da Luisa Morgantini
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- Date: Wed, 13 Jan 2010 15:46:27 +0100
Luisa Morgantini
Commemorazione del primo anno della guerra di Gaza.
Discorso di Nurit Peled alla Manifestazione di Tel Aviv del 2 Gennaio 2010
In un articolo, che ha intitolato molto giustamente, “Il blocco è terrorismo!” Uri Avneri racconta la manifestazione di Gush Shalom ed altre organizzazioni pacifiste per commemorare la guerra di Gaza, in cui la rivendicazione principale era: togliere l’assedio di Gaza.
Circa 3000 manifestanti si sono riuniti in piazza Rabin a Tel Aviv il 2 gennaio 2010 ed hanno marciato fino a piazza del Museo dove si è tenuto il meeting di protesta. I manifestanti scandivano (in ebraico): “Gaza non disperare! Metteremo fine all’occupazione” , “Israele, noi ci vergognamo: il blocco è inumano”.
A parte lo slogan di Gush Shalom, “Il blocco è terrorismo”, c’erano anche gli slogan della Coalizione delle donne che dicevano: “Le donne attraversano le frontiere. Libertà e giustizia per Gaza”.
Molte persone ragguardevoli hanno preso la parola: Uri Avneri; Eilat Maoz della Coalizione delle donne che ha detto: “Attorno a noi in questa città vediamo criminali di guerra che hanno commesso queste azioni a Gaza. Essi vivono in pace, senza temere inchieste o punizioni”; Nasser Rawl, padre di una delle famiglie espulse dalla loro casa a Gerusalemme-Est; MK Hanin Zuabi (Balad); Yael Yaphet (L’arcobaleno Mizrahi); Abir Kopti (Hadash);
Nurit Peled-Elhanan
Buona sera a tutti quelli che sono venuti per ricordare il primo anniversario del massacro di Gaza e per protestare contro l’atteggiamento compiaciuto che gli abitanti di questa città ostentano di fronte al lento e ininterrotto annientamento di Gaza e di tutta la Palestina.
Se fosse stato chiesto a dei bambini della scuola d’infanzia: “Cos’hai imparato a scuola quest’anno, mio caro piccolo ragazzino?”, avremmo potuto avere molti tipi di risposta.
Un bambino illuminato e critico avrebbe potuto rispondere: “Ho imparato che il sole brilla sempre e che il mandorlo fiorisce, e il macellaio uccide e non c’è nessuno a giudicarlo (1).
E il bambino meno abituato a teorizzare avrebbe potuto rallegrarsi e dire: “Ho imparato come abbindolare gli Americani, ingannare i Palestinesi, uccidere Arabi, espellere famiglie dalle loro case e maledire chiunque mi dica che sono un marmocchio sporco quando sono stato un marmocchio sporco. E ho imparato che il popolo ebraico vive e che anche Gilad Shalit vive. Ancora” (2).
E il ragazzino, neoimmigrato, che aspira terribilmente a integrarsi e a far parte della società avrebbe potuto dire: “Ho imparato chi odiare, ho imparato che è necessario uccidere e su chi si dovrebbe sputare, e sono sempre pronto a fare la mia parte ogni volta che me lo si chieda”.
Il bambino sionista religioso, che frequenta le scuole d’nfanzia ben recintate e custodite delle colonie potrebbe dire: “Ho imparato ad essere un bon sionista, ad amare il paese, a morire e a uccidere per il suo bene, a cacciarne gli invasori, a uccidere i loro figli, a distruggere le loro case e a non dimenticare mai che in ogni generazione sorgono dei persecutori per annientarci e che tutti i gentili sono uguali e che sono tutti antisemiti che devono essere annientati. E la cosa più importante è che il sole continua a brillare e il mandorlo a fiorire e che ben presto andremo a piantare di tutto sulle montagne di Samaria e Giudea e a proteggere gli alberelli contro la mandria di montoni che ha invaso il nostro paese durante i 2000 anni in cui non siamo stati lì a custodirlo”.
L’anno scorso i nostri figli hanno appreso che uccidere un non-ebreo, qualunque sia la sua età, è un comandamento(di Dio) importante. L’hanno imparato non solo dai rabbini ma anche dai soldati che si vantano continuamente di quel che hanno fatto. Ciò è stato ben espresso da Damian Kirilik, quando la polizia l’ha arrestato e l’ha accusato di aver assassinato tutta la famiglia Oshrenko (3). Con grande freddezza, egli ha chiesto agli agenti di polizia perché facessero tante storie per un omicidio di bambini. Damian Kirilik è un nuovo immigrato che non comprende le sfumature e i sofismi del comandamento dei rabbini di uccidere figli dei gentili. Ma questo assassino venuto da fuori aveva compreso l’idea generale: era arrivato in un luogo dove l’omicidio di bambini è considerato con molta leggerezza.
