Tornando dal Gaia International Festival



Tornando dal Gaia International Festival cosa porto a casa?

Tanta gioia per aver incontrato tante persone diverse per biografia e provenienza.

Tanta  serenità per la consapevolezza di aver fatto la cosa giusta.

Tante piccole pietre preziose, fatte di appunti, foto, indirizzi, emozioni e pensieri scambiati. 

Una festa delle idee, dell’amicizia, della solidarietà lunga tutta una settimana.

In una settimana di fine giugno la prospettiva può cambiare, percorrendo la costa calabrese e quella lucana, da Maratea ad Amantea il paesaggio muta, i volti modificano i loro tratti  e il nomadismo della mente prende forma, lasciando spazio all’accoglienza e all’incontro. E’ così che prende corpo l’idea che si può dare una svolta ai temi dell’ambiente, tutto può essere modificato, migliorato,  se ci mettiamo in gioco con fiducia e generosità, se solo spegniamo per un po’ la tv, è possibile prendersi cura del nostro mare, della nostra terra e, quindi, di noi stessi. Vandana Shiva afferma che solo rispettando i diritti della terra possiamo rispettare veramente i diritti umani.  Lo  credo anch’io e penso anche che la negatività trasmessa quotidianamente dai mezzi di comunicazione sia alla base di una delle principali malattie della società contemporanea: la sfiducia. Per questo mi sento di consigliare di ascoltare più radio e vedere meno tv, pur essendo presidente di un'associazione che si occupa di comunicazione, MEDiterranean MEDIA, mi sento di dire che dobbiamo difenderci da un’informazione quantitativamente eccessiva e qualitativamente scadente.

Al Gaia International Festival hanno prevalso le relazioni umane e meno quelle mediatiche anche perché come è noto le buone notizie “non fanno notizia”.

Il festival si è auto finanziato e i relatori,  gli esperti, i testimoni privilegiati sono stati ospitati nelle nostre case, si sono ritrovati intorno ai nostri tavoli, sulle terrazze, sui campi, nelle piazze, nelle belle sale pubbliche della costa tirrenica. Hanno preso parte al festival tante persone con bagagli ricchi di esperienze e di teorie E’ stato emozionante ritrovarsi tutti insieme su un territorio così vasto a parlare e a scambiarci  proposte per prenderci cura dell’ambiente in cui viviamo.

Dal Giappone al Canada, attraversando l’Europa, i partecipanti hanno portato materiali, progetti, locandine, dipinti, disegni,  cibi genuini,  bevande, saperi.

Tanti incontri, dibattiti, mostre, concerti, performance teatrali e mercatini hanno vivacizzato borghi abbandonati e località impigrite da un turismo mordi e fuggi del mese d’agosto.

Tra le scoperte più inaspettate: il comune di Aieta. La sorpresa è stata grande, quando risalendo vicoli stretti e tortuosi ad un tratto ci è apparso in tutta la sua maestosità l’austero palazzo Rinascimentale del XVI secolo, dove si è concluso lentamente e lungamente il festival.

Aieta è un paese bellissimo a pochi chilometri dalla costa dell’alto tirreno, vicina al mare ma terribilmente fuori dalle rotte turistiche più note e frequentate. La voglia di proporre i suoi panorami mozzafiato, le sue prospettive, la sua arte a quanti ancora non hanno avuto modo di scorgerli è grande. I video proiettati e la mostra d’arte ospitati nel Palazzo Rinascimentale di Aieta hanno contribuito con la loro potente energia a rianimarlo per una settimana, ma è necessario dare continuità al lavoro fatto.

Il desiderio di condivisione, di relazione e di scambio ha caratterizzato il Gaia Festival. L’invito a scoprire le bellezze del territorio, lo scambio di saperi, l’accoglienza, le reti di relazione hanno creato una sorta di spirale di energia che è possibile rintracciare nei seminari, nelle mostre itineranti: nei quadri di Diana Gnata fatti di sabbie, conchiglie e sogno; nei disegni di Luigi Fabbricatore, nelle nature di Tokio Aoyama, nelle marionette di Luciana Pasetto, nella regia di Fernanda Ruocco, nelle idee di Michael Leonardi  e Fabrizio Di Buono, nelle performance di Maria Grazia Bisurgi e Paola Scialis.

S. Lucido, Longobardi, Amantea sono state tappe importanti per mescolare antichi saperi e nuovi esperimenti di convivenza civile,  di ricerca di nuove armonie per l’ambiente.

