Mineo. Il
diritto alla fuga per salvarsi la vita
di Antonio Mazzeo
Nel “Villaggio della solidarietà” di Mineo,
filo spinato, telecamere e forze armate hanno fatto
capire ai rifugiati che non si trattava di una
“villeggiatura” ma di una nuova forma di reclusione
senza diritti. Che non favorisce l’integrazione, ma
remunera molto bene privati e “cricca”.
Fuggono.
Li vedi in fila indiana tra i campi e gli aranceti.
Alcuni persino sulla carreggiata della trafficata
superstrada Catania-Gela, in direzione nord. Una
bottiglia d’acqua minerale e uno zainetto con qualche
indumento e un pacco di biscotti. È tutto quello che
portano con sé, ma vanno avanti con determinazione,
dignità, speranza. Chi esercita il diritto alla fuga
ha un progetto di vita chiaro. Raggiungere fratelli,
cugini, amici, quella rete di solidarietà che sanno
bene che in Italia gli sarà negata. Decine, forse
centinaia di giovani. Richiedenti asilo di nazionalità
curda, somala, eritrea, deportati manu
militari dai centri di accoglienza sparsi in
mezza Italia. E i tunisini scampati all’inferno di
Lampedusa, dichiarati d’autorità “richiedenti asilo”
per mascherare i trasferimenti forzati con le unità
della Marina militare.
Il
residence “a quattro stelle” di Mineo (Catania),
abitato un paio di mesi fa dai militari USA di
Sigonella, doveva essere la vetrina internazionale
dell’accoglienza made in Italy, il
progetto-pilota per rendere felici e invisibili
rifugiati e migranti. Quattrocentoquattro villette
indipendenti, uffici, mense, palestre, campi da tennis
e football, sale per l’intrattenimento e le funzioni
religiose e 12 ettari di spazi verdi. Un paradiso per
chi ha conosciuto guerre e carceri nel continente
africano, ma l’assedio di poliziotti, carabinieri e
militari dell’esercito, le telecamere e le recinzioni
sorte in ventiquattrore, lasciano presagire chissà
quali nuove forme di detenzione. E allora è meglio
andare, lasciarsi dietro il deserto ambientale,
sociale e culturale del “villaggio della solidarietà”
imposto da Berlusconi e Maroni per fare un favore ai
legittimi proprietari della struttura, la
Pizzarotti S.p.A. di Parma. Sì,
perché alle origini dell’intera operazione di
riconversione dell’ex villaggio USA nel mega-centro di
accoglienza per richiedenti asilo c’è la ferma
intenzione di continuare a spremere milioni di euro
all’anno da una struttura che rischiava di restare per
sempre abbandonata.
Quando
alla Pizzarotti fu comunicata l’intenzione di
Washington di non rinnovare il contratto d’affitto che
sarebbe scaduto il 31 marzo 2011, i manager della
società si affannarono ad individuare nuovi possibili
locatari del villaggio. Dopo aver giocato inutilmente
la carta del “sociale”, proponendo a destra e manca il
suo utilizzo come “luogo di detenzione alternativo al
carcere per le detenute madri” o come “centro
accoglienza per immigrati e tossicodipendenti”, si
tentò di rifilare la struttura all’Università di
Catania per adibirla a polo di ricerca e cittadella
dello studente. Alla Regione Siciliana e ai comuni del
comprensorio fu presentato un progetto di “nucleo
sociale polifunzionale” con case in affitto a canone
agevolato e spazi per le attività sociali di enti
pubblici e cooperative. Il programma di sviluppo
immobiliare prevedeva pure la realizzazione di un
centro commerciale e di sale cinematografiche, ma
naufragò per lo scarso interesse degli operatori
economici e dei politici locali. L’ultima spiaggia fu
quella di proporre l’affitto direttamente alle
famiglie dei militari USA, 900 euro al mese a villetta
- 160 metri quadri di superficie più giardino –
incluso l’uso gratuito degli spazi comuni e il
trasporto in bus verso la base di Sigonella, parecchio
distante. Saldi di fine stagione: quasi la metà di
quanto il Dipartimento della difesa versava alla
Pizzarotti, otto milioni e mezzo di dollari all’anno
più le spese per la gestione dei servizi all’interno
del villaggio. Fallito anche questo tentativo ci
avrebbero pensato le rivolte per la libertà e il pane
in nord Africa a fornire l’occasione per riaprire i
cancelli del residence e consentire al governo di
stiparvi oltre duemila tra richiedenti asilo,
residenti da tempo in Italia, ed immigrati dell’ultima
ora.
