Non c'è vera opposizione
alla guerra senza pensiero e prassi della nonviolenza, contro la
più ampia e più profonda violenza, che è quella strutturale e
quella culturale, causa e giustificazione delle guerre. Il
pacifismo non basta, è ovviamente impotente, se la cultura
corrente rimane violenta.
Ciao, Enrico
Il 05/09/2011 09:19, Alessandro Marescotti ha scritto:
Caro Tiziano, questo articolo lo hai giustamente inserito nella
lista economia.
Qui (lista pace) cerchiamo di concentrarci sull'opposizione alla
guerra. Mai come ora il movimento pacifista risulta in ritardo e
carente.
Ciao
Alessandro
www.peacelink.it
Date: Mon, 05 Sep 2011 09:01:42 +0200
Subject: [pace] Il diritto alla bancarotta come
contropotere finanziario
Immagino che la mole del messaggio scoraggi la lettura, ma credo
che se non cominciamo noi, dal basso, a capire quel che accade nel
mondo economico continueranno ad ammazzarci dicendo che ci curano.
Il debito che adesso stiamo subendo ha dinamiche molto simili a
quello che abbiamo denunciato da decenni essere lo strangolatore
dei paesi poveri; adesso il nodo scorsoio è arrivato in casa
nostra.
NON DOBBIAMO PAGARLO.
Cominciamo noi a parlarne, visto che il massimo che sento sono
lamentazioni sull'iniquità dei tagli. Cominciamo noi a discutere
come uscire dalla crisi facendo pagare il conto a banche e
istituti finanziari e non ai cittadini.
Invio anche alla lista "pace" perché mi pare si possa cominciare a
parlare di "guerra sociale"; l'esercito in val di Susa e nelle
discariche campane lo conferma.
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http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/ricerca/nocache/1/manip2pg/15/manip2pz/309230/manip2r1/fumagalli/
APERTURA di
Andrea Fumagalli *
LA ROTTA D'EUROPA
Il diritto alla bancarotta come contropotere
finanziario
Solo il diritto all'insolvenza degli stati
potrebbe smontare il potere finanziario. L'Euopa potrebbe
cambiare le regole e unire le sue politiche fiscali Una
finanza mondiale grande otto volte l'economia reale non è
sopportabile e la politica monetaria aiuta la speculazione
In queste settimane di crisi finanziaria
e di pressione speculativa sui paesi mediterranei, l'Europa
non ha fatto una bella figura. E non poteva essere
altrimenti, dal momento che la costruzione di un'Europa
politica, economica e sociale è ancora lungi dall'essere
raggiunta. I poteri sono in mano alla Bce, che detta legge,
tramite l'asse Merkel -Sarkozy. Eppure, ci potrebbero essere
gli spazi per creare le premesse della costruzione di
quell'Unione europea, sociale, economica, solidale e
federale che tutti auspichiamo, in grado di essere superiore
agli opportunismi nazionalistici. Una Ue che è del tutto
antitetica a quella che viene rappresentata dalla lettera
"segreta" o "confidenziale" di Trichet e Draghi al governo
italiano, nella quale vengono dettate le linee di politica
economica che l'Italia dovrebbe seguire se vuole ottenere un
aiuto per evitare il rischio di default e l'aumento degli
oneri d'interesse. Il diktat della Bce si basa su due false
ma comode convenzioni, che derivano dal dogma neo e
social-liberista: neutralità dei mercati finanziari e
fiducia nel loro ruolo di arbitro imparziale dell'efficienza
del libero mercato; la possibilità che politiche fiscali
recessive possano raggiungere l'obiettivo del pareggio di
bilancio pubblico e quindi contrastare la speculazione.
Il biopotere dei mercati finanziari si è grandemente
accresciuto con la finanziarizzazione dell'economia. Se il
Pil del mondo intero nel 2010 è stato di 74 mila miliardi di
dollari, la finanza lo surclassa: il mercato obbligazionario
mondiale vale 95 mila miliardi di dollari, le borse di tutto
il mondo 50 mila miliardi, i derivati 466 mila miliardi.