I nostri figli hanno imparato quest’anno che tutte le qualità ripugnanti che gli antisemiti attribuiscono agli ebrei sono in realtà evidenti tra i nostri dirigenti: frode e inganno, avidità e omicidio di bambini. Mentre è accusato di commercio di organi per trapianti, imperturbabilmente, il governo di Israele è impegnato nel commercio di esseri umani interi – per il momento. Si può congetturare che in futuro per molti anni, quando molte vetture porteranno sul loro paraurti l’adesivo "Gil'ad - born to be free" {4}, [Gilad nato per essere libero], i capitani della nave pirata conosciuta come Israele continueranno le loro macchinazioni e a mercanteggiare ancora su quanti chili di carne ebraica – probabilmente in calo - potrebbero essere scambiati con quanti di carne palestinese, che non è più nemmeno tutto quel che era, dato che si è saputo dai media la notizia relativa al furto di pelle e cornee nel Centro di medicina legale di Abu Kabir (5).
E continueranno a uccidere in nome di Gilad e ad affamare e soffocare in nome di Gilad e a distruggere il popolo palestinese lentamente ma sicuramente, e a incoraggiare così il diffondersi di “cattive erbe” palestinesi (6) che legittimano sempre un massacro senza fine.
Come in ogni società marcia e corrotta, la parola “valori” ritorna sempre in ogni discorso di ogni politico, soprattutto i valori desiderati, i valori del sionismo e i valori dell’ebraismo e i valori delle forze armate israeliane. I valori del sionismo li abbiamo visti quest’anno gloriosi durante l’espulsione di famiglie dalla loro casa a Sheikh Jarrah. I valori della democrazia e dell’autorità della legge si manifestano presso Palestinesi sospettati di azioni violente e assassinati extra-giudiziariame nte nella loro casa, davanti ai loro figli, mentre terroristi ebrei godono della piena indulgenza del sistema giudiziario.
Ecco cosa imparano i nostri figli nello stato ebraico democratico. E perché stupirsi del sedicente choc manifestato di fronte alla violenza nelle scuole e nei locali notturni, nelle vie e sulle strade?
Dopo tutto, questa violenza non è nient’altro che la messa in pratica dei valori delle forze armate israeliane, un corso di addestramento elementare verso le attività e le operazioni che attendono questi giovani. E’ il modo per questi giovani di mostrare che hanno appreso qualcosa dai loro genitori e fratelli maggiori, dai loro insegnanti e guide. L’unico problema che apparentemente disturba le autorità preposte all’educazione e all’applicazione della legge è che non ci sono Palestinesi nelle scuole ebraiche e nei locali notturni ebraici e nelle vie ebraiche. A causa della loro assenza, i giovani ebrei rivolgono la loro violenza gli uni contro gli altri – e questo non dovrebbe accadere, un ebreo non dovrebbe fare del male a un altro ebreo. La violenza dovrebbe essere disciplinata e regolata, guidata da un’obbedienza cieca alle leggi razziali, rivolta solamente e unicamente contro chi non è ebreo.
E noi, che manifestiamo ogni settimana, ogni mese, ad ogni massacro, ad ogni anniversario di massacro – qual è il nostro potere? Nessuno.
Il lutto e l’insuccesso sono il nostro destino in questo paese. Giovedì scorso, ci trovavamo tutti ai cancelli di Gaza, disciplinati e obbedienti alle condizioni poste dal permesso della polizia, felici di rivederci e di constatare che siamo ancora vivi a scandire forte i nostri slogan per un pubblico di poliziotti e soldati simili a robot, totalmente incapaci di capire cos’avevamo da dire. Ma noi non abbiamo abbattuto il muro. Non siamo nemmeno riusciti a salvare un solo bambino dall’epidémia di meningite che colpisce Gaza già da molti mesi.
