresentato dal Baath, dal Partito nazional socialista siriano e dai comunisti, in favore di un regime puramente confessionale sunnita. (…) Gli islamisti più estremi si sono organizzati autonomamente o hanno aderito ad al-Qa’ida (…), infatti, sono collegati alla Cia”.

La battaglia di Damasco di un paio di settimane fa (nome in codice “Operazione Vulcano di Damasco e terremoto della Siria”), lanciata da Washington e Parigi (e fallita dopo pochi giorni, ndr) è stata “un’operazione di guerra segreta paragonabile a quella condotta durante l’amministrazione Reagan in America centrale. Da 40 a 60mila contras, soprattutto libici, sono entrati in pochi giorni nel paese, per lo più attraverso il confine giordano. La maggior parte di loro si è aggregata all’Esercito libero ‘siriano’. (…) I metodi della Cia sono gli stessi ovunque, così i contras siriani hanno concertato la loro azione militare, in parte sulla creazione di basi fisse (ma nessuna ha retto, nemmeno l’Emirato islamico di Bab ‘Amr, a Homs), poi sul sabotaggio economico (distruzione di infrastrutture e incendi di grandi fabbriche), e infine sul terrorismo (deragliamento di treni passeggeri, attacchi con autobombe in luoghi altamente frequentati, uccisione di leader religiosi, politici e militari)”. Il fatto che dopo pochi giorni i combattenti siano stati costretti a ritirarsi da Damasco, dichiarando di voler prendere Aleppo, dimostra – fa notare Meyssan – che “non ci sono né damasceni né aleppini in rivolta, ma solo dei combattenti vaganti”.

Delegittimare

Il centro del sistema di propaganda consiste nei canali satellitari della Coalizione: al-Jazeera (Qatar), al-’Arabiya (Arabia Saudita), France24 (Francia), BBC (UK) e CNN (USA) ed è coordinato da giornalisti israeliani.

Inoltre, il vice consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Ben Rhodes, di concerto con l’intelligence britannica, è riuscito ad “imporre come principale fonte d’informazione per le agenzie di stampa occidentali una struttura fantasma: l’Osservatorio siriano per i diritti umani. I media non hanno mai dubitato sulla credibilità di tale organizzazione, sebbene le informazioni che emana siano spesso state negate dagli osservatori della Lega Araba e da quelli delle Nazioni Unite. (…) Tale struttura è anche diventata la fonte di informazione delle cancellerie europee da quando la Casa Bianca le ha convinte a ritirare il loro personale diplomatico dalla Siria”. I collegamenti tra l’Osservatorio e il governo britannico e i suoi alleati sono noti da tempo, così come è nota la collaborazione fornita da alcune Organizzazioni non governative2.

Si aggiunga poi l’istituzione, avvenuta nel 2009 ad opera della Cia, di due reti televisive strumento di ulteriori operazioni di propaganda: la rete Barada (il fiume che bagna damasco, ndr) Tv, con sede a Londra, e la rete Orient Tv, con sede a Dubai.

Va da sé che la propaganda viene poi enormemente amplificata dai singoli mezzi d’informazione di ciascun paese, che, in alcuni casi in superficiale buona fede, fanno da cassa di risonanza alla versione dei fatti proposta.

Destabilizzare

Meyssan analizza i tentativi di destabilizzazione della Repubblica araba siriana – chiaramente intensificatisi negli ultimi mesi – a partire dalla politica statunitense conseguente ai fatti dell’11 settembre. É forse il caso di ricordare che egli è stato tra i primi a interessarsi criticamente degli attentati del 2001, pubblicando nel 2002 “L’effroyable imposture”, bestseller uscito in Italia nello stesso anno (“L’incredibile menzogna – Nessun aereo è caduto sul Pentagono”, Fandango Libri).

“La decisione di entrare in guerra con la Siria è stata presa dal presidente George W. Bush durante un incontro a Camp David, il 15 settembre 2001, subito dopo gli attentati spettacolari di New York e Washington. Fu previsto di intervenire simultaneamente in Libia per dimostrare la capacità di agire su un doppio teatro di operazioni. Questa decisione è stata confermata dalla testimonianza del generale Wesley Clark, ex comandante supremo della Nato, che vi si era opposto.

