Se il mondo perde il senso del bene comune
Repubblica — 10 agosto 2010
POCHI giorni fa l' Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una
risoluzione che riconosce l' accesso all' acqua come diritto fondamentale di
ogni persona. L' anno scorso il Parlamento europeo ha parlato di un diritto
fondamentale di accesso ad Internet. Apparentemente lontane, queste due
importanti prese di posizione di grandi istituzioni internazionali si muovono
sullo stesso terreno, quello dei beni comuni, attribuiscono il rango di diritti
fondamentali all' accesso di tutti a beni essenziali per la sopravvivenza (l'
acqua) e per garantire eguaglianza e libero sviluppo della personalità (la
conoscenza). Nell' ottobre del 1847, quattro mesi prima della pubblicazione del
Manifesto dei comunisti, Alexis de Tocqueville gettava uno sguardo presago sul
futuro, e scriveva: «Ben presto la lotta politica si svolgerà tra coloro che
possiedono e coloro che non possiedono: il grande campo di battaglia sarà la
proprietà». Quella lotta è continuata ininterrotta e il campo di battaglia, che
per Tocqueville era sostanzialmente quello della proprietà terriera, si è
progressivamente dilatato. Oggi sono appunto i beni comuni - dall' acqua all'
aria, alla conoscenza, ai patrimoni culturali e ambientali - al centro di un
conflitto davvero planetario, di cui ci parlano le cronache, confermandone la
natura direttamente politica, e che non si lascia racchiudere nello schema
tradizionale del rapporto tra proprietà pubblica e proprietà privata. Tra India
e Pakistan è in corso una guerra dell' acqua; in Italia la questione dell'
acqua è divenuta ineludibile dopo che un milione e quattrocentomila persone
hanno firmato la richiesta di un referendum; il parlamento islandese ha deciso
che Internet debba essere il luogo di una libertà totale, uno sterminato spazio
comune dove sia legittimo rendere pubblici anche documenti coperti dal segreto.
Il tema dei beni comuni segna davvero il nostro tempo, e non può essere
affrontato senza una riflessione culturale e politica. Un misero esempio
italiano di questi giorni ci mostra l' inadeguatezza degli schemi tradizionali
e i rischi che si corrono. Da poco dichiarate dall' Unesco patrimonio dell'
umanità, le Dolomiti sono oggetto di una mortificante contabilità, che sarebbe
ridicola se dietro di essa non si scorgesse lo sciagurato "federalismo
demaniale" che, trasferendo agli enti locali beni importantissimi, mette
questi beni nella condizione di poter essere più agevolmente destinati a usi
mercantili o privatizzati o comunque destinati "a far quadrare i
conti". E proprio questa eventualità mostra la debolezza dell' argomento,
usato per l' acqua, secondo il quale basta che un bene rimanga in mano a un
soggetto pubblico perché venga salvaguardato. Non è questione di etichette. È
la natura del bene a dover essere presa in considerazione, la sua attitudine a
soddisfare bisogni collettivi e a rendere possibile l' attuazione di diritti
fondamentali. I beni comuni sono "a titolarità diffusa", appartengono
a tutti e a nessuno, nel senso che tutti devono poter accedere ad essi e
nessuno può vantare pretese esclusive. Devono essere amministrati muovendo dal
principio di solidarietà. Incorporano la dimensione del futuro, e quindi devono
essere governati anche nell' interesse delle generazioni che verranno. In
questo senso sono davvero "patrimonio dell' umanità". Nel pensare il
mondo, e le sue dinamiche, non possiamo sottrarci alla "ragionevole
follia" dei beni comuni. Questo ossimoro, che dà il titolo a un bel libro
di Franco Cassano, rivela un compito propriamente politico, perché mette in
evidenza il nesso che si è ormai stabilito tra beni comuni e diritti del
cittadino. Un bene come l' acqua non può essere considerato una merce che deve
produrre profitto. E la conoscenza non può essere oggetto di
"chiusure" proprietarie, ripetendo nel tempo nostro la vicenda che,
tra Seicento e Settecento, in Inghilterra portò a recintare le terre
coltivabili, sottraendole al godimento comune e affidandole a singoli
proprietari. Per giustificare quella vicenda lontana si è usato l' argomento
della crescita della produttività della terra. Ma oggi il nuovo, sterminato
territorio comune, rappresentato dalla conoscenza raggiungibile attraverso
Internet, non può divenire l' oggetto di uno smisurato desiderio che vuole
trasformarlo da risorsa illimitata in risorsa scarsa, con chiusure progressive,
consentendo l' accesso solo a chi è disposto ed è in condizione di pagare. La
