Sul razzismo diffuso e di governo
- Subject: Sul razzismo diffuso e di governo
- From: "Enrico Peyretti" <e.pey at libero.it>
- Date: Sun, 19 Jul 2009 16:02:13 +0200
Sul razzismo diffuso e di governo 18 luglio 2009 Per dovere personale di coscienza - e anche ritenendo di interpretare gli amici con cui lavoro solitamente ( p. es. www.ilfoglio.info e altri gruppi di impegno e di studio) – diffondo, tra tanti testi esemplari, due articoli: uno di Livio Pepino, magistrato e studioso autorevole, l’altro di Toni Ferigo, sindacalista esperto di immigrazione. Sono stati scritti entrambi prima della promulgazione, da parte del Presidente Napolitano, con grave eccezionale riserva costituzionale, della legge detta “pacchetto sicurezza”. Ma sono documenti che denunciano con chiarezza gli sciagurati effetti giuridici del razzismo che infetta lo strato più corrotto e involgarito del nostro popolo, attivamente ubriacato di ignoranza e di egoismo; razzismo che viene esibito e praticato da vari elementi del governo in carica, e passivamente seguito da altri. Anche se quelli della citata legge fossero provvedimenti inefficaci e soltanto demagogici, sarebbero incivili e detestabili. Leggi che rendono inferiori alcune persone sono leggi contro tutta l’umanità. Questo governo degrada l’Italia, raccoglie i frutti dell’attiva corruzione popolare compiuta con i media bassamente commerciali e corrivi, e svende ogni valore civile e umano in cambio di potere privato. Grande è la responsabilità delle forze morali, in primo luogo la chiesa cattolica, per avere spesso trescato con questa invasione mercantile della politica. Oggi la sinistra è di fatto extra-parlamentare, e la maggioranza di governo è extra-costituzionale. Infatti, il costituzionalismo è, nella sua essenza, limitazione e bilanciamento dei poteri, nessuno dei quali può essere illimitato, accumulato, predominate, a servizio di se stesso, elusivo delle regole, contrario agli universali diritti umani. Per questi motivi, da tempo abbiamo indicato la illegittimità costituzionale del berlusconismo, se la Costituzione non è solo uno strumento formale manipolabile, ma una linea storicamente obbligatoria di civiltà politica. Da Tocqueville a Rosmini, alle più alte voci contemporanee, è stato segnalato che non c’è solo il dispotismo dei tiranni, ma anche la dittatura delle maggioranze, possibile anche in parlamenti eletti democraticamente, dispotismo rivestito di apparente legalità. È necessario che ogni cittadino di coscienza e intelligenza, e ogni luogo di riflessione e mezzo di comunicazione, insorgano moralmente e politicamente per salvare e affermare la civiltà costituzionale. Occorre in Italia una resistenza costituzionale; occorre la disobbedienza civile alle leggi razziali, disobbedienza personale e organizzata, con la forza della nonviolenza; occorre l’opposizione politica consapevole e unitaria di una “coalizione costituzionale”, che faccia estremo appello alla coscienza civile e umana del nostro popolo e della comunità dei popoli. Saranno capaci le culture democratiche di salvare il Paese dall’assalto della mentalità disumana, della barbarie del potere senza regole, nemico dei deboli e bisognosi? Nelle piccole possibilità dei nostri mezzi, intendiamo fare la nostra parte di dovere, sia di accusa e denuncia, sia soprattutto di costruzione culturale e morale di ciò che ci fa umani, nella convivenza giusta. Enrico Peyretti, Torino (Due articoli allegati) *** Inferiori per leggedi Livio Pepino, in “il manifesto”, 4 luglio 2009, www.ilmanifesto.it (da Newsletter A bassa voce
- Anno III n. 24 - info at abassavoce.info www.abassavoce.info)
L'ennesimo «pacchetto» sulla sicurezza è, dunque, legge. Gli ingredienti sono quelli di sempre: nuovi reati, inasprimenti di pena (ovviamente solo per alcuni, come i graffitari destinatari di un trattamento per certi aspetti più grave di quello riservato a corrotti e corruttori), accentramento e gerarchizzazione degli uffici giudiziari (con attribuzione al Tribunale di sorveglianza di Roma del controllo sulla applicazione dell'art. 41 bis) e via elencando sulla strada della costruzione di un «codice dei briganti» contrapposto a quello dei «galantuomini».
