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Cinema - Religioni, niolenza, nonviolenza
- Subject: Cinema - Religioni, niolenza, nonviolenza
- From: "Enrico Peyretti" <e.pey at libero.it>
- Date: Fri, 22 Oct 2010 11:25:59 +0200
10
10 21 Uomini di Dio
Titolo
originale Des hommes et des dieux, Francia 2010 Regia
di Xavier Beauvois
Algeria,
anni ’90: l’esercito con un colpo di mano ha annullato il successo elettorale
del partito islamista. Nasce il terrorismo islamista: 120.000 morti nella guerra
civile. Nell’Atlante, il piccolo monastero cistercense di Tibhirine (che
significa giardino) è schiacciato tra governo corrotto e incursioni dei
terroristi. Sono monaci francesi, inseriti in amicizia nella vita locale:
lavorano, vendono miele sul mercato, curano i malati dei villaggi circostanti,
partecipano alle feste popolari e li vediamo presenti anche alla preghiera nella
moschea. La vita quotidiana dei monaci, concreta, non idilliaca – che il regista
ha osservato soggiornando nell’abbazia di Tamié, come spiega Enzo Bianchi – è
descritta con sobrietà non estetizzante. Uno di loro, nella paura, dice: «Siamo
come uccelli sul ramo». Ma una donna del villaggio lo corregge: «Gli uccelli
siamo noi, voi siete il ramo». Cioè, i monaci, che l’islam rispetta, sarebbero
una protezione per il villaggio. Le minacce, però, si fanno più gravi. I monaci
rifiutano la protezione dell’esercito. Come cristiani e come francesi, essi sono
sul crinale tra più storie: la colonizzazione francese, l’indipendenza e la
democrazia, il risveglio islamico, l’odierna difficile necessaria preziosa
convivenza di popoli, civiltà, religioni.
Anche
a uomini di fede - «Si va di nascita in nascita», dice il priore Christian – il
coraggio non è facile. Sull’idea di tornare in Francia, come chiedono anche i
superiori dell’ordine, prevale faticosamente la fedeltà al «vivere insieme» con
quel popolo musulmano, su quella terra.
Nel
marzo 1996, sette monaci sono rapiti e, dopo venti giorni, uccisi. C’è un enigma
sulla loro morte, tra i vari effetti di violenza politica, fanatismo religioso,
ragion di stato. Al funerale, il governo algerino fece resistenza alla richiesta
dell’abate di aprire le bare: contenevano solo le teste, non i corpi. Rapiti dai
terroristi? Eliminati dall’esercito per frustrare la richiesta di scambio con
prigionieri algerini in Francia? Non è mai stata fatta una perizia medica sui
resti, che pure è obbligo di legge francese per i cittadini uccisi all’estero.
Questo film ha già avuto tre milioni di spettatori in Francia: forse porterà un
avvicinamento alla verità.
Una
scena del film sintetizza gli estremi della tragedia: sotto il fragore di un
elicottero che gira sul villaggio, i monaci cantano preghiere a voce spiegata.
Il giornalista Pellizzari, nell’anteprima al cinema Massimo di Torino, il 21
ottobre, paragona questa sequenza all’esperienza da lui fatta a Bagdad nel 2003:
a mezzanotte, sotto i bombardamenti con bombe che perforano muri di cemento di
12 metri di spessore, si cantano preghiere nella moschea. Più bombe esplodono,
più alti si levano i canti. Così nelle chiese ortodosse in Bosnia. C’è una
umanità universale, in ogni religione, che oppone lo spirito disarmato alle
bombe omicide.
La
Comunità di Bose ha pubblicato, già nel 1996 e di nuovo nel 2006, lettere e
documenti dei monaci uccisi (Più forti dell’odio, Ed. Qiqaion, a cura di
Guido Dotti e Enzo Bianchi, entrambi intervenuti nel dibattito seguito
all’anteprima). Nel suo testamento spirituale, il priore Christian, prevedendo i
fatti, scriveva, tra l’altro: «So anche le caricature dell’islam che un certo
islamismo incoraggia». Difende gli algerini dal disprezzo che li circonda.
Ringrazia tutti, anche chi lo ucciderà «amico dell’ultimo minuto, che non avrai
saputo quel che facevi (…). E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in
paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen! Inšallah» (pp.
219-221).
Nella
discussione, naturalmente è emerso il problema della giustificazione religiosa
della violenza nell’islamismo. Faccio notare che bisogna anche ricordare e
valorizzare le esperienze storiche, non soltanto aspirazioni utopiche, di una
nonviolenza attiva, gandhiana, precisamente ispirata all’islam: Badshah Khan,
Mubarak Awad, Chaiwat Satha-Anand, Adnane Mokrani, Ramin Jahanbegloo, i villaggi
palestinesi come Bil’in. Chi conosce e fa conoscere queste e simili realtà, che
indicano un cammino in corso,
anche nell’islam? Pure l’Occidente ha usato e usa la religione
cristiana a giustificazione del potere violento, dello “scontro di civiltà”. Noi
occidentali abbiamo avuto la dolorosa “fortuna” delle guerre di religione, tra
"verità armate", che ci hanno costretto a disarmare – cominciare a disarmare -
la verità. Compito oggi comune a tutte le civiltà umane è progredire insieme su
questa via, l’unica in cui troviamo tracce vere di verità, e possibilità vere di
pace e giustizia.
Enrico
Peyretti, 22 ottobre 2010
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