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Newsletter Sopralluoghi in Palestina N.8
- Subject: Newsletter Sopralluoghi in Palestina N.8
- From: Marino <marino222 at virgilio.it>
- Date: Tue, 21 Apr 2009 21:35:30 +0200
-------- Messaggio Originale -------- Da: Assopace Jerusalem <jerusalem at assopace.org> A seguire e in allegato la Newsletter n.8 di "Sopralluoghi in Palestina" *NEWS n.8 ...tutte le notizie da Israele e Palestina della settimana* *Notizie in breve...* 1. L'inviato USA in Medio Oriente George Mithell, ha incontrato venerdì il Presidente Palestinese Mahmud Abbas. Giovedì ha invece incontrato il Primo Ministro Israeliano Netanyahu, dichiarando nel corso dell'incontro la volontà di vedere al più presto la creazione di uno Stato palestinese. Da parte sua Netanyahu ha affermato che "I palestinesi dovranno prima riconoscere Israele in quanto Stato ebraico, come condizione base per andare avanti con i negoziati di pace". (fonte Haaretz). 2. A causa delle festività ebraiche, le autorità israeliane mercoledì scorso hanno chiuso i tre passaggi della Striscia di Gaza, che erano stati aperti martedì per permettere l'ingresso di 80 camion di aiuti umanitari per conto dell'agenzia delle Nazioni Unite - UNRWA e di altre organizzazioni internazionali, più altri carichi destinati a privati. Ciò aveva permesso l'arrivo di un approvvigionamento alimentare minimo di alcuni beni di consumo e di granaglie. Prosegue ancora il blocco terrestre, navale e aereo israeliano, che dal giugno 2007 ha fatto crollare l'economia e intrappolato un milione e mezzo di palestinesi. (Fonte Infopal). Il valico di Rafah sarà aperto sabato e domenica 25 e 26 per consentire il passaggio di pazienti, studenti e palestinesi con permessi di residenza all'estero. (fonti agenzie palestinesi e israeliane). 3. Nel territorio Palestinese si sono svolte venerdì diverse attività per ricordare la Giornata dei Prigionieri palestinesi (fonte Alquds); sia in West Bank che e nella Striscia di Gaza si sono radunati centinaia di manifestanti per chiedere la fine delle sofferenze dei prigionieri palestinesi, che attualmente nelle prigioni israeliane ammontano a 9200, includendo 58 donne e 400 minori (fonte Al-Ayyam). *Segnalazioni...* Dal 22 al 24 Aprile a Bi'lin, villaggio vicino a Ramallah (Cisgiordania) avrà luogo la quarta conferenza dei movimenti di resistenza popolare non violenta. Bi'lin è diventato il simbolo sia del furto di terra in Palestina che del potere dei movimenti non violenti della società civile, in un processo di costruzione di una resistenza locale e internazionale contro l'occupazione. Gli obiettivi della conferenza sono: 1. Mostrare agli internazionali esempi di vita quotidiana delle battaglie e delle sofferenze dei Palestinesi 2. Ampliare il movimento di resistenza popolare non violenta 3. Rafforzare le relazioni con i movimenti di solidarietà internazionale e individuare nuove strade per sostenere la resistenza popolare _ _ _Alcune informazioni:_ QUANDO: 22-24 Aprile 2009 DOVE: Villaggio di Bi'lin, Palestina COSTI: Costo per l'alloggio, 20 euro per ogni notte + 30 euro per i costi di registrazione alla conferenza PER ISCRIVERSI E PARTECIPARE: http://www.bilin-village.org/english/conferences/conference2009/Fourth-Bilin-conference-on-grassroots-popular-resistance-in-April * ARTICOLI* _Dal mondo..._ *"Gaza -- Aumento della violenza contro le donne"* (Fonte UNIFEM) http://www.irinnews.org/Report.aspx?ReportId=83614 I/ Territori palestinesi occupati (TPO): l'ONU segue la traccia dell'aumento della violenza contro le donne a Gaza/ GAZA-City, 24 marzo 2009 (IRIN) -- Il Fondo di sviluppo dell'ONU per le donne (UNIFEM) a Gaza, ONG locali e operatori sanitari riportano un numero crescente di incidenti di violenza domestica e di attacchi sessuali contro donne a Gaza dall'inizio del 