Tornando dal Gaia International Festival
- Subject: Tornando dal Gaia International Festival
- From: "Nadia Gambilongo" <gambilongo at tiscali.it>
- Date: Sat, 10 Jul 2010 12:57:53 +0200
Tornando dal Gaia International
Festival cosa porto a casa?
Tanta gioia per aver incontrato tante
persone diverse per biografia e provenienza. Tanta serenità per la consapevolezza di aver
fatto la cosa giusta. Tante piccole pietre preziose, fatte
di appunti, foto, indirizzi, emozioni e pensieri scambiati. Una festa delle idee, dell’amicizia,
della solidarietà lunga tutta una settimana. In una settimana di fine giugno la
prospettiva può cambiare, percorrendo la costa calabrese e quella lucana, da
Maratea ad Amantea il paesaggio muta, i volti modificano i loro tratti e il nomadismo della mente prende forma,
lasciando spazio all’accoglienza e all’incontro. E’ così che prende corpo l’idea
che si può dare una svolta ai temi dell’ambiente, tutto può essere modificato,
migliorato, se ci mettiamo in gioco
con fiducia e generosità, se solo spegniamo per un po’ la tv, è possibile
prendersi cura del nostro mare, della nostra terra e, quindi, di noi stessi.
Vandana Shiva afferma che solo rispettando i diritti della terra possiamo
rispettare veramente i diritti umani. Lo credo anch’io e penso anche che la
negatività trasmessa quotidianamente dai mezzi di comunicazione sia alla base di
una delle principali malattie della società contemporanea: la sfiducia. Per
questo mi sento di consigliare di ascoltare più radio e vedere meno tv, pur
essendo presidente di un'associazione che si occupa di comunicazione,
MEDiterranean MEDIA, mi sento di dire che dobbiamo difenderci da un’informazione
quantitativamente eccessiva e qualitativamente
scadente. Al Gaia International Festival hanno
prevalso le relazioni umane e meno quelle mediatiche anche perché come è noto le
buone notizie “non fanno notizia”. Il festival si è auto finanziato e i
relatori, gli esperti, i testimoni
privilegiati sono stati ospitati nelle nostre case, si sono ritrovati intorno ai
nostri tavoli, sulle terrazze, sui campi, nelle piazze, nelle belle sale
pubbliche della costa tirrenica. Hanno preso parte al festival tante persone con
bagagli ricchi di esperienze e di teorie E’ stato emozionante ritrovarsi tutti
insieme su un territorio così vasto a parlare e a scambiarci proposte per prenderci cura dell’ambiente
in cui viviamo. Dal Giappone al Canada, attraversando
l’Europa, i partecipanti hanno portato materiali, progetti, locandine, dipinti,
disegni, cibi genuini, bevande,
saperi. Tanti incontri, dibattiti, mostre,
concerti, performance teatrali e mercatini hanno vivacizzato borghi abbandonati
e località impigrite da un turismo mordi e fuggi del mese
d’agosto. Tra le scoperte più inaspettate: il
comune di Aieta. La sorpresa è stata
grande, quando risalendo vicoli stretti e tortuosi ad un tratto ci è apparso in
tutta la sua maestosità l’austero palazzo Rinascimentale del XVI secolo, dove si
è concluso lentamente e lungamente il festival. Aieta è un paese bellissimo a pochi
chilometri dalla costa dell’alto tirreno, vicina al mare ma terribilmente fuori
dalle rotte turistiche più note e frequentate. La voglia di proporre i suoi
panorami mozzafiato, le sue prospettive, la sua arte a quanti ancora non hanno
avuto modo di scorgerli è grande. I video proiettati e la mostra d’arte ospitati
nel Palazzo Rinascimentale di Aieta hanno contribuito con la loro potente
energia a rianimarlo per una settimana, ma è necessario dare continuità al
lavoro fatto. Il desiderio di condivisione, di relazione e
di scambio ha caratterizzato il
Gaia Festival. L’invito a scoprire le bellezze del territorio, lo scambio di
saperi, l’accoglienza, le reti di relazione hanno creato una sorta di spirale di
energia che è possibile rintracciare nei seminari, nelle mostre itineranti: nei
quadri di Diana Gnata fatti di sabbie, conchiglie e sogno; nei disegni di Luigi
Fabbricatore, nelle nature di Tokio Aoyama, nelle marionette di Luciana Pasetto,
nella regia di Fernanda Ruocco, nelle idee di Michael Leonardi e Fabrizio Di Buono, nelle performance
di Maria Grazia Bisurgi e Paola Scialis. S. Lucido, Longobardi, Amantea sono state tappe importanti per mescolare antichi
saperi e nuovi esperimenti di convivenza civile, di ricerca di nuove armonie per
l’ambiente. Il libro di Vandana Shiva “Semi del
suicidio” a cura di Laura Corradi, presentato da MEDiterranean MEDIA ad Amantea
