Due terzi della striscia di Gaza sono ormai prive di elettricità. La sola centrale elettrica ancora funzionante non riceve più combustibile, ed ha dovuto chiudere da sabato. Ovviamente è Israele che non lascia entrare nel lager la nafta: dall’inizio della «cura dimagrante» nel 2007, le importazioni del carburante sono state regolarmente molto inferiori al fabbisogno. Ma adesso la situazione è peggiorata per la complicità dell’Unione Europea. Questa, che s’era assunta il compito di fornire il carburante, l’ha affidato dal dicembre scorso all’Autorità Palestinese. L’Autorità Palestinese non comanda a Gaza (dove governa il rivale Hamas) e dunque si intasca il combustibile e gli aiuti relativi, con cui paga i suoi dipendenti. Secondo l’ONU, a Gaza arriva oggi il 46% del fabbisogno di energia.
Si ottiene così il risultato che sono altri palestinesi (i corrotti caporioni della PA) ad accelerare il genocidio dei palestinesi prigionieri a Gaza, con l’attiva partecipazione di Bruxelles. Nessuno potrà più accusare gli israeliani di crimini contro l’umanità; per loro, fanno tutto i goyim.
Il capo dell’energia di Gaza, Walid Sa’d Sayel, ha inviato un appello disperato a «salvare gli abitanti di Gaza, che sono anzitutto esseri umani, a cui l’energia elettrica serve come l’acqua e l’aria». Silenzio dal mondo.
Qualche giorno fa avevamo informato che, per la prima volta nei tre anni d’assedio, Israele aveva concesso l’entrata a Gaza di venti autocarri carichi di vestiario e scarpe. Queste merci erano state regolarmente acquistate e pagate da commercianti di Gaza, ma sono rimaste per due anni bloccate in Israele. Aperti i container, vestiario e scarpe sono risultate rovinate dall’umidità e quasi completamente inservibili, perché Israele li aveva abbandonati alle intemperie, estate e inverno per due anni. Nonostante ciò, si noti, i proprietari palestinesi delle merci hanno dovuto pagare a Sion le spese di immagazzinaggio per i due anni in cui non sono state consegnate.
Gaza aveva una sua attività produttiva di abbigliamento, in piccole industrie locali, per il fabbisogno interno del milione e mezzo di prigionieri (la metà sotto i 15 anni). Ma queste micro-industrie sono state rovinate dal divieto israeliano di importare tessuti, filati e persino aghi per le macchine da cucire.
Con la guerra di Gaza nelle tre settimane da dicembre 2008-gennaio 2009, Israele ha devastato quel che restava delle industrie tessili, il 98% delle quali sono oggi impossibilitate a produrre. (Blockade means clothes ordered for Gaza arrive two years late and ruined by damp )
Le uniche merci (ovviamente carissime) arrivano attraverso i tunnel aperti verso l’Egitto. Ma anche questi tunnel hanno i giorni contati, perché le autorità egiziane stanno attivamente seppellendo spessi lastroni d’acciaio per occluderli.
Evidentemente i prigionieri di Gaza ci mettono troppo a morire, e s’è deciso di accelerare la soluzione finale. Il silenzio del mondo, e la sua complicità attiva, facilitano come sempre il compito.
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