2009. Un'inchiesta non pubblicata dell'UNIFEM presso capifamiglia, uomini e donne, di 1.100 nuclei familiari a Gaza, condotta tra il 23 febbraio e il 3 marzo indica un aumento della violenza contro le donne durante e dopo i 23 giorni della guerra terminata il 18 gennaio. «Secondo la nostra équipe e in base a osservazioni cliniche, c'è stato un aumento della violenza contro le donne e i bambini durante e dopo la guerra», ha detto il coordinatore delle relazioni pubbliche per il Programma di salute mentale comunitario di Gaza (GCMHP), Husam al-Nunu. «Si può attribuirlo al fatto che la maggior parte delle persone è stata esposta a eventi traumatizzanti durante la guerra, e un modo per le persone di reagire allo stress è diventare violenti». Il GCMHP, che dirige 6 cliniche e segue +/- 2.000 pazienti di salute mentale all'anno, ha effettuato una valutazione nel dopoguerra intervistando +/- 3.500 abitanti di Gaza, ha detto al-Nunu. «Questa guerra è stata estremamente dura, le persone si sentivano in pericolo, vulnerabili e incapaci di proteggere se stesse, i loro figli e le loro famiglie; quando le persone erano intrappolate a casa, lo stress e l'ansietà aumentavano» ha detto al-Nunu. * Testimonianze* Sahar (che non ha voluto che si scrivesse il suo cognome), 36 anni, ha divorziato da suo marito in febbraio a causa delle violenze fisiche e psicologiche che ha subito prima e durante la guerra. «Mi picchiava duramente e io fuggivo in strada» ha detto Sahar. Mi obbligava ad avere rapporti sessuali contro la mia volontà». Sahar porta la figlia di due anni al Centro palestinese per la Democrazia e la Risoluzione dei conflitti per ricevere le visite del padre. Il tribunale ha ordinato delle visite sotto controllo dopo che l'ex-marito di Sahar con i suoi fratelli hanno tentato di rapirle la bimba con la forza. «Prima della guerra, il Centro faceva un servizio di visite controllate per 30 famiglie, ma ora, lo fa per 60 famiglie» ha detto Bakr Turkmani, un avvocato del centro. «Il numero di casi di divorzi e separazioni è aumentato significativamente dopo la guerra, e la violenza domestica ha un ruolo in questo aumento». «Mio marito mi picchia e mi insulta» ha detto un'altra vittima di violenza domestica di Gaza-city, che ha preferito restare anonima. Divorziata da poco, anche lei porta, ogni settimana, il figlio di 9 mesi al centro per un incontro controllato con il padre. «Se io non accompagno le vittime al commissariato di polizia, le loro denunce di violenza non sono accettate» ha detto Turkmani. * Centro dei diritti umani* Direttrice dell'unità femminile dell'importante organizzazione palestinese dei diritti umani, il Centro palestinese per i diritti umani (PCHR), Muna As-Shawa, ha detto che il centro era a conoscenza di un aumento della violenza domestica e di attacchi sessuali durante e dopo le ostilità. L'unità ha seguito più di 600 donne. «Durante e dopo la guerra, le donne hanno lottato per svolgere il loro ruolo materno, e per prendersi cura dei loro figli senza elettricità e senza acqua durante gli attacchi» ha detto Muna As-Shawa, e se il marito era morto, a volta il suocero prendeva l'eredità e tentava di prendere la custodia dei figli». Il PCHR fornisce assistenza legale alle vedove. Il Centro degli Affari femminili (WAC) a Gaza ha detto di aver organizzato incontri con 200 donne a Gaza dopo la guerra. «Molte donne che non avevano mai subito violenza in casa, sono state picchiate durante la guerra» ha raccontato a IRIN la direttrice del WAC, Amal Siam. Decine di donne che hanno perduto il marito sono venute al WAC per cercare aiuto dopo che i loro suoceri avevano tentato di prendere la custodia dei loro figli, ha detto Siam, aggiungendo che durante le ostilità, c'è stato un aumento dei casi di divorzio. Secondo l'UNIFEM, i risultati della prima valutazione