Siria: 1) articolo del FAZ: chi ha fatto la strage di Houla, 2) un rapporto Onu vecchio-nuovo e contraddizioni



Ecco qua alcuni appunti(con le fonti)
Marinella
 
Escalation della guerra mediatica. Due episodi
“Notizia” dell’Onu che sta facendo il giro del mondo ma che ha le solite fonti di parte, non è nuova e presenta contraddizioni. La Bbc (http://www.bbc.co.uk/news/world-middle-east-18405800) dice che la rappresentante Onu per i diritti dei bambini in zone di conflitto Radhika Coomaraswamy è “tornata dalla Siria con racconti terrificanti di bambini scudi umani e torturati”. In realtà il team non è stato in Siria ma a intervistare le persone nei campi di rifugiati nei paesi circostanti. E non adesso ma a fine 2011. L’articolo precisa poi che il rapporto Onu sui bambini in zone di conflitto, del 26 aprile (http://www.un.org/children/conflict/_documents/A66782.pdf) anche se stranamente l’Onu lo rilancia adeso,  si riferiva per la Siria a una “missione nell’area” (cioè nei paesi circostanti) fra settembre e dicembre e citava “testimoni” (rifugiati, tutti dell’opposizione) secondo i quali dei bambini nel villaggio di Ayn l’Arouz nel marzo scorso erano stati usati come scudi umani e messi ai finestrini di bus usati dalle forze armate. I testimoni erano dunque degli oppositori fuggiti dalla Siria.
La “notizia” di aprile adesso riesce come fosse nuova ma viene rielaborata e il tiro alzato: sul sito delle Nazioni Unite http://www.un.org/children/conflict/english/index.html si riprende Al Jazeera che intervista la rappresentante Onu la quale afferma che, quando mesi fa il suo team ha intervistato i bambini,  “testimoni che riferiscono di bambini messi dentro i carri armati”, per evitare che fossero colpiti (i carri armati). Cosa che non è in questi termini nel rapporto Onu di aprile (eppure è a quello che si riferisce; è l’ultimo). Alla BBC lei cambia versione: riferisce che sono alcuni bambini (sempre nei campi rifugiati) che hanno parlato di altri bambini messi in carri armati come scudi umani. Dunque niente di confermato. E anche tecnicamente, abbastanza illogico.
Coomaraswamy ha anche detto (ad Al Jazeera) che i Local Coordination Committees (organismi di opposizione) parlano di molti bambini uccisi dopo l’avvio del piano Annan; e che “altri testimoni” parlano di torture su bambini detenuti. Spinta dalla giornalista di Al Jazeera che le chiede se non si può usare il capitolo VII della Carta dell’Onu per proteggere i civili, la Coomaraswamy ammette  che certo molti pensano questo ma che ciò presupporrebbe che nessuno ponga il veto e invece…
Non a caso per domani 13 giugno il Consiglio nazionale siriano ha chiesto manifestazioni davanti alle ambasciate russe di tutto il mondo, per chiedere alla Russia di non essere più “complice”.
Intanto il portavoce del Segretario generale Onu (http://www.un.org/apps/news/story.asp?NewsID=42198&Cr=&Cr1=) ha chiesto a “entrambe le parti di cessare la violenza armata in tutte le sue forme e cercare soluzioni pacifiche, come richiesto dal piano in sei punti di Kofi Annan.  L’Onu precisa che in sedici mesi di tragedia sarebbero state uccise oltre 10mila persone (senza precisare da parte di chi); la Reuters traduce sempre “uccise dalle forze di Assad”.
 
Passeranno invece sotto silenzio altri due articoli. Quello del Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAZ) (se ne riferisce in inglese qui: http://www.nationalreview.com/corner/302261/report-rebels-responsible-houla-massacre-john-rosenthal#) che sulla base di testimonianze anche di “oppositori che hanno chiesto di rimanere anonimi”, e di “testimoni del posto”, attribuisce il massacro di Houlé di fine maggio, con oltre cento morti fra cui bambini e donne, a gruppi armati sunniti anti-Assad che avrebbero agito durante la battaglia fra esercito e “ribelli” e che avrebbero ucciso membri di famiglie della minoranza alaouita e sciita e della famiglia di un parlamentare.  I filmati, a cura degli stessi esecutori, sarebbero immediatamente successivi al massacro e sarebbero stati poi messi su internet per incolpare l’esercito.
L’altra notizia è che secondo il quotidiano kuwaitiano Al Qabas sono decine e decine i kuwaitiani, sauditi, algerini e pachistani che attraverso la Turchia e hanno raggiunto il territorio siriano arruolandosi fra i gruppi anti-Assad. Vengono accolti in prossimità del confine da elementi del cosiddetto Esercito libero siriano, i quali forniscono ai volontari armi, e carte d'identità siriane da presentare in caso di arresto da parte delle forze di sicurezza.