Il libro di Vandana Shiva “Semi del suicidio” a cura di Laura Corradi, presentato da MEDiterranean MEDIA ad Amantea grazie alla collaborazione del Comitato Natale De Grazia, è interessante   non solo perché ci narra dell’India, un paese importante di cui non conosciamo abbastanza, ma soprattutto perché a proposito di mondo globalizzato ci mette in guardia su una serie di rischi insiti nel neoliberismo imperante; inoltre, sul piano politico ci fornisce informazioni preziose rispetto alle nuove forme di insorgenza e di resistenza dei movimenti.

L’India spesso viene citata per il suo PIL in forte crescita e per i suoi successi informatici, ma su quale catastrofi si poggino questi successi, su cosa sia accaduto al mondo contadino non abbiamo notizie e  così pure della diffusione crescente del fenomeno del suicidio.

Emile Durkeim, uno dei padri della sociologia occidentale, afferma che il suicidio è il segno dell’insuccesso di una società, e su questo aspetto molte madri della sociologia sarebbero in perfetto accordo.

Il fenomeno del suicidio non è una questione che riguarda quel particolare luogo, quel tempo, poiché si tratta di un indicatore importante, così come il malessere sociale, a cui bisognerebbe guardare quando si ragiona sui temi dello “sviluppo”.

La domanda che dobbiamo porci, qui ed ora,  a quali costi umani ed ecologici ci sottopone il neoliberismo?

Nella società contemporanea i valori principali sono: il profitto e la produttività. In questo contesto quanto vale la vita di un disoccupato o di un cassintegrato, condizione che in Italia si sta diffondendo come un’epidemia. Il malessere sociale spesso si traduce in difficoltà mentale poiché non si riesce a far fronte alla precarietà, tutto questo genera depressione e disagio sociale.

Un altro indicatore importante è la malattia, se la questione del  trattamento dei rifiuti, più o meno nocivi, è in Italia come nel mondo all’anno zero, un’altra questione fondamentale che dobbiamo porre all’ordine del giorno nell’agenda politica è quella del trattamento dei veleni.

Se le sostanze tossiche vengono smaltite  in maniera illecita, mettendo continuamente a rischio la salute delle persone, dovremmo porci il problema del perché si continuano a produrre, se è ormai è noto che è costoso smaltirle e altrettanto pericoloso il loro trattamento. La scelta di continuare a produrre energia nucleare nel mondo è una scelta scellerata, suicida.

L’aumento dei tumori, delle allergie costituiscono un altro indicatore importante del malessere sociale.

I contadini indiani sono passati da una produzione domestica a una produzione neoliberista,  sono passati dall’uso di sementi tradizionali che assicurano l’autosufficienza (consumano poca acqua, sono protettive le une alle altre) alle monoculture che li hanno portati all’indebitamento, verso la strada dello sfaldamento del nucleo familiare e, poi, al suicidio.

Secondo Vandana Shiva l’agricoltura industrializzata può essere analizzata  come una forma di guerra, giacché ha sistematicamente comportato debito e penuria per le famiglie contadine, fin dai tempi della cosiddetta “rivoluzione verde” operata dalla multinazionale Monsanto.

Se abbiamo compreso questi nessi, queste correlazioni, così come i vecchi contadini indiani lo hanno capito, allora, è necessario mobilitarsi partendo dal locale per arrivare al globale con ponti di solidarietà e scambio  con i contadini indiani che hanno  sperimentato sulla loro esistenza il nesso tra vecchi semi e sicurezza ecologica. Dall’incontro di Amantea portiamo a casa la comprensione di un  fenomeno come quello del suicidio dei contadini indiani che avviene mille miglia lontano da noi, ma che ci riguarda direttamente  e profondamente perché è  riconducibile:

- al concetto di sviluppo;

- alle politiche neoliberiste,

- alla contrazione di debiti nei confronti delle banche,

- all’uso di pesticidi chimici,

- all’uso di sementi modificate geneticamente.

Il neoliberismo con le sue azioni spregiudicate mette in pericolo la terra e l’esistenza umana.

Vandana Shiva ci avverte, alcuni processi così detti di sviluppo portano alla distruzione, dobbiamo pensare al benessere delle persone in armonia con la terra, solo se ritorniamo al rispetto della terra, potremo pensare che si creino le condizioni per il rispetto delle persone. Lucia Chiavola Birnbaum  nel libro “La madre o-scura” ci insegna che la terra e le persone che la abitano sono in realtà la stessa cosa.

A Diamante presso la nuovissima sede dell’associazione Kamadir, MEDiterranean MEDIA nell’ambito della sezione MADRE TERRA, ha presentato il libro di Monica Lanfranco “Letteralmente femminista”.