inter-agenzie dell'ONU sui bisogni di genere è prevista per maggio. _Dall'Italia..._ *Articolo del Manifesto del 9 aprile 2009 "Un lungo cammino verso la pace" di Daphna Golan ** /L'appello dall'Università ebraica di Gerusalemme: anche durante i massacri di Gaza, abbiamo continuato a far finta di niente. Una tregua non basta più: come per il Sudafrica, è necessaria una Commissione per la verità che aiuti ebrei e arabi a vivere assieme. Ma prima il mondo dovrà smettere di venderci armi e, se non rispetteremo i diritti degli arabi, isolare i nostri cantanti, sportivi e turisti/ In lingua ebraica «va' a Gaza» è un modo di dire comune, sinonimo di «va' all'inferno». Quasi nessun israeliano ha mai vissuto nella Striscia, mentre molti palestinesi di Gaza vivono in campi profughi e Israele lì controlla ancora la vita di 1,5 milioni di arabi anche in seguito al «disimpegno», dopo che nell'estate 2005 i coloni furono costretti a lasciare i loro insediamenti. La maggior parte degli israeliani è stata a favore della guerra contro Gaza anche se non è mai stato chiaro quali fossero gli obiettivi della guerra - nonostante i media ripetevano che c'era «una quantità d'obiettivi» - quale il suo scopo finale e perché non fossero state intraprese strade alternative ai bombardamenti. La maggior parte degli israeliani semplicemente sosteneva: «Non possiamo continuare a non fare nulla mentre Hamas tira razzi nel sud d'Israele». Anch'io ero d'accordo che bisognasse fare qualcosa per fermare il lancio di Qassam contro Sderot e Beersheva. Ma perché, invece di dialogare con la gente di Gaza - inclusa la leadership di Hamas - abbiamo sparato e bombardato? Nelle giornate di protesta contro l'attacco più devastante a cui abbia mai assistito ho continuato a chiedermi: come è possibile? Come è possibile che la maggior parte degli israeliani appoggi questa guerra dannosa e stupida? Come possiamo vivere quest'incubo senza immaginare come fermarlo? Perché i figli dei miei amici stanno partecipando a questa guerra malvagia? Come possiamo continuare normalmente la nostra vita quotidiana in mezzo a tutto questo? Penso che all'origine di tutto ciò ci sia una combinazione - condivisa dalla maggioranza degli israeliani - di paura, pregiudizio e mancanza di speranze e futuro. A Gerusalemme abbiamo continuato a insegnare, come sempre. Al sicuro, a poche decine di chilometri dall'area di guerra. Insegno diritti umani e i miei studenti sono sia arabi sia ebrei. Israeliani e palestinesi, religiosi e laici, erano tutti depressi, spaventati e arrabbiati. Ma abbiamo continuato a lavorare, come sempre. Ormai siamo così abituati alle guerre che non ci siamo fermati nemmeno in questo caso. Ma ora io vi prego di fermarci. Nella prima settimana del conflitto avevo pubblicato un intervento sul quotidiano Ha'aretz proponendo uno sciopero dei campus finché la guerra non fosse finita. Ho ricevuto lettere da università della California e della Gran Bretagna che ci proponevano scioperi di solidarietà, ma qui a Gerusalemme soltanto quattro membri dell'Università hanno aderito allo sciopero di un'ora che stavamo organizzando e, alla fine, nemmeno questa protesta ha avuto luogo. Sono un'ebrea israeliana, nata e cresciuta in Israele. Avevo dieci anni quando scoppiò la Guerra dei sei giorni, 16 quando iniziò il conflitto dello Yom Kippur. Durante la prima guerra del Libano ero una studentessa e ho conosciuto l'uomo che sarebbe diventato mio marito. Mia figlia è nata pochi mesi prima che, nel 1987, scoppiasse la prima Intifada e, nel 1991, ogni volta che l'allarme suonava ci rifugiavamo con lei e il suo fratellino in una tenda di plastica a prova di armi chimiche. I miei figli sono cresciuti a Gerusalemme negli anni degli attentati suicidi e delle esplosioni sugli autobus. Accompagnarli a scuola rappresentava ogni giorno un