“L’89 arabo”, “Cade il muro del Maghreb” sono
solo due dei tanti titoli di giornale che in
questi giorni hanno tracciato un parallelismo
mediaticamente efficace tra l’89 dell’Europa
dell’est e il 2011 arabo. Analogie ce ne sono,
come è ovvio che ci siano alcune differenze
significative e che dalla comparazione tra le
due esperienze possano emergere alcuni spunti
interessanti.
L'aspirazione alla
democrazia ed il contagio democratico tra
paesi è l'elemento più importante che
accomuna il 1989 ed il 2011 e che rende
appassionante il ragionamento se si
considera quanti commentatori occidentali da
decenni scrivono del presunto impossibile
binomio tra Islam e democrazia. Guardando a
due secoli di storia dei Balcani e della
Turchia, si nota come il problema sia stato
posto più volte e in relazione con il nodo
dell'identità europea di queste regioni. Ora
che per l'ennesima volta i pregiudizi
culturalisti sono stati sbugiardati c'è da
augurarsi che questa sterile discussione si
chiuda definitivamente.
In secondo luogo, come
nell'89 europeo, anche in nord Africa si è
trattato di proteste pacifiche. Tenuto conto
che il mondo islamico in Occidente è
presentato per lo più in relazione a
terrorismo e violenza politica, è utile
sottolineare che anche nel 2011 la violenza
è stata quella del regime contestato e che
al contrario nelle piazze siano prevalse
scelte pratiche e slogan non violenti. Si
potrebbe anche aggiungere un confronto tra
Mohamed Bouazizi e Jan Palach ma andremmo
più indietro nel tempo. Per guardare a tempi
più recenti, invece, si noti che in Egitto
il movimento egiziano "6 aprile" ha avuto
contatti con gli attivisti serbi del
movimento Otpor e ne ha adottato il simbolo
del pugno chiuso.
Terzo, il termine
rivoluzione anche questa volta è associato
ad un fenomeno che non ha obiettivi
propriamente rivoluzionari in termini
politologici. Le piazze arabe hanno fatto
richieste di democrazia ovvero di riforma
politica e non di un radicale cambiamento
del sistema politico, economico o culturale.
Nei dibattiti sull’89 venne introdotto il
termine riFoluzioni per indicare
che si trattava di un mix tra rivoluzioni e
riforme visto che intendevano introdurre la
democrazia liberale e non certo provare con
un nuovo grande esperimento politico
alternativo a quello comunista. Oggi anche
il mondo arabo non sembra
incline a riproporre una qualche
rivoluzione islamica come quella
frequentemente evocata dai media dell'Iran
del '79.
Quarto, il rapporto tra
religione e pratica politica. A chi ricorda
le proteste operaie di Solidarność negli
anni ‘80 non sarà sfuggita l’analogia con
piazza Tahrir. In Polonia, nei cantieri
navali di Danzica si celebravano messe, si
pregava, si sventolavano immagini della
Madonna Nera e via discorrendo. Anche in
Germania est le chiese protestanti erano il
luogo di organizzazione e rifugio di buona
parte del movimento democratico. In Romania
fu attorno alla chiesa del pastore ungherese
László Tőkés che presero il via le proteste
contro il regime di Ceauşescu.
Quinto, la globalizzazione
di oggi può essere messa a confronto con
l'apertura alla competizione economica con
l'Occidente che i sistemi socialisti
affrontarono e persero a partire dagli anni
'70. Inoltre in relazione alle difficoltà
economiche, come per l’89, dalle piazze del
nord Africa esplode la protesta contro i
privilegi e la corruzione delle classi
dirigenti, la gerontocrazia ed il disagio
giovanile.
Da ultimo, c’è da ragionare
sui mezzi di comunicazione. La radio e la
televisione erano stati fondamentali per il
contagio democratico tra i paesi dell'est.
Oggi non va trascurato l'impatto di un
canale televisivo internazionale come Al
Jazeera nello stimolare il diffondersi della
protesta da un paese all'altro.
Ma proprio qui si potrebbe
identificare un primo importante elemento di
differenza. Oggi dal punto di vista
tecnologico la partecipazione democratica
può beneficiare di molti più strumenti di
comunicazione con cui superare la censura
dei regimi autoritari e diffondere il
proprio messaggio nell'opinione pubblica. Il
cambiamento prodotto dal web 2.0 e
dall'integrazione con telefoni cellulari,
radio e tv va studiato bene per capire come
l'orizzontalità e la velocità delle
comunicazioni stiano trasformando i
movimenti sociali.
Un'altra importante
differenza riguarda le relazioni
internazionali. In Europa uno degli ostacoli
da superare era rappresentato dall’URSS e le
proteste che sfociarono nella caduta del
muro di Berlino guardavano ad Occidente. Il
cosiddetto "ritorno in Europa" era un’idea
fondamentale dei dissidenti dell’est ed il
percorso di integrazione europea, pur
tardivo nella sua definizione, era lo sbocco
naturale per una parte importante dei paesi
post-comunisti.
Il mondo arabo invece ha
fatto propria l’idea di democrazia, libertà,
diritti umani - su cui l’Europa rivendica la
paternità - ma non ha aspettative verso
l’Occidente. Al contrario. Le opinioni
pubbliche dei paesi arabi hanno molto chiaro
lo strabismo occidentale per cui si mette in
dubbio la capacità di sviluppare una cultura
democratica nel mondo islamico mentre si
continuano a sostenere regimi autoritari
della regione. Preoccupati solo dei propri
interessi geopolitici – in tema di forniture
energetiche, migrazioni e terrorismo - i
paesi dell’Ue hanno fatto poco e spesso male
alla causa democratica del nord Africa e del
Medio oriente.
Nel 2011 anche di fronte
alle decine di morti, il coraggio dei
manifestanti in Tunisia ed Egitto non ha
generato il caloroso sostegno europeo del
1989. Al contrario si sono visti freddezza,
cautela, imbarazzo nelle cancellerie e
spesso anche sui media. In pochi hanno
espresso sostegno nelle piazze d'Europa dove
i concittadini di origini arabe si riunivano
per mostrare solidarietà ai dimostranti al
di là del mare. Dopo tanta islamofobia non
dovrebbe sorprendere questa reazione
dell’opinione pubblica occidentale, ma si
tratta senza dubbio di una grande occasione
persa per pensare al Mediterraneo che
abbiamo in comune.
Se si guarda al sostegno
internazionale, dunque, le opportunità per
l'est Europa sono state sempre decisamente
migliori. Da una prospettiva come la nostra,
il confronto tra le esperienze dell'89 e del
2011 potrebbe evidenziare soprattutto
l'inadeguatezza di buona parte delle classi
dirigenti dei Balcani rispetto alle promesse
di emancipazione democratica di venti anni
fa. Per scoraggiarsi basterebbe guardare
all'Albania di queste settimane, bloccata
alle condizioni degli anni '90 in quanto a
qualità della propria democrazia, nonostante
la porta dell'Ue le si stia schiudendo
davanti.
Ma, l'abbiamo ribadito
spesso, le sfide della transizione
post-comunista sono state imponenti con la
simultanea trasformazione economica,
politica e culturale dopo i regimi
socialisti, e forse maggiori di quelle che
attendono oggi il mondo arabo. Ma
soprattutto, il 2011 arabo ci stimola a
continuare a lavorare perché la democrazia
resti l'orizzonte politico di tutti.