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Re: [pace] Purtroppo La Valle ha ragione. Resistere, come ieri.
- Subject: Re: [pace] Purtroppo La Valle ha ragione. Resistere, come ieri.
- From: Lorenzo Dellacorte <l_coortis at yahoo.it>
- Date: Sun, 6 May 2012 16:19:34 +0100 (BST)
Resistere non è sufficiente: è un atto di passiva attesa difronte all'affondamento del Titanic. Una Costituzione non applicata è una Costituzione morta: non si tratta solo di applicazione o meno di un singolo o più articoli, ma dell'impianto stesso basato sull'esistenza di Partiti, così come erano usciti dalla guerra. Questi partiti non esistono più: il loro presupposto era un rapporto democratico tra base elettorale, iscritti ed organi dirigenti. Tutto questo è stato spazzato via. I partiti odierni sono capapaci mass-mediatici diretti da squallidi impiegatucci delle lobbis finanziarie, che concorrono solo alla rappresentazione del teatrino della politica!! Per salvare la politica si deve spazzare via questi pericolosi e delinquenziali burattini e riprendere con le nostre mani direttamente il nostro
futuro.
Da: Enrico Peyretti <enrico.peyretti at gmail.com>
A:
Inviato: Domenica 6 Maggio 2012 12:33
Oggetto: [pace] Purtroppo La Valle ha ragione. Resistere, come ieri.
Dove va la Repubblica ?
La crisi che sta squassando il Paese (un
suicidio al giorno) ha una
delle sue cause nella stessa Costituzione della Repubblica, sicchè
ne sarebbe urgente la riforma?
No, la Costituzione non ha nessuna colpa, e anzi la crisi consiste
precisamente nel fatto che essa non è attuata. Se lo fosse, la
Repubblica (cioè il potere pubblico) rimuoverebbe gli ostacoli di
ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e
l’eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della
persona umana (art. 3); se lo fosse, la Repubblica renderebbe
effettivo per tutti il diritto al lavoro (art. 4); sarebbe
tutelato,
anche contro le alluvioni, il paesaggio e il patrimonio storico e
artistico della Nazione (art. 9); i giovani che vogliono formarsi
una
famiglia sarebbero “agevolati” dalla Repubblica con misure
economiche e altre provvidenza (art. 31); la salute sarebbe
tutelata
(art. 32); la scuola pubblica non subirebbe tagli ma incentivi e
nessuno potrebbe pensare di abolire il valore legale dei titoli di
studio (art. 33); il diritto allo studio e il diritto anche degli
indigenti a raggiungere i gradi più alti degli studi sarebbe reso
effettivo dalla Repubblica con borse, assegni alle famiglie ed
altre
provvidenze (art. 34); il lavoro sarebbe tutelato in tutte le sue
forme e applicazioni (art. 35), e così via Tutto questo invece non
accade perché l’Italia è passata, senza che nessuno ne desse
ragione e nessuno vi consentisse, da un regime a un altro, da una
Costituzione ad un’altra, per cui si è deciso e si è accettato
che tutte queste cose che dovrebbe fare la Repubblica le faccia
invece il Mercato, cioè il potere privato e la legge della
competizione e del profitto.
Perché questo passaggio di consegne fosse totale e irreversibile
le
forze politiche, tradendo il mandato costituzionale, hanno fatto a
gara per privare la Repubblica sia delle risorse finanziarie (le
tasse da evadere) sia degli strumenti operativi (Enti di Stato,
partecipazioni industriali, piani di sviluppo) sia della stessa
legittimazione a intervenire nella vita economica e a fronteggiare
le
crisi con le politiche di bilancio. Sicchè se anche nuove
maggioranze e nuovi governi volessero ripristinare il ruolo e le
finalità dell’azione pubblica, non potrebbero perché la
Repubblica nel frattempo è stata resa del tutto impotente a
rimuovere gli ostacoli, a rendere effettivi i diritti, a
garantire,
tutelare, promuovere, agevolare, proteggere, cioè a compiere
quelle
azioni che corrispondono a tutti i verbi con cui nella
Costituzione
sono definiti i suoi compiti. E se tale impotenza è stata per
lungo
tempo la conseguenza di una cattiva politica, ora con il rigorismo
liberista del governo Monti e l’avallo degli altri poteri, diverrà
un obbligo, frutto di una modifica strutturale dell’ordinamento e
di una nuova definizione della Repubblica. La modifica, in quattro
e
quattr’otto dell’art. 81 della Costituzione sul pareggio di
bilancio ne è il primo segnale.
Invece di porre rimedio a tutto ciò, la riforma costituzionale a
cui
stanno lavorando i tre partiti che mediante i tecnici governano
oggi
l’Italia, tende a rendere insindacabile il potere politico e a
mettere il presidente del Consiglio al riparo dalla sfiducia delle
Camere, cioè a vanificare il più tipico e decisivo istituto della
democrazia parlamentare.
L’accordo su cui si discute all’apposita Commissione del Senato,
sulla base di un testo unficato presentato il 18 aprile scorso dal
relatore Vizzini, prevede, per ingraziarsi la plebe, un’irrisoria
e
casuale diminuzione del numero dei parlamentari (da 630 a 508
deputati e da 315 a 254 senatori), ma per il resto comporta tre
riforme destinate a cambiare la figura dello Stato.
La prima consiste nel confermare il bicameralismo, con due Camere
ambedue elette a suffragio universale e quindi aventi la stessa
dignità, ma con una gerarchia di competenze inegualmente
distribuite
tra loro e una rottura per materie dell’unicità delle fonti della
legislazione e quindi dell’unità dell’ordinamento; la seconda
consiste in una torsione presidenzialistica e leaderistica del
sistema di governo, con un presidente del Consiglio provvisto di
investitura popolare, dotato del potere di chiedere la nomina e la
revoca dei ministri, e unico destinatario della fiducia del
Parlamento, che sarebbe chiamato a votare per lui e non per
l’intero
ministero; la terza consiste nel rendere impraticabile il
meccanismo
della sfiducia: che potrebbe essere votata solo dal Parlamento in
seduta comune con la maggioranza assoluta sia dei deputati che dei
senatori, ciò che sta a significare la solennità, l’eccezionalità
e l’implausibilità dell’evento; né le Camere potrebbero votare
impunemente contro una legge su cui il governo ponesse la fiducia,
senza cadere nella tagliola dello scioglimento che in tal caso il
presidente del Consiglio farebbe scattare nei loro confronti; né
potrebbe darsi sfiducia al capo del governo se non grazie a un
ribaltone perfettamente organizzato dalla sua stessa maggioranza,
con
la contestuale indicazione di un altro presidente del Consiglio.
Sembra impossibile che i tre partiti possano fare insieme
appassionatamente una tale riforma, così divisi e diversi come
sono.
In ogni caso occorre vegliare e resistere.
Raniero La Valle
--
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