grazie alla collaborazione del Comitato Natale De Grazia, è interessante non solo perché ci narra
dell’India, un paese importante di cui non conosciamo abbastanza, ma soprattutto
perché a proposito di mondo globalizzato ci mette in guardia su una serie di
rischi insiti nel neoliberismo imperante; inoltre, sul piano politico ci
fornisce informazioni preziose rispetto alle nuove forme di insorgenza e di
resistenza dei movimenti. L’India spesso viene citata per il
suo PIL in forte crescita e per i suoi successi informatici, ma su quale
catastrofi si poggino questi
successi, su cosa sia accaduto al mondo contadino non abbiamo notizie e così pure della diffusione crescente del
fenomeno del suicidio. Emile Durkeim, uno dei padri della
sociologia occidentale, afferma che il suicidio è il segno dell’insuccesso di
una società, e su questo aspetto molte madri della sociologia sarebbero in
perfetto accordo. Il fenomeno del suicidio non è una
questione che riguarda quel particolare luogo, quel tempo, poiché si tratta di
un indicatore importante, così come il malessere
sociale, a cui bisognerebbe guardare quando si
ragiona sui temi dello “sviluppo”. La domanda che dobbiamo porci, qui ed ora, a quali costi umani ed ecologici ci
sottopone il neoliberismo? Nella società contemporanea i valori
principali sono: il profitto e la produttività. In questo contesto quanto vale
la vita di un disoccupato o di un cassintegrato, condizione che in Italia si sta
diffondendo come un’epidemia. Il malessere sociale spesso si traduce in
difficoltà mentale poiché non si riesce a far fronte alla precarietà, tutto
questo genera depressione e disagio sociale. Un altro indicatore importante è la
malattia, se la questione del
trattamento dei rifiuti, più o meno nocivi, è in Italia come nel mondo
all’anno zero, un’altra questione fondamentale che dobbiamo porre all’ordine del
giorno nell’agenda politica è quella del trattamento dei
veleni. Se le sostanze tossiche vengono
smaltite in maniera illecita,
mettendo continuamente a rischio la salute delle persone, dovremmo porci il
problema del perché si continuano a produrre, se è ormai è noto che è costoso
smaltirle e altrettanto pericoloso il loro trattamento. La scelta di continuare
a produrre energia nucleare nel mondo è una scelta scellerata,
suicida. L’aumento dei tumori, delle allergie
costituiscono un altro indicatore importante del malessere sociale.
I contadini indiani sono passati da
una produzione domestica a una produzione neoliberista, sono passati dall’uso di sementi
tradizionali che assicurano l’autosufficienza (consumano poca acqua, sono
protettive le une alle altre) alle monoculture che li hanno portati
all’indebitamento, verso la strada dello sfaldamento del nucleo familiare e,
poi, al suicidio. Secondo Vandana Shiva l’agricoltura
industrializzata può essere analizzata
come una forma di guerra, giacché ha sistematicamente comportato debito e
penuria per le famiglie contadine, fin dai tempi della cosiddetta “rivoluzione
verde” operata dalla multinazionale Monsanto. Se abbiamo compreso questi nessi,
queste correlazioni, così come i vecchi contadini indiani lo hanno capito,
allora, è necessario mobilitarsi partendo dal locale per arrivare al globale con
ponti di solidarietà e scambio con
i contadini indiani che hanno
sperimentato sulla loro esistenza il nesso tra vecchi semi e sicurezza
ecologica. Dall’incontro di Amantea portiamo a casa la comprensione di un fenomeno come quello del suicidio dei
contadini indiani che avviene mille miglia lontano da noi, ma che ci riguarda
direttamente e profondamente perché
è
riconducibile: - al concetto di
sviluppo; - alle politiche neoliberiste,
- alla contrazione di debiti nei
confronti delle banche, - all’uso di pesticidi
chimici, - all’uso di sementi modificate
geneticamente. Il neoliberismo con le sue azioni
spregiudicate mette in pericolo la terra e l’esistenza
umana. Vandana Shiva ci avverte, alcuni
processi così detti di sviluppo portano alla distruzione, dobbiamo pensare al
benessere delle persone in armonia con la terra, solo se ritorniamo al rispetto
della terra, potremo pensare che si creino le condizioni per il rispetto delle
persone. Lucia Chiavola Birnbaum
nel libro “La madre o-scura” ci insegna che la terra e le persone che la
abitano sono in realtà la stessa cosa. A Diamante presso la nuovissima sede
dell’associazione Kamadir, MEDiterranean MEDIA nell’ambito della sezione MADRE
TERRA, ha presentato il libro di Monica Lanfranco “Letteralmente
