|      ...e come sempre, il popolo è solo carne da macello. A 
nessuno interessa la vita dei cittadini, ma solo il potere, in oriente come in 
occidente. Anche chi usa la parola democrazia o libertà, in fondo pensa solo al 
proprio potere.   Noi cittadini del mondo occidentale siamo ubriachi di 
consumismo, individualismo,  e ce ne freghiamo degli altri...nonostante due 
mila anni di cristianesimo  e quasi altrettanti di islam e nonostante tutti 
i testimoni di pace e nonviolenza che si sono succeduti, spesso martiri a causa 
delle loro idee di amore e di pace. Dove sono i loro frutti ? Chi ha raccolto la 
loro testimonianza ? Lo dico con amarezza perch' anch' io mi ritengo cristiano e 
nonviolento. ...a mani vuote.   Franco   ----------------------------------------- Franco BORGHI  Via 
Frescobaldi 13 - 44042 CENTO Tel.051.6836715 -Fax 
051.18895462 Cell.348.3802633 Reply to: xenos at iii.it  - farabir at iii.it
  ----- Original Message -----  Sent: Friday, February 03, 2012 5:44 
  PM Subject: R: [pace] articolo Fisk su 
  Siria Prego osservare, meditare e divulgare.
 
 Pierpaolo POLDRUGO
 
 http://www.columbia.edu/~hauben/Report_of_Arab_League_Observer_Mission.pdf
 
 
 ----Messaggio originale----Da: semprecontrolaguerra at gmail.com
 Data: 
    03/02/2012 15.50
 A: <destinatari-ignoti:;>
 Ogg: [pace] articolo 
    Fisk su Siria
 
