Meritevoli vs immeritevoli



Meritevoli vs immeritevoli
 
Scrive Iris Marion YOUNG in Le politiche della differenza: “L’ideologia del merito mira a spoliticizzare la determinazione dei criteri e degli standard da usare per assegnare posti di lavoro e conferire vantaggi. L’acceso dibattito che ha accompagnato nel corso degli anni il problema della scolarità, dei diplomi, dei test e delle politiche di ammissione e di assunzione dovrebbe bastare a dimostrare che questo tentativo di spoliticizzazione è fallito. Soprattutto in una società come la nostra, dove la maggior parte della popolazione dipende da istituzioni collettive per ottenere lavoro e mezzi di sussistenza, le regole e le politiche con le quali si determinano e si applicano i requisiti qualificanti sono inevitabilmente di ordine politico. Una volta che interpretiamo la valutazione del merito come un fatto politico, allora inevitabilmente vengono in primo piano importanti questioni di giustizia, che vanno al di là del problema della distribuzione e riguardano invece il problema di quali dovrebbero essere i soggetti a cui spetta la definizione di tali requisiti e delle norme e dei principi da seguire.”

Chissà se il prof. Ivano DIONIGI, Magnifico rettore dell’Alma Mater Studiorum, conosceva queste parole prima di rilasciare le sue interviste del 20-21 luglio 2010 (ad es. al GR Rai regionale) quando ha affermato che il merito deve essere “la stella polare” dell’università e dell’intera società. 
Sig. Dionigi, non avrà Lei voluto dire che così, mentre adesso si premia il merito di qualche studente, nel contempo si tolgono un tot di sussidi e servizi sociali?  

Per George LAKOFF in Pensiero politico e scienza della mente: “Nella famiglia del padre severo si assume che il padre meriti la sua autorità e, in effetti, in tutto il conservatorismo, le gerarchie di potere e di ricchezza sono giustificate dal ‘merito’. Perché un amministratore delegato dovrebbe guadagnare di più degli altri dipendenti? Perché lo merita. 
La competizione è cruciale. Essa è costitutiva della disciplina. Senza competizione, senza il desiderio di vincere, nessuno avrebbe l’incentivo a essere disciplinato e la moralità, come pure la prosperità, ne soffrirebbe. Non tutti possono vincere in una competizione, solo le persone più disciplinate, che sono anche le più moralmente meritevoli. Vincere è così un segno dell’essere meritevoli, dell’essere buoni. E’ importante essere il numero uno! Le famiglie con il padre severo spesso promuovono sport competitivi e li prendono molto seriamente. 
Perché i conservatori vogliono che la scuola insegni a sottoporsi a test e formuli giudizi sulla base dei punteggi? Per determinare il merito: chi merita di ascendere alla stratosfera del merito contro chi ottiene di servire persone di merito. Merito che dovrebbe essere determinato dalla disciplina, dalla punizione e dall’obbedienza – imparare risposte a memoria, con punizioni per chi non ci riesce come incentivo a essere più disciplinati.”

Non mi chiedo se Maria Stella GELMINI, Ministro della pubblica istruzione, abbia sentito dire di questi studiosi di fama internazionale.
 
Mi chiedo invece: Il merito è una mera qualità naturale che nasce dal nulla? Oppure non ha anche a che fare, ad esempio, con il fatto che si studia e lavora; si studia, lavora e si è fuori sede; si studia, lavora, si è fuori sede e senza nessuno su cui fare affidamento;  si studia, lavora, si è fuori sede, senza nessuno su cui fare affidamento e vissuti in un ambiente economico-sociale piuttosto che in un altro; si studia, lavora, si è fuori sede, senza nessuno su cui fare affidamento, vissuti in un ambiente economico-sociale piuttosto che in un altro e non si ha alcuna ipotesi di prospettiva futura; ecc.            

Il merito punta tutto su se stessi, sulla propria autostima e autovalutazione; sull'isolato individuo alla fine ricadono così colpe e insuccessi. Uno su mille ce la fa (e bisogna pure veder come...) lasciando sulle spalle dei 999 una sensazione d'impegno insufficiente e di obbligo.   

7/1/11 – Leopoldo BRUNO