femminista”. Il libro di Monica è una lunga
lettera appassionata, un dono ricco di spunti e di riflessioni per chi ha la
fortuna di averlo tra le mani. Il libro parte da una domanda dove è finita l’eredità del movimento
femminista, la più grande rivoluzione non violenta del ‘900? Dove abbiamo
sbagliato nel trasmettere valori e saperi? Dal confronto è emerso che viviamo
una fase di transizione in cui il modello dominante patriarcale può essere
contrastato da un movimento globale teso verso sistemi di reti di relazione e di
condivisione. Donne e uomini in tutto il mondo stanno provando a sviluppare
nuovi modelli e nuove teorie sul potere, basandosi su modi di vivere equi e
solidali. I modi di essere non
patriarcali devono essere vissuti su base quotidiana da ogni persona coinvolta
nel processo di trasformazione della cultura (Ruth
Barrett). A Maratea in mezzo ad una natura
meravigliosa e rigogliosa, in un piccolo patio del MaraRanch ci siamo ritrovati
per parlare della Storia di
Pasquinella, il libro che ha vinto la VII Edizione del Concorso Letterario
“Le Collane di Med”. Il concorso letterario è stato ideato nel 1997
dall’Associazione MEDiterranean MEDIA e aveva l’obiettivo di creare un ponte tra
le giovani generazioni e le donne che hanno partecipato all’esperienza del
femminismo. Le Collane di Med
intendono creare una rete tra le donne che si sono impegnate per le pari
opportunità, le politiche di genere e le donne che portano con sé il seme del
cambiamento, ma non appartengono, di fatto, al pensiero della
differenza. Brigida Berlingeri, l’autrice della
Storia di Pasquinella, appartiene a quest’ultima categoria e “Ultima” era il
titolo originario della sua
proposta. Il comitato di
valutazione ha scelto di cambiarlo poiché la Storia di Pasquinella è in realtà la STORIA delle nostre nonne e delle donne in
difficoltà di tutto il mondo. Il libro ci mostra, in maniera
disarmante e a volte con crudezza, come la schiavitù fino qualche anno fa fosse
tra noi. Quando due variabili si combinano, appartenenza al genere femminile e
povertà, allora la trappola della schiavitù nel lavoro e nel corpo è quasi
fatale. Brigida Berlingeri ci ha raccontato tutto questo con la precisione della
scienziata e con la leggerezza tipica di una favola triste. Ma la storia ha un
lieto fine, poiché Pasquinella alza la testa e prende la parola, utilizzando uno
strumento potente di comunicazione e trasmissione del pensiero delle donne: la
scrittura. Il lieto fine è dato oltre che dalla biografia dell’autrice, dal
passaggio simbolico di consegna della staffetta che la scrittura
regalerà, nella VIII edizione, alla vincitrice del concorso letterario. “Le Collane di Med” hanno il pregio
di raccogliere qua e là piccole perle, conchiglie e pietre, magari non vistose,
ma preziose, che arrivano dal mare
o che scivolano dalle pendici delle montagne, per poi tutte insieme imprimere
una svolta, rafforzandole e facendole rotolare ancora, spinte dal vento in tutte
le direzioni. MEDiterranean MEDIA nel Gaia International Festival ha cercato idealmente di tracciare ponti di relazione tra le esperienze di Monica Lanfranco di Genova, i saperi di Laura Corradi, cittadina del mondo, la scrittura di Brigida Berlingeri di S. Giorgio Morgeto, un paesino ai piedi dell’Aspromonte. Tutte hanno in comune la ricerca di nuove armonie tra terra e mare, e gli abitanti che temporaneamente vi abitano, cercando di tenere insieme teorie e pratiche politiche, poiché a nostro avviso sono inscindibili, e si arricchiscono reciprocamente favorendo la nascita di nuove reti e di relazioni. Domenica 4 luglio a Belmonte, un gruppo del Gaia International Festival si è riunito per avviare insieme una riflessione su ciò che avvenuto nella fase organizzativa e durante la settimana degli eventi. Sono state individuate alcune criticità e sono stati sottolineati alcuni passaggi significativi e di valore. Si è deciso di raccogliere il materiale cartaceo, fotografico e video del festival per non disperdere il patrimonio di energie e di proposte emerse durante un’inedita ed intensa settimana di fine giugno. Nei prossimi mesi si deciderà come dare continuità al festival, se formalizzare la rete attraverso una federazione di associazioni o mantenere uno spazio aperto e fluido di aggregazione. Qualunque
decisione prenderemo non partiremo da zero, ma da GAIA. Nadia
Gambilongo |
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