 da Internazionale in edicola
 
 Damasco
 va alla 
    guerra
 Robert Fisk, The Independent, Gran Bretagna
 
 Le violenze in 
    Siria non accen
 nano a fermarsi. La Lega araba
 non sa più che 
    fare. La segreta
 ria di stato statunitense Hillary
 Clinton 
    continua ad alzare la
 voce alle Nazioni Unite, ma il regime 
    siria
 no e i suoi fedeli sostenitori del partito Ba
 ath non 
    fanno passi indietro. Gli unici a non
 essere sorpresi dalla situazione 
    sono i paesi
 arabi: la Siria – che è considerata dai baathi
 sti 
    la madre del popolo arabo – è da sempre
 un osso duro. I suoi leader sono 
    tra i più te
 naci del Medio Oriente, abituati a quelli 
    che
 Shakespeare avrebbe definito “i colpi di
 fionda e i dardi” 
    scagliati dai nemici e dagli
 amici. Il no di Damasco alla pace con 
    Israe
 le senza un ritiro incondizionato dalle altu
 re del 
    Golan è famoso quanto il no di Char
 les De Gaulle all’ingresso della 
    Gran Breta
 gna nel mercato comune europeo. Ma il re
 gime 
    siriano non ha mai dovuto affrontare
 una crisi come quella in corso. Il 
    numero dei
 morti è ancora lontano dalle diecimila o
 ventimila vittime 
    della rivolta di Hama del
 1982, stroncata da Hafez al Assad. 
    Tuttavia
 le dimensioni della ribellione, le defezioni
 nell’esercito 
    siriano, la perdita di tutti gli
 alleati arabi (tranne naturalmente il 
    Liba
 no) e il lento scivolamento verso la guerra
 civile 
    dimostrano che siamo di fronte al
 momento più difficile nella storia del 
    paese
 dall’indipendenza.
 Un simbolo
 Assad può resistere? Ha 
    l’appoggio della
 Russia. Il primo ministro russo Vladimir
 Putin e il 
    presidente Dmitrij Medvedev non
 hanno intenzione di farsi mettere i piedi 
    in
 testa dall’occidente alle Nazioni Unite, co
 me è successo 
    l’anno scorso quando l’impo
 sizione della no ly zone sulla Libia ha 
    porta
 to alla caduta di Muammar Gheddai. E c’è
 anche l’Iran, per 
    il quale la Siria resta l’allea
 to più solido in Medio Oriente. I 
    sospetti del
 governo iraniano, sul fatto che la 
    comunità
 internazionale stia attaccando Damasco a
 causa dei suoi 
    rapporti con Teheran, po
 trebbero non essere infondati. Colpire 
    la
 Siria e il suo presidente alawita significherebbe colpire al 
    cuore l’Iran.
 Israele resta in disparte, perché teme
 che il prossimo 
    regime siriano possa essere
 più intransigente di quello attuale. Ma 
    la
 Siria è anche un simbolo. Agli occhi degli
 arabi è l’unico paese 
    che abbia osato oppor
 si agli occidentali. Damasco è stata 
    l’unica
 a condannare l’accordo di pace del presi
 dente egiziano 
    Anwar Sadat con lo stato
 ebraico, l’unica a voltare le spalle a 
    Yasser
 Arafat e al suo fallimentare progetto di pace
 con Israele. 
    Damasco ha sfidato coraggio
 samente l’invasore francese nel 1920 e 
    di
 nuovo nel 1946, fino a quando il parlamento
 di Damasco è stato dato 
    alle fiamme per
 stroncare la resistenza. Washington accusa
 la Siria di 
    essere uno stato espansionista,
 ma la verità è che negli anni Damasco 
    ha
 costantemente perso territori. Ha perso il
 Libano a causa delle 
    mire francesi. Nel 1967
 ha perso le alture del Golan, passate sotto 
    il
 controllo di Israele. Nel mondo arabo c’è
 grande simpatia per la 
    Siria, anche se non si
 può dire lo stesso per il regime che la 
    gover-
 na. Bashar al Assad, che non è servile come
 Hosni Mubarak, ma 
    nemmeno un pazzo
 scriteriato come Muammar Gheddafi, ne è
 perfettamente 
    consapevole. Decenni di
 stabilità non hanno liberato la Siria 
    dalla
 corruzione e la dittatura si è affermata gra-
 zie alla tendenza 
    molto radicata nei popoli
 arabi a tollerare il male minore: meglio 
    la
 dittatura dell’anarchia, meglio la pace della
 libertà, meglio il 
    laicismo delle divisioni re-
 ligiose. Per rendersi conto di quali 
    fossero
 le conseguenze di uno stato confessionale,
 ai siriani bastava 
    guardare il Libano, dila-
 niato dalla guerra civile.
 Provo un certo 
    imbarazzo per le parole
 che ho scritto ai tempi del conflitto in 
    Liba-
 no, quando sostenevo che un giorno, dopo
 che l’esercito siriano 
    era stato per anni in
 missione di pace in Libano, l’esercito 
    liba-
 nese avrebbe potuto essere chiamato in
 missione di pace in 
    Siria. All’epoca era una
 provocazione, ma forse oggi non lo è più.
 Una 
    missione di pace dell’esercito libanese
 in Siria potrebbe essere una 
    soluzione. Sa-
 rebbe paradossale, considerando la presen-
 za 
    dell’esercito siriano in Libano dal 1976 al
 2005. Ma rende l’idea del 
    cambiamento in
 corso in tutto il Medio Oriente. La verità è
 che il 
    regime siriano dovrà sbrigarsela da
 solo. La dottrina degli Assad è 
    sempre stata
 quella di resistere a tutti i costi.
 Ma il bagno di 
    sangue a Homs e nel resto
 del paese e le torture fanno pensare che 
    As-
 sad sia davvero al capolinea. I siriani vengo-
 no uccisi in strada 
    come gli egiziani, i libici
 e gli yemeniti. Assad sembra ancora 
    con-
 vinto di poter realizzare le riforme prima
 che il paese si 
    disintegri. Nessuno crede che
 possa farcela. Ma c’è una domanda che 
    non
 ci siamo ancora posti. Se il regime siriano
 riuscirà davvero a 
    sopravvivere, che ne sarà
 della Siria? as
 Robert Fisk è il 
    corrispondente mediorien-
 tale del quotidiano britannico The 
    Indepen-
 dent.
 
 --
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