MARCO
TOSATTI
Il gesuita Paolo Dall’Oglio, da oltre trent’anni in
Siria, promotore instancabile del dialogo e della
riconciliazione anche in questi mesi bui, prende carta e
penna e scrive un appello appassionato a Kofi Annan,
inviato speciale di Onu e Lega Araba nel Paese
mediorientale. Popoli - rivista su cui Dall’Oglio tiene
una rubrica fissa - pubblica in esclusiva il contenuto
integrale della lettera, recapitata dal gesuita all’ex
Segretario generale delle Nazioni Unite. «Ci aggrappiamo
alla sua iniziativa come dei naufraghi a una zattera»,
esordisce Dall’Oglio rivolgendosi a Kofi Annan. Il
religioso prosegue poi sottolineando che «la dinamica
regionale è marcata oggi da una difficoltà reale di
convivenza tra popolazioni sciite e sunnite (…). Ciò
provoca anche grave disagio alle altre minoranze,
innanzitutto quelle cristiane. La primavera araba,
caratterizzata inizialmente dalla richiesta, specie
giovanile, dei diritti e delle libertà, rischia la
deriva confessionale violenta». In questo contesto –
sebbene l’iniziativa Onu segni «una tappa rivoluzionaria
nel percorso dell’esercizio della responsabilità
internazionale nella soluzione dei conflitti locali» -
occorre osare di più: «Tremila caschi blu e non trecento
sono necessari a garantire il rispetto del cessate il
fuoco e la protezione della popolazione civile dalla
repressione. (…) C’è inoltre bisogno di trentamila
“accompagnatori” nonviolenti della società civile
globale che vengano ad aiutare sul terreno l’avvio
capillare della vita democratica». Infine, in quello che
sembra essere il passaggio più delicato della lettera,
considerando la situazione di oppressione che si vive in
Siria, Dall’Oglio scrive ad Annan: «Lei ha ripetuto che
per riappacificare occorre un processo politico
negoziale. Ma si può immaginare questo senza un vero
cambiamento nella struttura del potere, specie in una
situazione come questa dove il governo è una facciata e
anche il regime al potere obbedisce a un oscuro gruppo
di supergerarchi? Bisogna salvare lo Stato, certo. Esso
è di proprietà del popolo. Ma prima è necessario
liberarlo».
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