conoscenza da bene comune a merce globale? Così i beni comuni ci parlano dell'
irriducibilità del mondo alla logica del mercato, indicano un limite, illuminano
un aspetto nuovo della sostenibilità: che non è solo quella imposta dai rischi
del consumo scriteriato dei beni naturali (aria, acqua, ambiente), ma pure
quella legata alla necessità di contrastare la sottrazione alle persone delle
opportunità offerte dall' innovazione scientifica e tecnologica. Si avvererebbe
altrimenti la profezia secondo la quale "la tecnologia apre le porte, il
capitale le chiude". E, se tutto deve rispondere esclusivamente alla
razionalità economica, l' effetto ben può essere quello di "un' erosione
delle basi morali della società", come ha scritto Carlo Donolo. In questo
orizzonte più largo compaiono parole scomparse o neglette. Il bene comune, di
cui s' erano perdute le tracce nella furia dei particolarismi e nell' estrema
individualizzazione degli interessi, s' incarna nella pluralità dei beni
comuni. Poiché questi beni si sottraggono alla logica dell' uso esclusivo e, al
contrario, rendono evidente che la loro caratteristica è quella della
condivisione, si manifesta con nuova forza il legame sociale, la possibilità di
iniziative collettive di cui Internet fornisce continue testimonianze. Il
futuro, cancellato dallo sguardo corto del breve periodo, ci è imposto dalla
necessità di garantire ai beni comuni la permanenza nel tempo. Ritorna, in
forme che lo rendono ineludibile, il tema dell' eguaglianza, perché i beni
comuni non tollerano le discriminazioni nell' accesso se non a prezzo di una
drammatica caduta in divisioni che disegnano davvero una società castale, dove
ritorna la cittadinanza censitaria, visto che beni fondamentali per la vita,
come la stessa salute, sono più o meno accessibili a seconda delle
disponibilità finanziarie di ciascuno. Intorno ai beni comuni si propone così
la questione della democrazia e della dotazione di diritti d' ogni persona.
Spostando lo sguardo sui beni comuni, dunque, non siamo soltanto obbligati a
misurarci con problemi interamente nuovi. Dobbiamo sottoporre a revisione
critica principi e categorie dei passato. Dobbiamo rileggere in un contesto così
mutato la stessa Costituzione, quando stabilisce che la proprietà dev'essere
resa "accessibile a tutti" e quando, nell' articolo 43, indica una
sorta di terza via tra proprietà pubblica e privata. Qui è l' ineludibile
agenda civile e politica non di un solo paese, ma di tutti coloro che vogliono
affrontare con consapevolezza e cultura adeguate le questioni concrete che ci
circondano. –
STEFANO RODOTÀ
Da:
pace-request at peacelink.it [mailto:pace-request at peacelink.it] Per conto di Enrico
Peyretti
Inviato: giovedì 29 luglio 2010 19.48
A: lista Peacelink Pace; lista pax christi gr discussione; lista
nonviolenti; lista Mir dibattito; Lista Menapace; lista donne in nero; lista
lilliput glt NV; lista angelo casati 01; lista alteracultura
Oggetto: [pace] funerale militare
Io non potrò, ma chi può
vigili sui funerali, domani, dei due soldati morti in Afghanistan. La Russa di
uno ne ha già fatto un eroe, perché ha segnalato agli altri il pericolo di cui
è poi rimasto vittima. Gesto generoso ed encomiabile, sicuramente, e anche
doveroso per lui. Quante altre volte, in situazioni di disastri, di crolli, di
incidenti, avviene lo stesso e nessuno inneggia all'eroe. Tutto serve per
giustificare la guerra. E' già cominciata la retorica strappalacrime che non è
vero rispetto per quegli infelici, ma utilizzo politico-militare del dolore
umano. Il dolore delle persone è l'unica cosa vera da rispettare in vicende
come questa. Chiedo però in particolare di vigilare sulla cerimonia, che sarà
probabilmente religiosa cattolica secondo l'uso nazional-cattolico
(incrementato dalla "religione civile"
ruiniana-fisichelliana-leghista): vigilate almeno che non ci sia la
profanazione armata dell'eucaristia, che non avvengano volgarità come il grido
"Folgore!" in chiesa (che ci fu nell'ultimo funerale militare), che
il celebrante sappia e pensi a ciò che sta facendo, che parli di vangelo e non
di patria mangia-figli, e che celebri una messa cristiana, non militare.
Preghiamo il Padre della vita e della pace per i due morti e le loro famiglie,
e preghiamo anche per luce alle coscienze di chi li ha mandati in quel pozzo di
sangue (soprattutto di civili afghani) senza fondo.
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