Martedì notte conosceremo i risultati delle elezioni politiche in Israele. Forse le più importanti degli ultimi anni, non tanto per il significato politico intrinseco (mettiamoci pure quello), ma per il post Gaza. “Piombo Fuso” ha cambiato le carte in tavola. Si può dire anzi che ha ribaltato tavola, carte, bicchieri e posacenere. Primo risultato: dai sondaggi (che brutto dirlo, ma lo fanno tutti) risulta che l’elettorato israeliano si è spostato a destra. La (non) nuova Golda Meir, il ministro degli Esteri Livni, nonostante Olmert ne abbia combinate di cotte e di crude, prima della scampagnata nella Striscia, si accingeva a prendere il posto del premier dimissionario raccogliendo i frutti di un lavoro certosino fatto di presenzialismo, frasi ad effetto, pugni duri e tailleur.
STRATEGIE SEMPREVERDI - Come in tutte le democrazie moderne, un momento di crisi forte, magari accompagnato da qualche bombetta (in questo caso parecchie), per dirla in gergo calcistico… fa spogliatoio. Mi spiego meglio: i cittadini, preoccupati per le sorti del proprio Paese, sconvolti, incerti sul futuro, afflitti dalle preoccupazioni e dalle ansie, si stringono attorno a chi li guida. In Italia questo processo d’empatia si viveva nei bei giorni spensierati della Strategia della Tensione e, chiariamolo, l’esempio l’ho fatto per spiegare la reazione collettiva ad un momento di crisi. Torniamo al partito di Livni, Kadima (costola nata dal fianco del Likud per volontà di Ariel Sharon). “Piombo Fuso” ha si stretto gli israeliani attorno al governo, ma ha generato anche un dubbio legittimo: “Ma non dovevamo sbarazzarci di Hamas?”. Aggiungiamo che Livni ha avuto un ruolo secondario nella campagna contro Gaza, forse perché troppo impegnata a beccarsi con Olmert e che ha fallito nel tentativo di creare una nuova coalizione. Fallimento che ha portato ad elezioni che forse gli israeliani si sarebbero volentieri risparmiati, ed il gioco è fatto. Kadima, numeri (provvisori e da sondaggio di Haaretz) alla mano, si attesterebbe dietro al Likud di Benyamin Netanyahu. Quest’ultimo per non deludere gli elettori che vogliono il pugno di ferro con i nemici palestinesi promette, in caso di vittoria, un bel ministero all’ultranazionalista russofono Avigdor Lieberman (già ministro delle Minacce Strategiche (!) con Olmert) leader del partito ‘Yisrael Beitenu‘, un simpaticone a quanto pare - stando alle dichiarazioni dell’ex segretario generale del defunto partito Yossi Dayan - titolare di tessera del Kach, partito messo al bando nel 1988 per incitamento al razzismo. Uno, per intenderci, che chiede il giuramento di fedeltà ad Israele ai cittadini arabi pena la perdita della cittadinanza. Simpatico o no, Lieberman “rischia” di scavalcare i laburisti di Barak e di prendersi dai 15 ai 18 seggi. Subito dietro con circa 10 seggi si attesta lo Shas, ultraconservatore, che non si fa fatica a credere possibile partner di un nuovo governo Netanyahu.
L’ALTRA SPONDA DEL FIUME - E il vecchio Barak, i laburisti? Accusato di essere stato troppo morbido con Hamas (?) da Livni tira fuori il coniglio dal cilindro e contro ogni previsione dà il via libera alla costruzione di nuove colonie in Cisgiordania: un nuovo insediamento a Migron che prevede la nascita di 1400 unità abitative. Mossa disperata per cercare di arginare la debacle elettorale e l’avanzata delle destre. Restando in argomento, Olmert invece sarebbe disposto a sgomberare 60 mila coloni. Mossa scaturita dagli accordi di pace con l’Anp. La notizia data da Yediot Ahronot, non ha avuto grosse conferme. E’ evidente che il governo mostra in questo caso tutta la sua incapacità di portare avanti un serio processo di pace con i palestinesi e di rispettare la famosa ma inesistente Road map. Processo che ha nello smantellamento delle colonie illegali in Cisgiordania la condicio sine qua non. Un nuovo governo, fortemente conservatore, difficilmente lavorerebbe nella direzione di una politica di smantellamento in Cisgiordania, soprattutto con Lieberman ministro e lo Shas che sbraita dagli scranni della Knesset.
CHE SARA’ SARA’ - La lotta è
aperta. In realtà sia Kadima sia il Likud puntano
all’elettorato moderato. E non ci pensano proprio a mettere su un
cartellone insieme, magari con i laburisti che spennellano con un po’
di socialismo. Sarebbe un governo di unità nazionale e in fondo,
nonostante tutto, in Israele non si sente questa
esigenza. Quindi ognuno per la sua strada cercando di relegare l’altro
a comprimario. Il sistema proporzionale puro che vige in Israele
offre spazio a tutti ed evita il bipolarismo che è tanto di moda. Uno
spazio che chi governerà dovrà essere in grado di gestire. Però nessuno
ha ancora risposto alla domanda che inquieta i cittadini israeliani: “Ma
non dovevamo sbarazzarci di Hamas?“