La
portata finanziaria dell’affaire è top secret, ma è
possibile spingersi in una stima di massima. Se
venisse applicato il canone concordato con gli
americani, per i 10 mesi dal decreto di “requisizione”
(2 marzo 2011) del Commissario straordinario per
l’emergenza immigrazione, il prefetto di Palermo
Giuseppe Caruso, il governo dovrebbe dare alla
Pizzarotti non meno di 5 milioni e 500 mila euro. La
legge parla chiaro: anche nel caso di espropri e
requisizioni per pubblica utilità gli indennizzi non
possono essere inferiori ai valori di mercato. Ma
quello di Mineo non sarà un centro legato
all’emergenza di questi mesi, e nei disegni di
Berlusconi e Maroni dovrà avere vita illimitata. Il
dottor Caruso ha ammesso che nei piani del governo e
dei proprietari, c’è l’intenzione di sottoscrivere un
contratto d’affitto per non meno di cinque anni. In
questo modo verrebbero ad essere trasferiti altri 30
milioni di euro dalle casse dello stato al privato.
Pensare che ad una quarantina di chilometri in linea
d’area sorge l’ex base missilistica NATO di Comiso
(Ragusa), la cui titolarità è passata in mano all’ente
locale. Ospita centinaia di alloggi per oltre 7.000
persone, abbandonati all’incuria e ai saccheggi dei
vandali. Accoglienza a costo zero, in una realtà che
ha sperimentato in passato, con ovvie contraddizioni,
il sostegno ai profughi del conflitto in ex Jugoslavia
e Kosovo. Ma come per le grandi opere è la lobby del
cemento a dettare le regole. Sulla pelle dei migranti
e sulle tasche dei contribuenti.
Pizzarotti SPA: Grandi Opere
militari/nucleari
La Pizzarotti è impegnata nella
realizzazione di grandi opere infrastrutturali in
Italia e all’estero. Alcune di esse hanno generato
enormi impatti socio-ambientali: il deposito delle
scorie radioattive di Caorso, la centrale nucleare di
Montalto di Castro, la tratta ferroviaria ad alta
velocità Milano-Bologna, due lotti dell’autostrada
Salerno-Reggio Calabria. La società ha pure
partecipato con poca fortuna alla gara per la
progettazione ed esecuzione del Ponte sullo Stretto di
Messina. In Sicilia ha però ottenuto dall’ANAS lo status di general
contractor per i lavori dell’autostrada
Catania-Siracusa, una commessa di 473,6
milioni di euro.
La Pizzarotti è inoltre una delle aziende di
fiducia delle forze armate degli Stati Uniti
d’America. Nell’ultimo decennio ha fatturato per conto
del Dipartimento della difesa 134 milioni di dollari.
Nel 1979 le era stata affidata la realizzazione a
Sigonella del centro destinato alla Rapid
Deployment Force, la Forza
d’Intervento Rapido USA. A metà anni ‘80 la Pizzarotti
partecipò pure alla costruzione di numerose
infrastrutture nella base di Comiso. Quindici anni
dopo, la società realizzò a Belpasso (Catania) il
villaggio “Marinai” per i militari di Sigonella, 42
ettari d’estensione e 526 unità abitative, fratello
maggiore del “Villaggio degli Aranci” di Mineo.