Sulla scia della caduta di Baghdad, nel 2003, il Congresso aveva approvato due leggi che istruivano il Presidente degli Stati Uniti a preparare una guerra contro la Libia e un’altra contro la Siria (la Syria Accountability Act). Nel 2004, Washington ha accusato la Siria di nascondere sul suo suolo, le armi di distruzione di massa che non aveva potuto trovare in Iraq. Questa accusa svanì quando venne ammesso che le armi non esistevano ed erano un pretesto per invadere l’Iraq.

Nel 2005, dopo l’assassinio di Rafik Hariri, Washington ha cercato di entrare in guerra contro la Siria, senza riuscirci, poiché essa aveva nel frattempo ritirato il suo esercito dal Libano. Gli Stati Uniti hanno poi creato false prove per accusare il presidente al-Asad di aver ordinato l’attentato e hanno creato un tribunale internazionale speciale per giudicarlo. Ma alla fine sono stati costretti a ritirare le loro false accuse, dopo che le loro manipolazioni sono state scoperte.

Nel 2006, gli Stati Uniti hanno iniziato a preparare la ‘rivoluzione siriana’ con la creazione del Syria Democracy Program. Si trattava di creare e finanziare gruppi di opposizione filo-occidentali (come il Movimento per la Giustizia e lo Sviluppo). Al finanziamento ufficiale del Dipartimento di Stato si era aggiunto un finanziamento segreto della Cia attraverso un’associazione della California, la Democracy Council.

Sempre nel 2006, gli Stati Uniti avevano affidato a Israele la guerra contro il Libano, nella speranza di coinvolgere la Siria e d’intervenire. Ma la rapida vittoria di Hezbollah sventò tale piano.

Nel 2007, Israele ha attaccato la Siria, bombardando un’installazione militare (Operazione Orchard). Ma, ancora una volta, Damasco ha mantenuto la calma e non si è lasciata coinvolgere nella guerra. I successivi controlli dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica hanno dimostrato che l’installazione non era un sito nucleare, contrariamente a quanto era stato detto dagli israeliani.

Nel 2008, durante l’incontro che la Nato organizza come Gruppo Bilderberg, la direttrice della Arab Reform Initiative, Bassma Kodmani, e il direttore della Stiftung Wissenschaft und Politik, Volker Perthes, esposero brevemente al gotha americano-europeo i vantaggi economici, politici e militari di un possibile intervento dell’Alleanza in Siria.

(…)

A questi elementi storici, si aggiunga che un incontro si era tenuto al Cairo, la seconda settimana di febbraio 2011, tra John McCain, Joe Lieberman e Bernard-Henry Levy, e figure come il libico Mahmoud Jibril (allora numero due del governo libico) e di siriani come Malik al-Abdeh e Ammar Qurabi. Fu questo incontro che diede il segnale delle operazioni segrete, che iniziarono sia in Libia che in Siria (il 15 febbraio a Bengasi, e il 17 febbraio a Damasco).

Nel gennaio 2012, il Dipartimento di Stato e della Difesa statunitensi costituivano la Task Force The Day After, Supporting a democratic transition in Syria, che ha scritto sia una nuova costituzione che un programma di governo per la Siria 3

Nel maggio del 2012, la Nato e il Gulf Cooperation Council (Gcc) hanno istituito il Gruppo di lavoro sulla ripresa economica e lo sviluppo degli Amici del popolo siriano, sotto la co-presidenza tedesca e degli emirati. L’economista siro-britannico Ossam el-Kadi vi ha elaborato una ripartizione delle ricchezze siriane tra gli stati membri della coalizione, da applicare il “giorno dopo” (vale a dire, dopo il rovesciamento del regime per mano della Nato e del Gcc)”

Recentissimi, poi, gli attacchi che hanno gravemente danneggiato gli studi televisivi, a sud di Damasco, dell’emittente satellitare Al-Ikhbariya, che sono costati la vita a 3 giornalisti e a un dipendente, e di pochi giorni fa l’attacco-bomba alla stessa televisione di stato, situata nel centro della città nuova della capitale siriana, in un quartiere particolarmente protetto. Inoltre, sempre a Damasco è stato assassinato la scorsa settimana il presentatore della tv di Stato Mohammed as-Sa’id.

La Siria sta però dimostrando di volere e di sapere resistere ai tentativi di annientamento. Il prezzo da pagare è alto, ed è costituito in primis dalla vita di ciascuna vittima innocente. Se la verità dei fatti è spesso irraggiungibile, la consapevolezza della loro complessità può, se non altro, rendere più difficile l’inganno.