Un decennio di
proibizionismo non ha impedito né limitato l'immigrazione. Semplicemente - come
era ovvio - ha aumentato a dismisura le situazioni di irregolarità. Il «braccio
armato» per fronteggiare (o fingere di fronteggiare) tale situazione è stato,
all'inizio, il meccanismo delle espulsioni rafforzato dal trattenimento di una
quota di irregolari nei Cpt. Ma anche questo non è bastato, non poteva bastare.
Così viene ora messo in campo l'armamentario del diritto penale: non contro il
migrante che delinque ma contro il migrante in quanto tale. Con l'introduzione
del reato di «immigrazione irregolare», infatti, è il migrante che diventa
reato. Inutile minimizzare
con il rilievo che il reato prevede come sanzione la sola ammenda, quasi si
trattasse di un semplice proclama. La nuova fattispecie è, infatti, il tassello
centrale di un mosaico inquietante. In particolare: a) il reato si aggiunge alla
detenzione amministrativa nei Cpt (modificati solo nel nome), confermata e
dilatata nel tempo fino a un massimo di sei mesi; b) l'esistenza del reato vale
a legittimare, a fronte degli altrimenti evidenti profili di incostituzionalità,
la cosiddetta aggravante della irregolarità, introdotta con la legge n.
125/2008, in forza della quale ove un reato sia commesso da uno straniero privo
di titolo di soggiorno la pena è aumentata di un terzo (con conseguente
significativo aumento del carcere per la sola condizione di "irregolarità"); c)
la criminalizzazione dello status di irregolare porta con sé conseguenze
gravissime per la vita del migrante privo di titolo di soggiorno, tra cui la
assoluta impossibilità di sanare la propria posizione anche in caso di
sopravvenienza delle condizioni che astrattamente lo consentirebbero, la
sostanziale preclusione all'accesso in concreto ad alcuni servizi pubblici
essenziali (anche in tema di sanità) dato l'obbligo di denuncia gravante sul
pubblico ufficiale che tali servizi deve rendere, l'impossibilità di contrarre
matrimonio e, addirittura, di riconoscere i figli essendo richiesta, per il
compimento di tali atti, l'esibizione all'ufficio dello stato civile del titolo
di soggiorno. Dunque, non solo
reato di immigrazione clandestina ma sistema teso a realizzare una condizione
permanente di inferiorità del migrante irregolare: considerato ad ogni effetto
«un delinquente», assoggettabile ad libitum a detenzione amministrativa per
mesi, privato della possibilità di regolarizzare la propria posizione,
espropriato di alcuni diritti fondamentali (che, come tali, competono a tutti e
non ai soli cittadini). Così si porta a compimento il disegno di considerare il
migrante un nemico da cacciare e, ove ciò non sia possibile (sappiamo tutti - e
il governo per primo - che l'immigrazione non si cancella con le espulsioni...),
un cittadino inferiore, titolare di diritti dimezzati. Inutile dire che entrambi
i profili hanno ricadute drammatiche sul sistema complessivo. Anzitutto,
considerare il migrante come nemico ha un effetto devastante, descritto in
maniera icastica da Primo Levi in «Se questo è un uomo»: «a molti,
individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che
ogni straniero è nemico. Quando questo avviene, allora, al termine della catena
sta il lager...». In secondo luogo, la inferiorizzazione del migrante comporta
una grave torsione del sistema democratico e delle regole della convivenza. La
modernità ha come segno caratterizzante, nel diritto, l'uguaglianza dei
cittadini mentre la nuova condizione giuridica dello straniero ci riporta a
situazioni premoderne caratterizzate da un doppio livello di cittadinanza, come
quella dell'antica Atene in cui la piena partecipazione dei cittadini era
assicurata dalla mancanza di diritti dei meteci. Se così è non basta considerare l'approvazione della legge una semplice battaglia perduta. *** |
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