Successivamente ha eseguito i lavori di
ristrutturazione ed ampliamento delle banchine della
base navale e sottomarini atomici di Santo Stefano
(arcipelago de La Maddalena),
e realizzato una piccola tratta ferroviaria ed alcuni
depositi all’interno della base di Camp Darby
(Livorno). Nell’aeroporto di Aviano (Pordenone),
Pizzarotti ha ampliato i locali adibiti a servizi e
casermaggio, mentre a Camp Ederle (Vicenza) ha
costruito un complesso residenziale per 300 marines e
il nuovo polo sanitario US Army. Non altrettanto bene
è andata a Quinto Vicentino, dove nonostante un
accordo con il Comando dell’esercito statunitense per
la creazione di un residence con oltre 200 abitazioni
per i militari della 173^ Brigata Aviotrasportata
(valore stimato 50 milioni di dollari), gli
amministratori locali hanno scelto d’imporre il veto
al progetto.
La
società di Parma ha stipulato un contratto con le
ferrovie israeliane per la costruzione di un lotto
della linea ad alta velocità Tel Aviv–Gerusalemme,
relativo ad un tunnel che attraversa i villaggi di Beit Surik e Beit
Iksa, all’interno dei territori della Cisgiordania
occupati illegalmente da Israele nel 1967.
Come denunciato da decine di associazioni
internazionali attive nella difesa dei diritti umani,
il progetto viola le norme della IV Convenzione di
Ginevra, che vietano alla potenza occupante
l’esproprio di proprietà private per la costruzione di
infrastrutture permanenti inaccessibili alla
popolazione locale.
Croce Rossa Italiana: Niente bando per
favore
L’altro
grande business di Mineo riguarda la gestione
dell’“accoglienza” dei circa 2.000 richiedenti asilo
presenti. Le organizzazioni siciliane antirazziste
hanno già fatto le prime stime. Agli enti che
gestiscono i CARA sparsi sul territorio nazionale, il
governo versa un contributo che oscilla dai 40 ai 52
euro al giorno per persona. Conti alla mano a Mineo si
spenderà mensilmente dai 2 milioni e 400 mila ai 3
milioni di euro. È la Croce Rossa
Italiana l’ente individuato dalle autorità di governo
senza l’indizione di un bando ad evidenza pubblica.
“Sino al 30 giugno 2011, la CRI
impiegherà fondi propri destinati alla gestione delle
situazioni di emergenza”, ha precisato il prefetto
Caruso. Per i restanti sei mesi coperti dal decreto
anti-sbarchi ci penserà lo Stato. A fine anno la spesa
potrebbe così toccare i 18 milioni di euro.
L’accoglienza soft nei Comuni di mezza Italia, grazie
alle reti solidali di enti e associazioni (il
cosiddetto sistema Sprar), pesa
invece per non più di 20-22 euro al giorno per
rifugiato. Con il vantaggio che le esperienze hanno
forti ricadute sull’economia e l’occupazione locale,
come ad esempio accade a Riace, paesino della
provincia di Reggio Calabria, uno dei modelli
d’integrazione cittadini-migranti a livello
internazionale.
Intanto,
il presidente della Provincia di Catania e
coordinatore regionale del Pdl, Giuseppe Castiglione,
invita la Croce Rossa ad affidare
alcuni servizi del centro di Mineo alle cooperative
locali in buona parte riconducibili al potente
consorzio Sol.Co. di Catania. Una piccola tassa
in cambio del consenso dei politici e degli
amministratori del luogo. Il ghetto per rifugiati e
deportati nel cuore dell’isola è pronto a trasformarsi
in una moderna fabbrica di soldi e di voti.
Inchiesta pubblicata in Valori. Mensile di economia sociale,
finanza etica e responsabilità, Anno 11, n. 89,
maggio 2001.
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