Dialogo fra intellettuali sulla guerra a Gaza. E quelli di casa nostra, a parte parlare due settimane di Annozero, che fanno?
Vi capita mai di leggere Haaretz? Beh, fatelo. In Israele il dibattito sull’ultima guerra di Gaza (ma anche sull’occupazione militare) è molto, molto più serio e critico che in Italia (vogliamo riparlare di Annozero? No.) o nel resto del mondo. Provocatoriamente il 20 gennaio sulle pagine del quotidiano israeliano è stata pubblicata, a nome dell’associazione per i Diritti civili in Israele, una pagina di necrologi per ricordare i bambini uccisi a Gaza. Ve la immaginate sul Corriere della Sera o su Repubblica?
LO SCONTRO - Sulle stesse pagine
scrive da sempre editoriali al vetriolo Gideon Levy,
ex portavoce di Shimos Peres, giornalista e
pacifista. In risposta ad uno di questi, Abraham Yehoshua, il
grande scrittore israeliano, qualche giorno fa ha scritto una lettera
aperta per criticare, ma anche per cercare di capire, le posizioni di Levy
sulla Guerra di Gaza. Quest’ultimo ha
risposto qualche giorno dopo… Le lettere (qui
nella versione italiana), non sono soltanto una testimonianza
importante che aiuta il dibattito civile sulla questione
israelo-palestinese, ma una vera e propria lezione di “sofferenza“.
Una lezione tormentata, piena di dubbi, paure, angosce, incredulità e
smarrimento. Una lezione di realtà fuori degli schermi televisivi. Una
realtà concentrata in un pezzo di terra così piccolo, eppure così
importante da essere considerato l’ago della bilancia dell’equilibrio
mondiale. Sulle pagine di Haaretz si è consumato uno
scontro che sa di tragedia. Uno contro l’altro. Uno a favore della
guerra e uno contrario. Lo scontro fra l’appoggio ad una guerra
definita disgraziata ma necessaria da Yehoshua:”(…)Ti
ho comunicato quanto sia difficile leggerti, perché ciò che
scrivi pesa sulla nostra coscienza, ma anche quanto sia importante il
lavoro che stai portando avanti e il suono della tua voce. (…)Mi
attraversa a volte il pensiero dolente che non sia per i bambini di
Gaza o di Israele che ti stai struggendo, ma solo per la tua
personale coscienza. Perché se tu fossi veramente preoccupato per la
morte dei nostri e dei loro bambini, capiresti l’attuale guerra - non
allo scopo di estirpare Hamas da Gaza, ma per indurre i suoi seguaci a
capire, sciaguratamente nel solo modo che al momento sembrano in grado
di comprendere, che devono interrompere i lanci in modo unilaterale,
interrompere le forniture di missili ordinati per una guerra amara e
disperata al fine di distruggere Israele, ciò soprattutto per il bene
dei loro figli nel futuro, cosicchè non debbano morire più in altre
avventure prive di senso”, e la negazione a questa necessità di
Levy: “(…) Anche tu, autore stimato, sei caduto
preda della sciagurata onda che ci ha invaso, intorpidito, accecato e
ci ha lavato il cervello. Oggi ti trovi a giustificare la guerra più
brutale che Israele abbia mai combattuto, e nel farlo sei compiacente
con l’imbroglio che l’”occupazione di Gaza è finita” e giustifichi le
uccisioni di massa evocando l’alibi che Hamas “mescola deliberatamente
i suoi combattenti alla popolazione civile”. Stai giudicando un popolo
indifeso a cui è negato un governo ed un esercito - includendo un
movimento fondamentalista che utilizza mezzi inadatti per combattere
per una giusta causa, cioè la fine dell’occupazione - allo stesso modo
in cui giudichi una potenza regionale, che si considera umanitaria e
democratica ma che si è dimostrata essere un conquistatore crudele e
brutale. Come israeliano, non posso ammonire i loro leader, mentre le
nostre mani sono coperte di sangue, né voglio
giudicare Israele e i palestinesi come hai fatto tu”.
CHI LI HA VISTI? - I due scrivono come se le missive fossero private, come se stessero uno di fronte all’altro nell’attesa di comprendersi, ma con la consapevolezza di non poterlo fare più. Come se quelle parole fossero le ultime. Viene da chiedersi dove siano i nostri intellettuali. Di cosa parlino. E come. Quale sia il livello del dibattito nel nostro paese. Gli intellettuali che hanno il dovere di interpretare il presente e decodificarlo all’opinione pubblica (che non è una massa informe e inetta). Loro che dovrebbero avere il dovere di avere coraggio. Nel dibattito su Gaza, come per quello sull’intera questione israelo-palestinese, questo coraggio vacilla sempre di più davanti alle trincee mediatiche e davanti all’accettazione della “normalizzazione” dell’occupazione militare e della guerra.
OGGI - Intanto la fragile tregua è già infranta. Miliziani palestinesi hanno ucciso un soldato israeliano facendo esplodere un ordigno su una pattuglia di passaggio al confine tra Gaza e Israele. Un militante di Hamas è stato ucciso da un missile. L’intelligence israeliana afferma che fosse coinvolto nell’esplosione. Un civile palestinese è morto in uno scontro a fuoco a nord della Striscia. Aerei israeliani hanno bombardato i tunnel al valico di Rafah. Si scavano nuove fosse una dopo l’altra. Fosse di qua e di là del muro. Fosse pronte per essere riempite. All’orizzonte nuove fiamme di guerra e grandi investimenti per la ricostruzione. Esistono ancora (per fortuna) voci che frantumano le armature del silenzio per farne materia di dibattito civile. Vi capita mai di leggere Haaretz? Beh, fatelo.