"il foglio" di Torino sulla festa del 17 marzo
- Subject: "il foglio" di Torino sulla festa del 17 marzo
- From: "Enrico Peyretti" <e.pey at libero.it>
- Date: Sat, 19 Feb 2011 13:51:39 +0100
“il foglio”, mensile di
alcuni cristiani di Torino (www.ilfoglio.info) sul 17
marzo Il 17 marzo 1961, per i
festeggiamenti del centenario dell'unità, non ci fu festa né vacanza. Per tutto
l'anno ci furono celebrazioni a Italia '61 – un intero quartiere costruito ex
novo a Torino – che, come possiamo ancora constatare, esaltava soprattutto il
lavoro (art. 1 della Costituzione) e il progresso tecnico e sociale. Ci fu però
la visita della regina Elisabetta e le dichiarazioni di Kennedy sull’«antica
Torino». Vacanza o no, festeggeremo
anche noi il 17 marzo, senza speciale solennità né entusiasmo. Vediamo perché.
Festeggiamo quel giorno perché dall’Italia e dalla sua storia abbiamo ricevuto
molto, in bene e in male, di ciò che siamo, e perché per il bene di questo
nostro paese siamo da sempre impegnati. Senza troppa solennità, perché non è la
più bella o la più importante delle date storiche
nazionali. Del 17 marzo 1861 rimane la bandiera
tricolore, che è anche nella Costituzione. Non c’è più il regno, né i Savoia, né
terre «irredente», né leggi discriminanti tra italiani, né suffragio elettorale
ristretto, né religione di stato. Grazie a Dio. Quell’evento fu opera di
qualche azione popolare, ma soprattutto delle armi dei Savoia, dei francesi, dei
prussiani e di Garibaldi (avversari-alleati), e dei maneggi di Cavour, a spese
dei soldati-contadini costretti (2000 morti di colera in Crimea), e di borghesi
idealisti e nazionalisti. Eppure fu anche un seme, un iniziale evento di
libertà, tutta da realizzare nella vita quotidiana dei più poveri e
sprovveduti. Le date più importanti,
vergognose o gloriose, che ci fanno cara l’Italia, sono altre. La vera unità
d’Italia è il 1° gennaio 1948,
quando entrò in vigore la Costituzione, l’opera più civile e umana della nostra
storia, nel concerto degli altri popoli. Anche questo è un
evento-promessa-impegno, è il dovere profondo del nostro popolo, sotto tutti i
tradimenti, le barbarie, le ignoranze, le trame, le cadute e le riprese di
questi 63 anni. La festa della Repubblica
e della Costituzione (questo deve essere il nome intero di quel giorno) è
tradizionalmente fissata al 2 giugno, festa del primo voto popolare. Questa è la
festa italiana più grande e più bella. Dunque festa disarmata, che non deve
vedere parate militari, come le armi devono stare lontane dai seggi elettorali,
da quel 2 giugno 1946, elezione
della saggia, umana, civile, pacifica, progressista Assemblea Costituente, fino
ad oggi. E anche perché il simbolo più alto dell’Italia democratica non sono
le triste armi, ma la partecipazione di ognuno alla vita del proprio popolo,
cioè la politica di tutti e il voto consapevole di tutti, che orienta le scelte,
alla luce dei valori costituzionali. Poi, dietro l’importanza
primaria, ogni anno, del 2 giugno, abbiamo – a grandissime linee – anche altre
memorie: alcune fauste, memorie di vita, altre infauste, memorie di lutto e
pentimento nazionale. La luttuosa guerra civile
(detta «del brigantaggio») che inaugurò il Regno d’Italia, frutto di ignoranza e
imposizione, di una politica dedita a proteggere latifondi e a costruire caserme
più che scuole e ospedali. Il 20 settembre 1870, quando, dopo la
guerra del 1866 (guerra inutile in quanto l’Austria aveva offerto all’Italia il
Veneto in cambio della neutralità) anche Roma avrebbe potuto congiungersi
all’Italia senza brecce, né spari, né morti (19 soldati papalini, che dovevano
manifestare la resistenza del papa, e 49 soldati italiani), se il papato nei
secoli avesse conosciuto Cristo più di Costantino. Il 4 novembre 1918, quando, con l’«inutile
strage» (parola cristiana di papa Benedetto XV), un immenso spreco di sangue del
popolo (mentre col mantenere la neutralità si sarebbe ottenuto il "parecchio" di
Giolitti), furono prese non solo terre di lingua italiana, ma anche terre
austriache, nel mito balordo della superiorità latina, come ancora proclama la
stupida scritta sull’arco della vittoria a Bolzano. L’Italia fu mezza morta il
28 ottobre 1922, e il 3 gennaio 1925, e fu tutta morta il 10 giugno 1940. Fu mezza rinata l’8 settembre 1943 (non «morte della
patria», ma inizio di rinascita: tradimento giusto sebbene fiacco dell’alleanza
criminale col nazismo); rinacque molto con la Resistenza popolare, la lotta dei
partigiani, la fermezza dei 600.000 militari internati (che rifiutarono una
libertà condizionata alla collaborazione col Reich); e fu tutta rinata il 25 aprile 1945. L'Europa fu la più grande
novità del dopoguerra, il vero superamento degli ombelichi nazionalistici,
francesi e tedeschi, la riduzione dell'onnipotenza e sovranità dello stato
(superiorem non recognoscens).
L’Europa è prolungamento ideale della nostra Costituzione (art. 11): Europa
tanto negletta ora che c'è, ma tanto importante allora che non
c'era. Dopo i giorni chiari e le
notti oscure di questi decenni, oggi l’Italia lotta contro un’infezione del
sangue, molto grave: spaccio a distesa di illusioni, parole accuratamente false
per ingannare, miti facili per abbindolare, che fiaccano e corrompono gli
spiriti, potenza che si vanta della propria impunità, impero delle apparenze,
ogni bene e valore ridotto a merce di scambio e di consumo. Questi e altri virus
hanno diffuso un individualismo antisolidale: proprio il rovescio dell’unità
celebrata. Ma l’Italia non è morta.
Qualcosa in lei combatte per guarire. [ ] |
Allegato Rimosso
- Prev by Date: Introducing WE WRITE WHAT WE LIKE blog-collective
- Next by Date: Discorso Obama 11 febbraio testo francese e traduzione italiana
- Previous by thread: Introducing WE WRITE WHAT WE LIKE blog-collective
- Next by thread: Discorso Obama 11 febbraio testo francese e traduzione italiana
- Indice: