Domenica 02 agosto e' stato reso esecutivo l'ordine di
sfratto pendente su due famiglie palestinesi di Sheikh Jarrah a Gerusalemme
Est. Alle prime ore del mattino i soldati dell'IDF (Israeli Defence Forces)
hanno costretto con la forza le famiglie al Ghawi e al Hanoun, gia`
profughi nel `48, a lasciare le loro case nel quartiere di Sheikh Jarrah, dove
risiedevano dal 1956. Al loro posto sono gia' entrati nelle abitazioni coloni
israeliani.
Da settimane la presenza di cittadini e attivisti per i diritti
umani palestinesi, israeliani ed internazionali ha sostenuto la determinazione
delle famiglie a non lasciare le proprie case e a non divenire vittime delle
politiche di pulizia etnica dello Stato di Israele.
Secondo il Diritto
Internazionale Gerusalemme Est fa parte dei Territori Palestinesi Occupati da
Israele dal 1967 e la comunita' internazionale e' tenuta a far rispettare le
risoluzioni delle Nazioni Unite che vietano il trasferimento di popolazioni
cosi' come ogni intervento atto a modificare lo status quo della citta' (cfr.
Convenzioni di Ginevra (1949) e Risoluzioni ONU (n. 242 del 1967, 252 del
1968, 267 del 1969, 271 del 1969, 298 del 1971, 465 del 1980, 476 del 1980,
478 del 1980).
La condizione degli abitanti palestinesi a
Gerusalemme Est si fa sempre piu' insostenibile a causa delle politiche
discriminatorie del Governo occupante che hanno come obiettivo la
giudeizzazione della citta' di Gerusalemme creando continuita' territoriale
tra Gerusalemme Ovest e gli insediamenti israeliani illegali che circondano
Gerusalemme Est (Maale Adumim, Pisgat Zev....).
Dal 1967 ad oggi sono
stati costruiti 17 insediamenti che occupano circa il 35% del territorio di
Gerusalemme Est, nei quali vivono piu' 200,000 coloni. Fonti OCHA (Office for
Coordination of Humanitarian Affairs –
www.ochaopt.org/) riportano che tra il 1967
e il 2006 sono state demolite piu' di 8500 case palestinesi. Nei soli primi 4
mesi del 2009, OCHA ha registrato la demolizione di 19 strutture a Gerusalemme
Est, che comprendono 11 abitazioni civili. Di conseguenza 109 palestinesi, tra
cui 60 bambini, si ritrovano sfollati.
Le dirette conseguenze sulla
societa' palestinese di tali azioni del Governo Israeliano sono la
frammentazione territoriale dei diversi quartieri di Gerusalemme Est nonche'
l'isolamento di Gerusalemme Est dal resto della Cisgiordania, creando di fatto
le condizioni per cui Gerusalemme diventi la capitale 'unica ed eterna' dello
Stato di Israele in violazione del Diritto Internazionale e delle Risoluzioni
ONU.
L'unica difesa a cui possono ricorrere i palestinesi di Gerusalemme e'
il sostegno e il supporto della comunita' internazionale, l'unica che puo'
esercitare pressione sul Governo Israeliano per revocare immediatamente gli
ordini di espulsione dei palestinesi di Gerusalemme Est (Sheikh Jarrah, Citta'
Vecchia, Silwan, Bustan, Ras al Amud) e per fermare i piani di costruzione di
nuovi insediamenti a Gerusalemme.
Le famiglie al Ghawi, al Hanoun e al
Kurd, quest'ultima cacciata dalla propria abitazione nel novembre 2008, sono
solo le prime tra le 28 famiglie (500 persone) residenti nel quartiere di
Sheikh Jarrah, che sono a rischio di espulsione.
La nuova amministrazione
statunitense e l'Unione Europea hanno condannato la confisca, la demolizione
delle case palestinesi a Gerusalemme Est e la costruzione di nuovi
insediamenti.
Chiediamo pertanto al Governo Italiano e piu' direttamente
alla rappresentanza diplomatica del Consolato Generale di Italia a
Gerusalemme di condannare severamente il governo israeliano per le espulsioni
delle famiglie al Ghawi e al Hanoun, e di richiedere al Governo Israeliano che
venga cancellato l'ordine di espulsione, che le famiglie cacciate possano
rientrare nelle proprie case, che vengano cancellati gli ordini di espulsione
per le altre famiglie e che vengano fermati i piani di costruzione degli
insediamenti a Gerusalemme Est, come previsto dal rispetto del Diritto
Internazionale.
In quanto cittadini italiani chiediamo al Consolato
Generale di Italia a Gerusalemme di visitare le famiglie al Ghawi, al Hanoun e
al Kurd per portare un messaggio di solidarieta' e sostegno umano e
soprattutto politico, come gia' fatto da altri rappresentanti diplomatici
europei e statunitensi.