viaggio spaventoso. Abbiamo continuato la vita di sempre durante la seconda guerra del Libano nel 2006 - mentre decine di operazioni militari causavano enormi distruzioni - perché durante tutti questi anni ci hanno raccontato che non abbiamo scelta, che Israele vuole la pace ma non ha un partner con cui siglarla e che quindi dovevamo andare avanti, tenendo alto il morale. Ma ora dico che dobbiamo essere fermati, che non possiamo andare più avanti così. Nessun'arma deve più essere data a Israele per iniziare altre guerre. E se i cantanti israeliani vogliono gareggiare in Eurovisione, gli sportivi giocare nelle leghe europee e i turisti spostarsi da un paese all'altro dell'Unione europea senza bisogno di visto, devono rispettare i diritti di tutti, porre fine all'occupazione militare nei confronti dei palestinesi che va avanti da 42 anni, smettere di fare la guerra e trovare nuovi modi di negoziare il nostro futuro assieme ai palestinesi. Perché nei colloqui di pace - tutti falliti finora - si è sempre discusso di dove tracciare i confini, come separare i popoli, mai di come ebrei e arabi vivranno assieme. La Commissione per la verità e la riconciliazione sudafricana dovrebbe essere assunta come modello per permettere a ebrei e arabi, a palestinesi e israeliani di smettere di sparare e onorare la memoria dei propri cari morti nel conflitto. Piangere i caduti, curare le ferite, ammettere le sofferenze inflitte a un popolo innocente, discutere del passato e sognare assieme un futuro condiviso. Le guerre contro Gaza non saranno fermate finché non sarà riconosciuto che la Striscia di Gaza è stata creata da Israele. Durante il conflitto del 1948, che i palestinesi chiamano Nakba (catastrofe) e gli israeliani Guerra d'indipendenza, centinaia di migliaia di palestinesi furono deportati o scapparono dalle loro case e non fu più permesso loro di farvi rientro. Le loro terre furono confiscate e la maggior parte dei loro villaggi distrutti e ripopolati da ebrei nel momento della nascita dello Stato d'Israele. Molti dei rifugiati scapparono proprio a Gaza e alcuni di loro hanno abitato in campi profughi negli ultimi 60 anni. Per i primi 19 hanno vissuto sotto occupazione egiziana e, da quel momento in poi, per oltre 40 anni, sotto occupazione militare israeliana. I profughi palestinesi, che rappresentano la maggioranza della popolazione di Gaza, sognano di tornare ai loro villaggi e alle loro terre in Israele, ma Israele non vuole nemmeno ascoltare i loro desideri, perché Israele rifiuta qualsiasi discussione sul passato. Un cessate il fuoco è necessario, ma lo è, allo stesso modo, un percorso di discussione sul nostro passato e sul nostro futuro. E questa trattativa dovrebbe aver luogo tra il maggior numero di parti possibile tra quelle che hanno dato vita a questo conflitto. Dovremmo discutere della fine dell'occupazione militare a Gaza e in Cisgiordania, del futuro dei profughi e della condivisione di Gerusalemme. Dovremmo discutere di come vivere assieme secondo giustizia, ebrei e arabi, in Medio Oriente. Spero che non sia ormai troppo tardi. Forse ci vorranno molti anni prima che le ferite si rimarginino ma, col vostro aiuto, col vostro rifiuto di appoggiare la guerra, possiamo trovare la via della riconciliazione. Spero di poter continuare a insegnare a studenti ebrei e arabi che quella dei diritti umani non è una lingua straniera, estranea alla nostra realtà e che il loro sarà un futuro di pace e non più di guerre. Per favore, aiutateci a fermare la guerra e costruire la strada per un futuro di giustizia. /*Daphna Golan insegna diritti umani all'Università ebraica di Gerusalemme ed è autrice di «Next year in Jerusalem-Everyday life in a divided city» (New press) / _Da Israele..._ *"Il boss è Lieberman" di Uri Avnery * «Si vis pacem, para bellum -- se vuoi la