Fw: il mondo di Craxi
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 - From: "Enrico Peyretti" <e.pey at libero.it>
 - Date: Fri, 22 Jan 2010 10:50:13 +0100
 
Il mondo di Craxi
(prossimo articolo su Rocca, rubrica Resistenza e Pace, di Raniero La 
Valle) Con le grandi 
celebrazioni per Craxi, dieci anni dopo la sua morte in contumacia ad Hammamet, 
la destra berlusconiana ha rivendicato la sua vera ascendenza, dissipando gli 
equivoci che potevano essere stati ingenerati da precedenti annunci, o meglio da 
precedenti vanterie. I veri precursori di Berlusconi non sono né Sturzo – anche 
lui andato in esilio ma non come latitante – né De Gasperi – anche lui 
processato e condannato ma da un tribunale fascista – e tanto meno Aldo Moro che 
vittima sacrificale e martire della politica lo è stato davvero; il vero 
iniziatore dell’era berlusconiana è stato Bettino Craxi. Lo è stato in un senso 
materiale, perché senza il decreto con cui il presidente socialista dette il 
potere televisivo alla Fininvest, Berlusconi non avrebbe potuto avere la fama ed 
i soldi per intraprendere la sua avventura politica; e lo è stato in senso 
politico, perché senza la demolizione dei grandi partiti di massa, la DC e il 
PCI, tenacemente perseguita da Craxi (che amava invece Proudhon), senza la 
decisiva sconfitta inflitta ai lavoratori con l’abolizione della scala mobile, 
senza la riforma in senso decisionista dei regolamenti parlamentari, e senza il 
precedente di un partito-spettacolo, con la sua corte, come ironizzava Formica, 
in cui c’erano meno politici che ballerine, un fenomeno come Forza Italia e un 
governo come quello che abbiamo non sarebbero stati possibili. 
 È chiaro che il 
movente della glorificazione postuma di Craxi (i discorsi, le strade, le 
celebrazioni TV) è stato tutto e immediatamente politico: si trattava di fare 
dell’esule di Hammamet la prima vittima ingiustificata caduta sotto i colpi di 
una magistratura uscita dalla soggezione al potere politico; si trattava di 
reclamare l’immunità del potere, esattamente come Craxi aveva fatto con due 
discorsi alla Camera, in cui non aveva negato i reati, ma li aveva trasformati 
in problemi politici; si trattava di rivendicare il diritto per i politici in 
carriera di sottrarsi in ogni modo – con la latitanza, con il legittimo 
impedimento, con i processi brevi o addirittura non celebrati – al giudizio di 
magistrati interpreti della legge ma non eletti dal popolo. 
 Per fare questa 
operazione era necessario montare la novità mediatica di un Craxi ingiustamente 
perseguitato, sorvolare sulle condanne da lui subite in regolari processi, e 
ignorare che i fatti a lui imputati non erano stati solo quelli del 
finanziamento illecito dei partiti, ma anche la corruzione e il lucro privato. 
Non c’era dunque da fare alcuna apologia; sicché anche la consolazione offerta 
da Napolitano nella sua lettera alla vedova di Craxi, secondo cui il peso della 
responsabilità per i fenomeni degenerativi del sistema politico era caduto su di 
lui “con durezza senza eguali”, è sembrata eccessiva.  Si è sostenuto però 
che, a parte la questione giudiziaria e il triste epilogo, Craxi deve essere 
ricordato per la sua opera di statista. Certo che in questa ci sono state, come 
pure è stato detto, luci ed ombre. Luce fu la difesa della sovranità nazionale 
che egli fece contro gli americani a Sigonella, ma notte fonda fu la sua 
caparbia decisione di fare installare i missili nucleari a Comiso. Con 
quell’atto l’Italia si sposava al demone nucleare, e diventava potenzialmente 
genocida (l’obiettivo assegnatole, se ci fosse stata la guerra, era l’Ungheria). 
 Si è lodata quella 
sua scelta; senza di lui i missili in Sicilia non ci sarebbero stati, e senza i 
missili a Comiso non ci sarebbero stati neanche i Pershing 2 in Germania perché, 
come poi si è saputo, la Germania, se fosse stata sola, non li avrebbe accolti. 
Può darsi, come molti dicono, che se quei missili non fossero stati messi, 
l’economia sovietica non sarebbe stata travolta dal dissesto per le spese della 
corsa agli armamenti, l’URSS non sarebbe crollata, e la guerra fredda non 
sarebbe finita. Ma era davvero questo l’unico modo in cui la guerra fredda 
doveva finire? Non si erano avviati, proprio in quegli anni, diversi e più 
civili modi per uscire dalla contrapposizione dei blocchi? Non si era avvistata, 
come possibile, la pace “in un mondo senza armi nucleari e non violento”, come 
diceva Gorbaciov? E il mondo che è succeduto a quello che allora finì, questo 
mondo attuale senza guerra fredda ma con vere guerre perpetue e infinite, un 
mondo senza Marx ma anche senza Proudhon, è davvero un mondo 
migliore?                                                                                      
Raniero La Valle 
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