Noi e ...



Gli intellettuali e i filosofi, che - come fa notare la studiosa Mariuccia Salvati - dovrebbero occuparsi di svelare la contemporaneità, non pensano con occhio critico e privo di pregiudizi ideologici a squadernare la dittatura odierna; altrimenti scoprirebbero che in Italia non c’è più educazione democratica, e pertanto la vita democratica è morta. 

Gli uomini di cultura hanno lasciato che la sinistra si accodasse alla destra: i candidati premier Rutelli e Veltroni cosa sono se non la destra mitigata? A mio avviso, hanno la colpa d’occuparsi d’altro; è già accaduto? 

Noi, poveri mortali, ci trasciniamo nell’ambito del possibile; anzi dove tutto è possibile ma nulla si concretizza; una concezione aperta di futuro ma senza alcun effettivo governo dell’avvenire. La linearità del tempo trascorre priva di meta, nel dominio del presente; nel senso comune; agiamo il meno possibile perché il progresso è identificato in un baratro: quello dell’espansione economica nell’avvenire. 

La responsabilità, il rapporto faccia a faccia, l’emozione, l’azione può scardinare tutto ciò? Forza Italia è un partito senza emozioni. La strategia discorsiva di Foucault è tuttora una preda di Berlusconi e del suo gruppo (Tremonti, Confalonieri, Gianni Letta, avvocati vari). 

L’immediatezza dell’impulso, la spontaneità delle emozioni, per arrivare al controllo dei sentimenti: ci è tutto privato. Gioia è una parola tabù. La dimensione ludica è persa. Ogni gruppo nella propria autoreferenzialità esprime la posizione “giusta giusta”. 
Rifuggiamo dal contatto perfino con noi stessi; viviamo intontiti e soffocati.

L’agire solidale ci viene tolto dalla mente. Si è consumato l’ottimismo profuso dal cristianesimo nella cultura occidentale. Viviamo poveri perché privi di relazione e protezione; di emozioni e con corpi repressi. Anestetizzati durante uno tsunami sociale. Noi non abbiamo più il nostro corpo (ce lo hanno scippato di mano) e non siamo più il nostro corpo (lo cacciamo in un cassetto non appena ci svegliamo). 

Come sempre, da parte sua il potere cura la sensazione che sia impossibile venir fuori dallo stato di cose e invece: facciamo largo all’imprevedibile. Basta poco per fare inversione di marcia, invece che continuare a essere vergognosi e vittime servili, ridefinire l’identità individuale di ognuno, ri-temporalizzarla. 

Se è vero che la letteratura è “la più assoluta forma che la verità può assumere”, bene. Allora in Italia non partiamo da zero, grazie ad esempio alla New italian epic; come dice Wu Ming 2: la narrativa italiana intesa come “pratica di resistenza, perché l’unica alternativa per non subire una storia è raccontare mille storie alternative”. Sta ad ognuno di noi diventare consapevole del ruolo che si occupa nella società; andare avanti e aggredire lo stato di cose con la parola e con qualsivoglia. 

Chi scrive non solo mette in mostra se stesso, i propri limiti ma anche la propria morte intellettuale. 

Discutere, dibattere, scrivere e parlare è una tremenda fatica, di questi tempi; figuriamoci tirarsi in piedi e governare la catastrofe: quest’occasione pur unica. Il capitalismo è finito semplicemente perché è l’ideologia del progresso, legata al principio di un’illimitata espansione economica. Gli economisti capaci fanno tenerezza; anche se riuscissero ancora una volta a farla scampar bella, la strada intrapresa è quella che tutti sappiamo. Viviamo in una società tutt’altro che aperta al futuro.

Fa notare Carmen Leccardi in Sociologie del tempo: “Inevitabilmente, considerata la struttura temporale dell’azione, l’incertezza del futuro si riverbera sui modi dell’agire sociale. In un contesto collettivamente sempre più pessimista circa le possibilità di governo dell’avvenire, la definizione di progetti a medio-lungo termine appare, ad esempio, una strategia di costruzione biografica scarsamente significativa”. 

E per finire, Foucault ci invita: “Non immaginate che si debba essere tristi per essere militanti, anche se quello che si combatte è abominevole. E’ il legame del desiderio con la realtà [...] a possedere una forza rivoluzionaria”.

18/4/9 – Leopoldo BRUNO