Fw: il mondo di Craxi
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- Date: Fri, 22 Jan 2010 10:50:13 +0100
Il mondo di Craxi
(prossimo articolo su Rocca, rubrica Resistenza e Pace, di Raniero La
Valle) Con le grandi
celebrazioni per Craxi, dieci anni dopo la sua morte in contumacia ad Hammamet,
la destra berlusconiana ha rivendicato la sua vera ascendenza, dissipando gli
equivoci che potevano essere stati ingenerati da precedenti annunci, o meglio da
precedenti vanterie. I veri precursori di Berlusconi non sono né Sturzo – anche
lui andato in esilio ma non come latitante – né De Gasperi – anche lui
processato e condannato ma da un tribunale fascista – e tanto meno Aldo Moro che
vittima sacrificale e martire della politica lo è stato davvero; il vero
iniziatore dell’era berlusconiana è stato Bettino Craxi. Lo è stato in un senso
materiale, perché senza il decreto con cui il presidente socialista dette il
potere televisivo alla Fininvest, Berlusconi non avrebbe potuto avere la fama ed
i soldi per intraprendere la sua avventura politica; e lo è stato in senso
politico, perché senza la demolizione dei grandi partiti di massa, la DC e il
PCI, tenacemente perseguita da Craxi (che amava invece Proudhon), senza la
decisiva sconfitta inflitta ai lavoratori con l’abolizione della scala mobile,
senza la riforma in senso decisionista dei regolamenti parlamentari, e senza il
precedente di un partito-spettacolo, con la sua corte, come ironizzava Formica,
in cui c’erano meno politici che ballerine, un fenomeno come Forza Italia e un
governo come quello che abbiamo non sarebbero stati possibili.
È chiaro che il
movente della glorificazione postuma di Craxi (i discorsi, le strade, le
celebrazioni TV) è stato tutto e immediatamente politico: si trattava di fare
dell’esule di Hammamet la prima vittima ingiustificata caduta sotto i colpi di
una magistratura uscita dalla soggezione al potere politico; si trattava di
reclamare l’immunità del potere, esattamente come Craxi aveva fatto con due
discorsi alla Camera, in cui non aveva negato i reati, ma li aveva trasformati
in problemi politici; si trattava di rivendicare il diritto per i politici in
carriera di sottrarsi in ogni modo – con la latitanza, con il legittimo
impedimento, con i processi brevi o addirittura non celebrati – al giudizio di
magistrati interpreti della legge ma non eletti dal popolo.
Per fare questa
operazione era necessario montare la novità mediatica di un Craxi ingiustamente
perseguitato, sorvolare sulle condanne da lui subite in regolari processi, e
ignorare che i fatti a lui imputati non erano stati solo quelli del
finanziamento illecito dei partiti, ma anche la corruzione e il lucro privato.
Non c’era dunque da fare alcuna apologia; sicché anche la consolazione offerta
da Napolitano nella sua lettera alla vedova di Craxi, secondo cui il peso della
responsabilità per i fenomeni degenerativi del sistema politico era caduto su di
lui “con durezza senza eguali”, è sembrata eccessiva. Si è sostenuto però
che, a parte la questione giudiziaria e il triste epilogo, Craxi deve essere
ricordato per la sua opera di statista. Certo che in questa ci sono state, come
pure è stato detto, luci ed ombre. Luce fu la difesa della sovranità nazionale
che egli fece contro gli americani a Sigonella, ma notte fonda fu la sua
caparbia decisione di fare installare i missili nucleari a Comiso. Con
quell’atto l’Italia si sposava al demone nucleare, e diventava potenzialmente
genocida (l’obiettivo assegnatole, se ci fosse stata la guerra, era l’Ungheria).
Si è lodata quella
sua scelta; senza di lui i missili in Sicilia non ci sarebbero stati, e senza i
missili a Comiso non ci sarebbero stati neanche i Pershing 2 in Germania perché,
come poi si è saputo, la Germania, se fosse stata sola, non li avrebbe accolti.
Può darsi, come molti dicono, che se quei missili non fossero stati messi,
l’economia sovietica non sarebbe stata travolta dal dissesto per le spese della
corsa agli armamenti, l’URSS non sarebbe crollata, e la guerra fredda non
sarebbe finita. Ma era davvero questo l’unico modo in cui la guerra fredda
doveva finire? Non si erano avviati, proprio in quegli anni, diversi e più
civili modi per uscire dalla contrapposizione dei blocchi? Non si era avvistata,
come possibile, la pace “in un mondo senza armi nucleari e non violento”, come
diceva Gorbaciov? E il mondo che è succeduto a quello che allora finì, questo
mondo attuale senza guerra fredda ma con vere guerre perpetue e infinite, un
mondo senza Marx ma anche senza Proudhon, è davvero un mondo
migliore?
Raniero La Valle
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