pace, prepara la guerra» ha dichiarato il nuovo ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman. Quando un diplomatico cita questa massima latina, il mondo non presta attenzione alla prima parte,ma solo alla seconda. Provenendo dalla bocca del già tristemente famoso Lieberman, la frase era chiaramente unaminaccia: il nuovo governo sta imboccando un percorso di guerra, non di pace. Con queste parole Lieberman ha negato il discorso di Netanyahu (che aveva affermato di volere la pace coi palestinesi) e ha conquistato i titoli di tutto il mondo.Ha confermato le peggiori preoccupazioni legate alla nascita di questo esecutivo. Non contento di citare i latini, egli ha spiegato specificamente il motivo per cui ha usato questa massima. Le concessioni, ha detto, non portano la pace, ma piuttosto il suo contrario. Il mondo ha rispettato e ammirato Israele quando ha vinto la guerra dei sei giorni. Due ragionamenti falsati in una sola frase. Restituire i territori occupati non è una «concessione». Quando un ladro è obbligato a restituire una proprietà rubata, o quando una persona sgombera un appartamento che non le appartiene dopo averlo occupato abusivamente, questa non è una «concessione ». E l'ammirazione per Israele nel 1967 proveniva da un mondo che ci vedeva come un paese piccolo e coraggioso, un paese che aveva resistito a eserciti potenti decisi a distruggerci.Ma oggi Israele appare come un brutale Golia, mentre i palestinesi sotto occupazione sono visti come un Davide con la sua fionda, che combatte per la propria vita. Con questo discorso, Lieberman è riuscito ad attirare l'attenzione del mondo, maancor più è riuscito a umiliare Netanyahu. Ha dimostrato che le dichiarazioni pacifiche del nuovo primo ministro non erano altro che bolle di sapone. Tuttavia ilmondo vuole essere ingannato. Un portavoce della Casa Bianca ha annunciato che per quanto riguarda l'amministrazione americana, è il bla-bla-bla di Netanyahu che conta, e non il linguaggio diretto di Lieberman. EHillary Clinton non si è vergognata di chiamare Lieberman per fargli le congratulazioni nel giorno dell'insediamento. Questa è stata la prima prova di forza dentro il triangolo Netanyahu-Lieberman- Barak. Lieberman ha dimostrato il suo disprezzo sia per Netanyahu che per Barak. La sua base politica è salda, perché lui è l'unica persona che può far cadere il governo in qualunque momento. Dopo il dibattito della Knesset sul nuovo governo, solo 69 membri hanno votato a favore. Se aggiungiamo i cinque membri laburisti che «erano presenti ma non hanno partecipato al voto» (un espediente meno negativo dell'astensione), il governo ha 74 voti. Ciò significa: senza i 15 membri di Lieberman, il governo non ha la maggioranza. Col suo discorso Lieberman ha detto a Netanyahu: Se pensi di chiudermi la bocca, scordatelo. Di fatto, ha puntato una pistola alla testa diNetanyahu -- in questo caso, potrebbe essere una Luger Parabellum tedesca, una pistola il cui nome deriva dal motto latino. La portata della sfrontatezza di Liebermanè risultata evidente solo un'ora più tardi. Dal ministero degli Esteri, egli è corso a un'altra cerimonia per il passaggio delle consegne tra iministri, questa volta al ministero per la Sicurezza interna. Che cosa doveva fare lì? Niente. È estremamente inusuale che unministro partecipi alla cerimonia in un altro ministero. È vero, il nuovo ministro della sicurezza interna, Yitzhak Aharonovitch, appartiene al partito di Lieberman,ma questo non è rilevante. L'enigma è stato svelato il giorno dopo, quando il neo-insediato ministro degli Esteri ha trascorso sette ore in una stanza degli interrogatori della polizia, rispondendo a domande su sospetta corruzione, riciclaggio di denaro sporco e simili, in relazione a ingenti somme di denaro che sono state trasferite dall'estero a una società