Il libro di Monica è una lunga lettera appassionata, un dono ricco di spunti e di riflessioni per chi ha la fortuna di averlo tra le mani.

Il libro parte da una domanda dove è finita l’eredità del movimento femminista, la più grande rivoluzione non violenta del ‘900? Dove abbiamo sbagliato nel trasmettere valori e saperi?

Dal confronto è emerso che viviamo una fase di transizione in cui il modello dominante patriarcale può essere contrastato da un movimento globale teso verso sistemi di reti di relazione e di condivisione. Donne e uomini in tutto il mondo stanno provando a sviluppare nuovi modelli e nuove teorie sul potere, basandosi su modi di vivere equi e solidali.  I modi di essere non patriarcali devono essere vissuti su base quotidiana da ogni persona coinvolta nel processo di trasformazione della cultura (Ruth Barrett).

A Maratea in mezzo ad una natura meravigliosa e rigogliosa, in un piccolo patio del MaraRanch ci siamo ritrovati per parlare della Storia di Pasquinella, il libro che ha vinto la VII Edizione del Concorso Letterario “Le Collane di Med”. Il concorso letterario è stato ideato nel 1997 dall’Associazione MEDiterranean MEDIA e aveva l’obiettivo di creare un ponte tra le giovani generazioni e le donne che hanno partecipato all’esperienza del femminismo. Le Collane di Med intendono creare una rete tra le donne che si sono impegnate per le pari opportunità, le politiche di genere e le donne che portano con sé il seme del cambiamento, ma non appartengono, di fatto, al pensiero della differenza.

Brigida Berlingeri, l’autrice della Storia di Pasquinella, appartiene a quest’ultima categoria e “Ultima” era il titolo  originario della sua proposta.  Il comitato di valutazione ha scelto di cambiarlo poiché  la Storia di Pasquinella  è in realtà la STORIA  delle nostre nonne e delle donne in difficoltà di tutto il mondo.

Il libro ci mostra, in maniera disarmante e a volte con crudezza, come la schiavitù fino qualche anno fa fosse tra noi. Quando due variabili si combinano, appartenenza al genere femminile e povertà, allora la trappola della schiavitù nel lavoro e nel corpo è quasi fatale. Brigida Berlingeri ci ha raccontato tutto questo con la precisione della scienziata e con la leggerezza tipica di una favola triste. Ma la storia ha un lieto fine, poiché Pasquinella alza la testa e prende la parola, utilizzando uno strumento potente di comunicazione e trasmissione del pensiero delle donne: la scrittura. Il lieto fine è dato oltre che dalla biografia dell’autrice, dal passaggio simbolico di consegna  della staffetta che la scrittura regalerà, nella VIII edizione, alla vincitrice del concorso letterario.  

“Le Collane di Med” hanno il pregio di raccogliere qua e là piccole perle, conchiglie e pietre, magari non vistose, ma preziose,  che arrivano dal mare o che scivolano dalle pendici delle montagne, per poi tutte insieme imprimere una svolta, rafforzandole e facendole rotolare ancora, spinte dal vento in tutte le direzioni.

 

MEDiterranean MEDIA nel Gaia International Festival ha cercato  idealmente di tracciare ponti di relazione tra le esperienze di Monica Lanfranco di  Genova, i saperi di  Laura Corradi, cittadina del mondo,  la scrittura di Brigida Berlingeri di S. Giorgio Morgeto, un paesino ai piedi dell’Aspromonte. Tutte hanno in comune la  ricerca di nuove armonie tra terra e mare, e gli abitanti che temporaneamente vi abitano, cercando di tenere insieme teorie e pratiche politiche, poiché a nostro avviso  sono inscindibili, e si arricchiscono reciprocamente favorendo la nascita di nuove reti e di relazioni.

 

Domenica 4 luglio a Belmonte, un gruppo del Gaia International Festival si è riunito per avviare insieme una riflessione su ciò che avvenuto nella fase organizzativa e durante la settimana degli eventi. Sono state individuate alcune criticità e sono stati sottolineati alcuni passaggi significativi e di valore. Si è deciso di raccogliere il materiale cartaceo, fotografico e video del festival per non disperdere  il patrimonio di energie e di proposte emerse durante un’inedita ed intensa settimana di fine giugno. Nei prossimi mesi si deciderà come dare continuità al festival, se formalizzare la rete attraverso una federazione di associazioni o mantenere uno spazio aperto e fluido di aggregazione.  

Qualunque decisione prenderemo non partiremo da zero, ma da GAIA.

Nadia Gambilongo

 

http://www.medmedia.org