"Liberazione di Damasco"? Una rivoluzione per "laicizzare la Siria e il mondo arabo"? usciamo in strada!!!



 
Ecoradio (!) parla di "Liberazione di Damasco": a forza di stragi e con i soldi del Qatar?
 
Lorenzo Galbiati dice che sì è rivoluzione questa perché "laicizzerà la Siria e il mondo arabo": ma stiamo scherzando?  Non sto neanche a commentare, tanto la cosa è lontana dalla realtà.
 
E appunto, si chiamano "attivisti" anche dei soggetti armati fino ai denti.
 
Ma basta, basta fare la guerra e la pace davanti a un computer.
 
E' quello che gli altri vogliono. CBloccarci nei tentativi di ragionare e far ragionare. Ci sono riusciti già con la Libia.
 
Marinella
 
 
 

Da: "lorenz.news at yahoo.it" <lorenz.news at yahoo.it>
A: redazione at peacelink.it
Inviato: Mercoledì 18 Luglio 2012 14:14
Oggetto: R: [R] Golpisti della (neo)lingua

Alessandro,
 
vorrei far notare a te e agli altri alcune cose.
 
Tu dici che in Siria è sbagliato parlare di rivoluzione, e da un punto di vista tecnico, storico, potresti avere ragione. Io ho più dubbi che certezze. Però non vorrei confondessimo i piani del discorso.
 
Per esempio. Io credo che a parlare di rivoluzione siano quei siriani che sostengono i manifestanti pacifici, quella folla di gente che si è riversata in piazza per un anno finché non è scoppiata la guerra civile. Io credo vada dato ascolto a loro, capire perché parlano di rivoluzione. Io ho delle ipotesi. Perché significa ribaltare un regime dittatoriale che è una dinastia, così come in molto mondo arabo, ribaltarlo con un movimento di popolo; perché significa portare la democrazia, che per la Siria e il mondo arabo è una completa novità; perché significa laicizzare la Siria (che non è veramente laica, soffre delle divisioni sciiti-sunniti, non è indifferente che il clan al potere sia una confessione sciita) e il mondo arabo. Dal loro punto di vista di siriani, mi sembra possa essere così, e questo potrebbe essere paragonabile per loro alla nostra rivoluzione francese, se si considera il modello siriano esportabile nel resto del mondo arabo. Quindi, io resto aperto al dubbio sulla validità di questa cosiddetta rivoluzione.
 
Detto questo, evitiamo la confusione.
Io mi sto riferendo alla “rivoluzione pacifica” sostenuta dal Coordinamento per il Cambiamento democratico che ha firmato quel link insieme a Sinistra Critica, Vauro, Agnoletto in cui si parla appunto di rivoluzione e si chiede che finisca la repressione senza alcun intervento ONU, un appello che condivido in toto, considerando anche che è di qualche mese fa, quando ancora i crimini degli insorti erano pochi e non c’era la guerra civile, e comunque il Coordinamento li ha sempre condannati.
 
Quindi, io non parlo di rivoluzione in Siria per l’insurrezione armata che sta andando avanti ora senza alcun consenso e coordinamento con l’opposizione politica nelle sue varie anime. Mi sembra peraltro che neanche i media parlino di rivoluzione per l’insurrezione armata, anzi da qualche tempo, da quando c’è la guerra civile, sono passati dal chiamare un po’ tutti “attivisti”, come succedeva qualche mese fa, mettendo insieme manifestanti pacifici e insorti armati, al chiamare gli insorti armati “ribelli”, come succedeva per la Libia. Ieri tutte le tv che ho visto parlavano di scontri tra regime e ribelli, e di guerra civile, non di rivoluzione.
 
In conclusione, non vedo da parte dei media questa ansia di chiamare rivoluzione ogni insurrezione armata nei paesi arabi, a dire la verità. Penso parlino di rivoluzione le persone vicine a chi sfida il regime in modo democratico e senza armi. Possono sbagliare, nel linguaggio, ma credo per loro quel cambiamento a cui anelano abbia significati per tutto il mondo arabo che forse noi non cogliamo.
Lorenzo
 
Da: redazione-request at peacelink.it [mailto:redazione-request at peacelink.it] Per conto di Alessandro Marescotti
Inviato: mercoledì 18 luglio 2012 2.07
A: redazione at peacelink.it
Oggetto: [R] Golpisti della (neo)lingua
 
Il giorno 17 luglio 2012 01:24, Patrick Boylan ha scritto a Lorenzo per la Siria:

Non puoi chiamare questa lotta neppure "rivoluzione"
 
 
Concordo con Patrick.
La rivoluzione, nella storia contemporanea, è quella che Karl Marx teorizzò nel 1848 con il Manifesto del Partito Comunista.
Nei secoli precedenti il termine rivoluzione è stato usato dalla borghesia per le proprie rivoluzioni. 
Ma dal 1848 in poi il termine "rivoluzione" ha quel significato (anche se altri hanno voluto manipolarlo, come il fascismo che parlava di "rivoluzione fascista").
 