appartenente alla sua figlia 23enne. Sarebbe difficile vedere la sua apparizione alla cerimonia del ministero della polizia come qualcosa di diverso da una minaccia cruda e sfacciata contro coloro che avrebbero dovuto interrogarlo il mattino dopo. La sua presenza equivaleva a dichiarare sono io l'uomo che ha nominato ilministro che ora decide di ciascuna delle vostre carriere, che decide se dovete essere promossi o se la vostra carriera deve finire. E lo stesso messaggio è andato ai giudici: ho nominato io il nuovoministro della Giustizia, e sarò io a decidere sulla promozione di tutti voi. Tutto questo mi ricorda un ricevimento diplomatico presso l'ambasciata egiziana, esattamente 10 anni fa. Lì incontrai lamaggior parte dei membri del nuovo governo che era stato appena varato da Ehud Barak. Erano tutti depressi. Barak aveva fatto una cosa al limite del sadismo: aveva nominato ogni ministro al posto meno adatto. Il professor Shlomo Ben-Ami, una persona gentile ed educata, era stato nominato ministro della Sicurezza interna (e in quell'incarico fallì miseramente durante i disordini dell'ottobre 2000, quando non riuscì a impedire che la sua polizia uccidesse una dozzina di cittadini arabi). Yossi Beilin, un diplomatico dalla mente molto fertile, candidato naturale per il ministero degli Esteri, fu nominato ministro della giustizia. E così via. In privato, tutti espressero la loro amarezza nei confronti di Barak. Ora Netanyahu ha battuto Barak. La nomina di Lieberman come ministro degli esteri sconfina nella perversione. La nomina di Yuval Steinitz, professore di filosofia e amico personale della moglie di Netanyahu, Sarah, un uomo privo di qualunque esperienza in campo economico, comeMinistro del Tesoro, all'acme della crisi finanziaria mondiale, oltrepassa il limite dell'assurdo. La nomina del numero 2 del Likud, Silvan Shalom, a due nuovi incarichiministeriali ha fatto di lui un nemico mortale. Creando una lunga lista di ministeri, tanto nuovi quanto vuoti, solo per distribuire poltrone ai suoi sodali, ha trasformato il governo in una barzelletta («un ministro per la posta in entrata e un ministro per la posta in uscita»). Ma un governo non è una barzelletta. E Lieberman non è una barzelletta. Tutt'altro. Già al suo primo giorno ha chiarito che lui -- lui e nonNetanyahu o Barak -- deciderà lo stile del nuovo governo. Eglimanterrà in vita questo governo finché gli converrà, e lo farà cadere nel momento in cui sentirà di poter conquistare il potere assoluto andando a nuove elezioni. Il suo stile rude e violento è naturale e calcolato a un tempo. Punta a minacciare, a fare leva sui tipi più primitivi presenti nella società, ad attirare l'attenzione pubblica e a garantire la copertura dei media. Questa settimana sono state citate ripetutamente alcune passate dichiarazioni di Lieberman. Una volta ha proposto di bombardare l'enorme diga di Aswan, un atto che avrebbe causato una terribile inondazione, uno tsunami, uccidendo molti milioni di egiziani. Un'altra volta ha proposto di intimare un ultimatum ai palestinesi: alle otto del mattino bombarderemo i vostri centri commerciali, a mezzogiorno i vostri distributori di benzina, alle due del pomeriggio le vostre banche, e così via. Ha proposto di affogare migliaia di prigionieri palestinesi, offrendosi di fornire gli autobus necessari per portarli fino alla costa. Un'altra volta ha proposto di deportare il 90% dei cittadini israeliani arabi, che sono un milione e duecentomila. Recentemente ha detto al presidente egiziano, HosniMubarak, uno degli alleati più fidati della leadership israeliana, di «andare all'inferno ». Nella recente campagna elettorale il suo programma ufficiale conteneva la richiesta di annullare la cittadinanza di qualunque arabo che non abbia dimostrato la propria lealtà a Israele. Questo è stato anche il