Tutti insieme questi mercati muovono un ammontare di
ricchezza otto volte più grande di quella prodotta in
termini reali: industrie, agricoltura, servizi. Tutto ciò è
noto, ma ciò che spesso si dimentica è che tale processo,
oltre a spostare il centro della valorizzazione e
dell'accumulazione capitalistica dalla produzione materiale
a quella immateriale e dello sfruttamento dal solo lavoro
manuale anche a quello cognitivo, ha dato origine ad una
nuova "accumulazione originaria" caratterizzata da un
elevato grado di concentrazione. Per quanto riguarda il
settore bancario, i dati della Federal Reserve ci dicono che
dal 1980 al 2005 si sono verificate circa 11.500 fusioni,
circa una media di 440 all'anno, riducendo in tal modo il
numero delle banche a meno di 7.500. Al I° trimestre 2011,
cinque Sim (Società di Intermediazione Mobiliare e divisioni
bancarie: J.P Morgan, Bank of America, Citybank, Goldman
Sachs, Hsbc Usa) e cinque banche (Deutsche Bank, Ubs, Credit
Suisse, Citycorp-Merrill Linch, Bnp-Parisbas) hanno
raggiunto il controllo di oltre il 90% del totale dei titoli
derivati. Nel mercato azionario, le strategie di fusione e
acquisizione hanno ridotto in modo consistente il numero
delle società quotate. Ad oggi, le prime 10 società con
maggiore capitalizzazione di borsa, pari allo 0,12% delle
7.800 società registrate, detengono il 41% del valore
totale, il 47% del totale dei ricavi e il 55% delle
plusvalenze registrate. In tale processo di concentrazione,
il ruolo principale è detenuto dagli investitori
istituzionali (termine con il quale si indicano tutti quegli
operatori finanziari - da Sim, a banche, a assicurazioni -
che gestiscono per conto terzi gli investimenti finanziari:
sono oggi coloro che negli anni '30 Keynes definiva gli
"speculatori di professione") . Oggi, sempre secondo i dati
della Federal Reserve, gli investitori istituzionali
trattano titoli per un valore nominale pari a 39 miliardi,
il 68,4% del totale, con un incremento di 20 volte rispetto
a venti anni fa. Inoltre, tale quota è aumentata nell'ultimo
anno, grazie alla diffusione dei titoli di debito sovrano.
Ad esempio, per quanto riguarda il debito pubblico,
italiano, circa l'87% è detenuto da investitori
istituzionali, per oltre il 60% all'estero. Da questi dati,
possiamo arguire che in realtà i mercati finanziari non sono
qualcosa di imparziale e neutrale, ma sono espressione di
una precisa gerarchia: lungi dall'essere concorrenziali,
essi si confermano come fortemente concentrati: una
piramide, che vede, al vertice, pochi operatori finanziari
in grado di controllare oltre il 70% dei flussi finanziari
globali e, alla base, una miriade di piccoli risparmiatori
che svolgono una funzione passiva. Tale struttura di mercato
consente che poche società siano in grado di indirizzare e
condizionare le dinamiche di mercato. Le società di rating
(spesso colluse con le stesse società finanziarie), inoltre,
ratificano, in modo strumentale, le decisioni oligarchiche
che di volta in volta vengono prese. Quando si leggono
affermazioni del tipo "sono i mercati a chiederlo", "è il
giudizio dei mercati" e amenità del genere, dobbiamo
renderci conti che tali cosiddetti mercati, presentati
ideologicamente come entità metafisica, non sono altro che
espressione di una precisa gerarchia e potere. E la Bce lo
sa bene.
Il deficit pubblico è costituito da due componenti: il
disavanzo o avanzo primario, pari alla differenza tra il
totale delle spese e il totale delle entrate dello Stato (al
netto degli interessi) e le spese per interessi sui titoli
di stato emessi negli anni precedenti. Le leggi finanziarie
possono intervenire solo sull'avanzo o del disavanzo
primario, non sulle spese per interessi. In seguito
all'adozione di misure draconiane, si può creare anche un
avanzo primario, ma se in contemporanea aumenta l'onere del
debito e quindi la spesa per interessi, lo sforzo per
ridurre il deficit di bilancio può essere del tutto
vanificato. Ed è proprio questo ciò che è successo e sta
succedendo oggi in Europa per i paesi Piigs. Al momento
attuale, in seguito ai vari declassamenti che le agenzie di
rating hanno inflitto ai titoli di stato, il divario
(spread) con i bond tedeschi (quelli considerati più
affidabili) è fortemente aumentato. Di fatto, al di là delle
validità e affidabilità o meno delle manovre draconiane,
l'ultima parola spetta sempre, come si confà al moderno
capitalismo, al biopotere dei mercati finanziari.
In secondo luogo, occorre ricordare che ogni politica
fiscale restrittiva ha come conseguenza immediata la
contrazione del Pil. È cosi possibile che l'effetto negativo
di tali cure sul Pil sia maggiore dell'effetto positivo di
riduzione del deficit, con il risultato che l'obiettivo di
ridurre il rapporto deficit/Pil non possa mai venir
conseguito. È il classico caso in cui la cura è talmente
forte da ammazzare il paziente, utilizzando una nota
metafora di Keynes. Tale rischio è tanto più elevato tanto
più la politica fiscale restrittiva avviene all'indomani di
una fase recessiva così pesante come quella del 2009. Ed è
veramente ipocrita che gli economisti che fino a ieri
chiedevano a gran voce tali misure restrittive oggi
paventino il rischio della doppia recessione. Non è
necessario essere esperti di economia per capire che
difficilmente tali manovre di politica economica potranno
avere successo. Al contrario, il rischio è che la situazione
si avviti in una spirale viziosa senza uscita con la
necessità ogni anno di adottare politiche fiscali ancor più
recessive.