Dopo la fine del partito comunista sono successe cose incredibili, ad esempio Berlusconi ha salutato con il pugno chiuso, perché il gesto evoca forza e combattività. E così, mentre a sinistra molti non alzavano più il pugno, Silvio recuperava la forza di un simbolo e lo rilanciava alla sua maniera. Nel gesto simbolico veniva iniettato un significato nuovo. Perché si è persa la memoria storica.
 
E lo stesso è accaduto per la parola "rivoluzione" che è rimasta "orfana" della sua memoria storica: un significante a cui era svaporato il significato. Nessuno la usava più quella parola per fare iniziative e la stessa borghesia non la usava più per evocare spauracchi e controbattere. Era una parola andata in soffitta. E siccome la parola ha ancora un fascino su larga parte della popolazione "ribelle", ecco che per la Siria quella parola si è tentato di riprenderla. Ma la si è ripresa anche prima parlando di "rivoluzione dei Gelsomini", temine coniato dai media occidentali.
 
Quindi perché si usa la parola rivoluzione per la Siria? Può definire un processo di lotta armata che non è certo contrastato dalla Cia e dalle monarchie reazionarie del Golfo? Che direbbe Marx? Come mai nella storia contemporanea tutti i movimenti rivoluzionari sono stati ostacolati dalla borghesia e questo - che si definiste "rivoluzionario" - è invece accarezzato da chi ha combattuto tutti i movimenti rivoluzionari nel mondo?
E come mai è stata scelta PROPRIO la parola rivoluzione?
La risposta la troviamo qui:
 
Vi sono nostalgici delle rivoluzioni che - non riuscendo più a organizzarne di proprie - sostengono entusiasticamente insurrezioni armate pensando che siano "rivoluzioni" o proiettando le proprie speranze nella realtà che invece procede in altre direzioni, così come faceva Foscolo quando si illudeva che Napoleone fosse un rivoluzionario che veniva in Italia per liberare il popolo.
Oggi accade lo stesso e la gestione delle parole come rivoluzione è strategica nella manipolazione dei concetti che ci permettono di inquadrare la realtà. Questa operazione ha avuto indubbi successi. Basti pensare appunto a molti di Sinistra Critica (fuoriusciti da Rifondazione per andare "più a sinistra") che si sono infervorati di fronte alla "rivoluzione" siriana. 
 
Quella parola è stata scelta per far penetrare meglio un'operazione mediatica in un'area politica che gradisce la parola rivoluzione. E' un'operazione di marketing linguistico che ha avuto una diffusione in particolare quando gli insorti libici hanno lanciato l'offensiva. Dato che fino a quel momento era circolata la voce che usavano le armi solo per difendersi, come potevano giustificare un'offensiva? Ed ecco che entra in soccorso la neolingua. 
 
E' buffo leggere pagine web come questa
Libia, economia riparte dalle multinazionali e dai rivoluzionari
 
 
Multinazionali del petrolio e rivoluzionari uniti per far ripartire gli affari dei vincitori!
Povero Marx, che sberla.
 
Il fatto che - dopo il crollo del Muro di Berlino - il termine "rivoluzione" venga riutilizzato per la Siria è una chiara operazione di modificazione linguistica pilotata (ve ne sono altre, ad esempio "antiamericanismo" non esiste nel vocabolario ed è stata una forzatura imposta da alcuni media, forzando il processo di formazione delle parole).
 
La mia conclusione.
Non è giusto che una decina di persone (direttori di mass media mondiali ed esperti delle psyop) decidano di inventare una parola o di modificare ad una parola il suo significato originario. Questo è un golpe linguistico. E noi dobbiamo mettere in guardia tutti contro i golpe linguistici perché modificando le parole modifichiamo la percezione della realtà. 
Se ad esempio modifico la parola "volontario" e (come già accade a molti miei studenti) a volontario si associa il militare che fa il volontario, è chiaro che stravolgo la comunicazione e associo ai militari e alla guerre tutti i valori positivi del volontariato, il che rientra perfettamente nella comunicazione delle "guerre umanitarie".
 
Un tempo c'era una difesa gelosa delle parole, specie di quelle che avevano un processo di formazione lungo e sofferto, ora non è più così. Basti pensare che la parola "riforma" che è nata a sinistra oggi è usata strategicamente per fare cose di destra.
 
Come insegnante di italiano e storia su questo sono particolarmente attento (e allarmato). Il processo di formazione della lingua dovrebbe avvenire dal basso e le parole non dovrebbero subire delle mutazioni genetiche con iniezioni mediatiche dall'alto di significati estranei.
 
Ne avevamo già parlato in questa pagina web grazie ad Ermete:
 
Buonanotte :-)
Alessandro