suo slogan principale. Un altro richiamo alla memoria dei programmi di certi partiti consegnati alla storia. Va poi aggiunta la sua aperta ostilità nei confronti delle «élite» israeliane e di tutto ciò che è legato ai fondatori dello stato di Israele. Qual è la soluzione di Lieberman allo storico conflitto arabo-israeliano? In passato ha parlato di un sistema di «cantoni» per i palestinesi. Dovrebbero vivere in varie enclave in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, scollegate tra loro e dominate da Israele. Nessuno stato palestinese, naturalmente, nessuna Gerusalemme Est araba. Ha persino proposto di aggiungere a questi cantoni alcune zone di Israele densamente abitate dalla popolazione palestinese, la cui cittadinanza israeliana verrebbe revocata. Tutto ciò non è così lontano dalle idee di Sharon né da quelle di Netanyahu, il quale dichiara che i palestinesi «si governeranno da soli» -- naturalmente senza uno stato, senza una moneta, senza poter controllare i propri confini, senza porti né aeroporti. Durante la cerimonia presso il ministero degli Esteri, Lieberman ha dichiarato che l'accordo di Annapolis, che era stato dettato dal presidente Bush, non è valido, e che solo la «Road Map» conta. I portavoce del ministero degli Esteri si sono affrettati a spiegare che la «Road Map» parla anch'essa di «due stati». Essi hanno dimenticato di ricordare al mondo che il governo israeliano ha «accettato» la Road Map solo con 14 clausole che la privano di qualunque contenuto. Ad esempio: che i palestinesi devono «distruggere l'infrastruttura terroristica» (in che consiste? chi decide?) prima che Israele faccia qualunque mossa, compreso il congelamento degli insediamenti. (Torna alla mente quell'ebreo ricco dello shtetl che dettava il suo testamento suddividendo le sue ricchezze tra parenti e amici, e aggiungeva: «In caso dimia morte, questo testamento sarà nullo».) Per quanto riguarda il conflitto israelopalestinese, la controversia tra Olmert e Livni da una parte, e Netanyahu e Lieberman dall'altra, riguarda la tattica piuttosto che la strategia. La strategia che li accomuna tutti quanti è impedire la creazione di uno stato palestinese normale, libero e praticabile. Tzipi Livni era per una tattica di negoziati infiniti, abbellita da pronunciamenti sulla pace e sui «due stati nazionali». Non per niente, Netanyahu la prende in giro: «Hai avuto tanti anni per raggiungere un accordo con i palestinesi. Perché allora non l'hai fatto?». Questo non è un dibattito sulla pace,ma su un «processo di pace». Ma nel frattempo Tzipi Livni si dedica al suo nuovo ruolo di leader dell'opposizione. I suoi primi discorsi sono stati vigorosi, incisivi. Presto vedremo se saprà riempire questo ruolo di contenuti. Se dover parlare di pace la convincerà del suo valore, e farà di lei una alternativa reale al governo di Lieberman e della Liebermania. /(*Uri Avnery è un giornalista israeliano, scrive per il quotidiano Haaretz) / *Di seguito alcuni link utili: * http://www.menareport.com/en/business,real_esta/241251 http://www.haaretz.co.il/hasen/spages/1068545.html http://www.bdsmovement.net *PER SAPERNE DI PIU'...* _In italiano:_ http://www.assopace.org/ http://www.actionforpeace.org/ www.infopal.it www.osservatorioiraq.it www.lettera22.it www.dagaza.org http://www.associazionezaatar.org/index.php www.cipmo.org www.luisamorgantini.net http://www.aprileonline.info/print_article.php?id=11438 _In inglese:_ http://www.passia.org/ www.palestinemonitor.org/ http://www.maannews.net/en/ http://www.haaretz.com/ http://www.btselem.org/English/ http://www.phr.org.il/phr/ http://www.adalah.org/eng/index.php www.thisweekinpalestine.org www.alternativenews.org www.icahd.org/ http://www.end-gaza-siege.ps/ www.freegaza.org www.stopthewall.org
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