Che faremo della nostra impotenza e del nostro fallimento? Che si può ancora fare riguardo ad un sistema educativo che esige dai suoi diplomati un’identificazione totale con dei guerriglieri ebrei che erano, prima del 1948, giustiziati dai Britannici, in quanto accusati di terrorismo – e nello stesso tempo un’identificazione totale con chi li giustiziava? Identificarsi con le vittime di Auschwitz e nello stesso tempo comportarsi con un’indifferenza crudele per le sofferenze di chiunque non appartenga alla nostra razza? Cosa possono fare quelli che ricercano la pace in un paese guidato dall’esercito, le cui scuole sono infestate da criminali di guerra venuti per instillare il loro insegnamento, dove gli allievi sono obbligati a una settimana di esperienza premilitare a Gadna (squadroni della gioventù) e ascoltare i racconti eroici dei criminali del massacro di Gaza, sui quali si applicano tutti i mezzi possibili, psicologici, sociali ed educativi affinché facciano parte della macchina per uccidere?
Quelli sono i nostri figli e le nostre figlie – e noi non abbiamo accesso al sistema che guida le loro vite. Che spazio ci viene lasciato per instillare in loro uno o due dei nostri valori? Quali valori di bellezza e bontà possono essere inseriti in un tale apparato sofisticato di lavaggio del cervello e di distorsione della realià?
Sembra che l’unico valore che abbiamo ancora il potere e il modo di instillare sia il valore del rifiuto. Insegnare a dire di no. Insegnare ai nostri figli, che non sono ancora stati avvelenati, a resistere al lavaggio del cervelli, a rigettare i virus che si iniettano nei loro cervelli. E’ un compito duro, una fatica da Sisifo, ma è l’unico modo di riaffermare la nostra umanità. Dire di no al male, no alla frode e all’inganno, no al traffico di esseri umani, no al razzismo che si diffonde qui come una striscia di polvere da sparo, un razzismo che non si ferma al checkpoint di Kalandia, né al checkpoint di Erez, ma si diffonde come un cancro ai vergognosi centri di integrazione degli immigrati, alle scuole che proclamano l’integrazione e praticano la segregazione, a tutte le culture e tutte le credenze in questo paese.
Se non impariamo a rifiutare e a rigettare il male, a rifiutare le leggi e i regolamenti nefasti, ci ritroveremo a rifiutare e rigettare noi stessi, la nostra verità più intima.
Dobbiamo rifiutare di sentirci una minoranza estinta, rifiutare la paura e il timore – e l’alienazione – che ci sono imposte, rifiutare di essere complici. Solo il rifiuto può salvarci dalla resa, dal fallimento, dalla disperazione.
Noi siamo qui oggi, come una minoranza straniera e alienata, odiata e perseguitata. M
a insieme, con i nostri amici alla ricerca di pace aldilà del Muro, aldilà dei fili spinati, noi possiamo diventare una maggioranza. Solo il rifiuto di abdicare davanti ai muri e ai checkpoint può aprire i cancelli del nostro ghetto.
Vedere infine che c’è un mondo fuori, che ci sono regioni all’intorno che il Fondo nazionale ebraico non ha distrutto.
Che esiste una cultura e delle persone che vale la pena incontrare, conoscere e farsi amici, imparare da loro su questo luogo in cui viviamo come residenti stranieri e ricordarci che questo luogo può essere un luogo di una bellezza senza pari (7).
Note
(1) Riferimento ad una poesia famosa di Bialik sul pogrom di Kishinev nel 1903.
(2) "Am Yisrael Hai" (“Il popolo ebraico vive”) - un detto tradizionale, spesso invocato in un contesto nazionalista.
(3) http://www.jpost.com/servlet/Satellite?cid=1256799068438&pagename=JPArticle%2FShowFull
(4) Lo slogan “Ron Arad, nato per essere libero” si riferisce a un pilota israeliano fatto prigioniero, Ron Arad, per il quale il governo ha rifiutato negli anni ‘90 di liberare dei prigionieri palestinesi e libanesi, e che è considerato come irrecuperabile oggi.
(5) Vedi http://www.guardian.co.uk/world/2009/dec/21/israeli-pathologists-harvested-organs
(6) I dirigenti dei coloni si dissociano da atti di violenza estremi contro i Palestinesi, definendo gli autori come “le cattive erbe dei nostri giardini”.
(7) L’espressione ebraica utilizzata, "Yefe Nof", è tratta da una poesia nostalgica di Gerusalemme scritta da un poeta ebreo spagnolo medievale Yehuda HaLevi: “O soggiorno di bellezza senza pari, gioia di tutta la terra…”.
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