10 01 27 Memoria della
com-passione.
27 gennaio
2010
Nel giorno
in cui si fa giusta e meditata memoria della Shoah, anzi dell'interruzione
(con l'entrata ad Auschwitz dell'Armata Rossa) di quel progetto già
terribilmente avanzato di sterminio crudelissimo, scientifico e sistematico,
un vero fallimento dell'umanità, è giusto esprimere solidarietà al popolo
ebraico, nel clima di un discorso franco e sincero.
Proprio la
facoltà sviluppata e raffinata della memoria carattterizza la cultura e la
storia magistrale, l'dentità stessa spirituale, di questo popolo. Per i suoi
contributi al pensiero, all'arte, alle scienze, alla religione, alla capacità
di vivere come popolo tra i popoli senza né semplicemente assimilarsi né
autoghetizzarsi, che è un modello delle convivenze ormai necessarie
dappertutto, il popolo ebarico deve essere da tutti
ringraziato.
Perseguitato più volte per grettezza morale altrui, anche dei cristiani, con
indegni pretesti teologici, persino durante la persecuzione massima nazista ha
espresso anche esempi imperdibili e fecondi di resistenza morale nonviolenta:
Etty Hillesum, Edith Stein, Anna Frank (e non a caso sono nomi di donne i
primi che vengono alla mente). In seguito a ciò, il popolo ebraico, nel suo
movimento sionista, ha confidato di potersi difendere da nuovi simili pericoli
col farsi uno stato come gli altri stati, con una decisione da rispettare, ma
resa discutibile dai fatti seguitine.
Lo stato
ebraico si è realizzato a spese del popolo palestinese, colpito a sua volta
dalla "sciagura" (nakbah) di una politica di espulsione. Da
quell'origine non saggia dello Stato di Israele, dalla difficoltà di
accettarlo da parte di quella regione araba, sono discesi dolorosi
tragici difficili conflitti fino ad oggi. Oggi l'occupazione dei territori
palestinesi, metodicamente tormentosa della popolazione nei suoi bisogni
primari, come la mobilità e l'acqua, il lavoro e l'uguaglianza dei diritti,
non fa onore a Israele, disobbediente più di ogni altro stato alle risoluzioni
obbligatorie dell'Onu. La costruzione del muro, con sottrazione di terreno e
divisioni interne inflitte alla popolazione palestinese nella vita quotidiana,
configura una sciagurata politica di apartheid, che il mondo civile ha già
condannato.
Questo
giudizio non è affatto antiebraismo, anzi, vede con vera sofferenza che
la politica di Isarele fa ombra nel mondo e nella storia al prezioso spirito
ebraico; non ha mai mancato di criticare le forme violente (e oltretutto anche
erronee) della resistenza palestinese, che però ha pure forme ed
esperienze nonviolente esemplari (da Awad a Bil'in); non ignora la
critica israeliana interna, sebbene numericamente esile, alla politica
governativa, e l'obiezione di coscienza di parecchi giovani israeliani
all'occupazione militare.
L'ocupazione israeliana, motivata persino col diritto biblico-divino su tutta
quella terra (che non può valere nella convivenza pacifica tra popoli
diversi), ha spinto i palestinesi nella disperazione, e, ultimamente con
la guerra di Gaza, nella condanna iniqua a prigione e morte. I cattivi
consigli della disperazione palestinese hanno terrorizzato Isarele e lo
rendono pericoloso, anche percè è uno stato atomico non dichiarato.
Proprio il
giorno che ricorda l'orrenda offesa e dolore del popolo ebarico è il momento
per associare a questo dolore tutto quello provocato dalla compresenza
conflittuale di Isarele e Palestina. La memoria saggia e buona del proprio
dolore, di un grande dolore di tutti, sia memoria di tutti i dolori
ingiusti di tutti i popoli. Se ognuno resta nel proprio dolore, lascia
covare odio e vendetta, e, nell'illusione stolta di liberarsi, fa sì
che la storia si vendichi di tutti e faccia soffrire tutti. Riconoscere
il dolore dell'altro è la via d'uscita, perché solo la com-passione, perciò
l'uguglianza di diritti, permette la con-vivenza necessaria a tutti e a
ciascuno.
Enrico
Peyretti, 27 gennaio
2010