I grandi investitori istituzionali sanno perfettamente tutto
ciò. Il raggiungimento del bilancio in pareggio dell'Italia
o degli altri paesi europei non interessa. Ciò che a loro
interessa è, in primo luogo, che lo spazio per la
speculazione finanziaria rimanga sempre aperto e in secondo
luogo che nuova liquidità venga continuamente e
costantemente iniettata nel circuito dei mercati finanziari,
al fine di accrescere la solvibilità delle transazioni.
Infine, in terzo luogo, si vuole che venga garantito il
pagamento delle tranches di interessi. La Bce mente sapendo
di mentire.
La speculazione finanziaria è un meccanismo che nulla ha di
parassitario, anzi. Da quando non sono più in vigore gli
accordi di Bretton Woods, il potere finanziario stabilisce
in modo autonomo e sovranazionale il valore della moneta,
sulla base delle gerarchie e delle aspettative che gli
speculatori istituzionali di volta in volta definiscono. La
pervasività dei mercati finanziari sulla vita economica e
sociale degli abitanti della terra è tale che l'accesso a
porzioni (sempre più decrescenti) di ricchezza sia
condizionato direttamente e indirettamente dagli effetti
distributivi e distorsivi che gli stessi mercati finanziari
generano. Qui sta il loro biopotere e la loro governance.
Ogni euro di plusvalenza generata virtualmente nell'attività
speculativa ha effetti reali sull'economia per circa un 30%
(secondo i dati della Bri), mettendo in moto un
moltiplicatore finanziario che incide direttamente sulle
capacità di investimento e di distribuzione del reddito che
stanno alla base dell'attuale processo di accumulazione.
Tale 30% di fatto è creazione netta di moneta, al di fuori
di qualsiasi forma di signoraggio statuale oggi esistente.
La produzione di moneta a mezzo di moneta implica una
ridefinizione della legge del valore-lavoro e nuove regole
di sfruttamento ed è per questo potere che i mercati
finanziari sono oggi il centro della valorizzazione.
A fronte di questo contesto, è necessario operare per
restringere il campo d'azione dei mercati finanziari: non
tramite l'illusione di una loro riforma, ma tramite la
costituzione di un contropotere, in grado di erodere la loro
efficacia. È necessario rompere il circuito della
speculazione finanziaria andando a colpire la fonte del loro
guadagno, ovvero favorendo la completa svalutazione dei
titoli sovrani che sono di volta in volta al centro
dell'attività speculativa. Tale obiettivo può essere
ottenuto solo tramite uno strumento: il non pagamento degli
interessi (o la loro dilazione temporale) e la dichiarazione
di default (bancarotta). In tal modo, lo strumento stesso
della speculazione verrebbe meno: i titoli sovrani
diventerebbero di conseguenza carta straccia, junk bonds.
Gli investitori istituzionali speculano sul rischio di
default ma sono i primi a non volerlo. In tal modo, la
speculazione non potrà avere come mira il welfare,
soprattutto se si perseguisse una strategia di default
controllato, ovvero accompagnata, a livello europeo e di
concerto con la Federal Reserve, da una politica comune di
gestione della crisi, finalizzata non solo a creare un fondo
di intervento a sostegno dei paesi in difficoltà, ma
soprattutto a emettere eurobonds in grado di sostituire i
titoli sovrani entrati in default a tassi d'interessi fissi
(in linea con il Libor, ad esempio), garantendo i rendimenti
solo ai titoli in possesso delle famiglie e con interventi
di controllo della libera circolazione dei capitali.
Il diktat della Bce, accompagnato dall'immissione di
liquidità ex-nihilo, ha come scopo quello di favorire la
speculazione, non di contrastarla. Solo il diritto alla
bancarotta degli stati europei può rappresentare una prima
risposta efficace, da coniugare con la ripresa di un
movimento transnazionale europeo che ponga al primo punto la
costruzione di un budget fiscale europeo unico, una politica
fiscale e di spesa pubblica che travalichi i confini
nazionali. I principali punti di una simile strategia
programmatica possono essere i seguenti: 1. Costituzione di
un fondo di garanzia europeo finanziato prevalentemente
dalla Bce. 2. Aumento progressivo del contributo di ogni
stato europeo (ora all'1% del Pil) per costituire un budget
gestito a livello europeo in grado di favorire una politica
sociale comune. 3. L'avvio di piano europeo per la
definizione di una politica fiscale comune.
Tali punti rappresentano solo un programma minimo per
consentire il passaggio della sovranità fiscale dal livello
nazionale e quello europeo e consentire, in tal modo, di
porre un contropotere al potere monetario e finanziario oggi
dominante. Ma per raggiungere tali obiettivi è necessario
che si sviluppino movimenti sociali fra loro coordinati in
grado di incidere nello spazio pubblico e comune europeo.
Dai sommovimenti ancora nazionali finalizzati a estendere il
diritto all'insolvenza è ora di passare, tramite le reti
studentesche, dei migranti, dei precari, delle donne, degli
"indignati", al diritto alla bancarotta su scala europea.
Perché tale diritto significa ipotizzare che la moneta è un
bene comune.
* Collettivo UniNomade, Univ. di Pavia
(Testo integrale su ilmanifesto.it e su
sbilanciamoci.info)
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