Pace e verità per Gaza. Mondo religioso e associazionismo si mobilitano



di Ingrid Colanicchia, Adista

Una popolazione ridotta alla fame, alla povertà, senza adeguate prestazioni sanitarie, impossibilitata a uscire dai ristretti confini di un lembo di terra, in altre parole un campo di concentramento. Ha richiamato alla mente un’immagine forte il card. Renato Martino, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, per parlare - in un’intervista a ilsussidiario.net - dell’attuale situazione della Striscia di Gaza. Il paragone con i lager nazisti ha scatenato la reazione di Israele che ha accusato l’ex nunzio vaticano alle Nazioni Unite di “parlare come Hamas”. Ma quella del card. Martino - che ha ribadito a Repubblica (8/1) la sua posizione, affermando che a Gaza è la stessa dignità umana ad essere calpestata - non è certo l’unica voce del mondo religioso ad essersi levata in merito alla crisi umanitaria di Gaza. Come hanno denunciato in molti, quello che si sta consumando è solo l’ultimo atto di una “punizione collettiva” inflitta indiscriminatamente, nel silenzio complice di Stati Uniti ed Europa, alla popolazione palestinese della Striscia di Gaza dagli inizi del 2006, a seguito della vittoria elettorale di Hamas. Un atto che ad oggi è costato la vita a centinaia di civili palestinesi.

L’appello delle Chiese cristiane di Gerusalemme

Le violenze in atto a Gaza hanno suscitato la reazione delle Chiese cristiane di Gerusalemme che il 30 dicembre hanno diffuso un comunicato congiunto in cui sottolineano come “questa carneficina non porterà alla pace e alla giustizia, ma nutrirà ancora più odio e ostilità”. Tra i firmatari, oltre a esponenti delle Chiese di tradizione cattolica orientale (siriaca, armena, greca), anche i patriarchi ortodossi delle Chiese etiope, copta, latina e greca, nonché il vescovo luterano di Betlemme. Il 4 gennaio inoltre tutte le Chiese cristiane dell’area hanno osservato un momento di preghiera ecumenica per la fine delle ostilità.
Parole forti vengono da p. Raed Abusahlia, parrocco di Taybeh (a 15 km da Ramallah, in Cisgiordania) che, senza in alcun modo voler “giustificare le violenze di Hamas”, ha invitato a considerarlo “un partito democraticamente e legittimamente eletto”, “un movimento di resistenza contro l’occupazione israeliana dei Territori palestinesi”: ora più che mai quindi un interlocutore necessario.
Richiama ciascuno alle proprie responsabilità p. Manauel Musallam, parroco a Gaza, sottolineando che “quello in corso a Gaza è un massacro, non un bombardamento, e nessuno lo dice. La comunità internazionale non si lavi la coscienza con gli aiuti umanitari”.

Il laicato cattolico italiano prende posizione

In Italia, tra i primi a prendere parola sul massacro che si sta consumando a Gaza, la sezione italiana di Pax Christi che, all’indomani dell’inizio delle ostilità, ha rivolto un appello a israeliani e palestinesi per il cessate il fuoco, denunciando l’univocità dell’informazione: “In questi giorni i media italiani - si legge nel comunicato diffuso il 28 dicembre - hanno purtroppo mascherato una folle e premeditata aggressione, e soprattutto l'insopportabile contesto di un assedio da parte di Israele che per mesi ha ridotto alla fame un milione e mezzo di persone, scegliendo accuratamente alcuni termini ed evitandone altri”. Infatti - come sottolinea Pax Christi, che in occasione dell’Epifania ha anche proposto, come gesto simbolico contro la guerra, di listare a lutto la stella dei Magi - mentre quotidiani e telegiornali hanno addebitato la responsabilità della fine della tregua ad Hamas, si è omesso di dire che il 19 dicembre è semplicemente scaduta una tregua della durata concordata di sei mesi: tregua peraltro non rispettata da Israele che dalla firma dell’accordo aveva ucciso 25 palestinesi.
Ha rivolto un appello ad ambo le parti anche il presidente delle Acli Andrea Olivero che lo scorso 29 dicembre, da Betlemme, dove era in visita, ha sottolineato che “la vera questione da porsi, per capire cosa fare, è chi sono le vittime, non quali sono le ragioni”. “Guardando oggi a Gaza - ha proseguito Olivero - vediamo che le vittime sono i più poveri”. “Questo deve essere detto con chiarezza: oggi c’è una popolazione che subisce bombardamenti indifferenziati. Le guerre e le operazioni chirurgiche non esistono”.
Stessi toni quelli usati dalla Caritas italiana che, richiamandosi alle parole pronunciate da Benedetto XVI nell’Angelus del 28 dicembre, ha accolto e fatto proprio l’appello che Claudette Habbash, direttrice della Caritas di Gerusalemme, ha rivolto alla comunità internazionale: “Bisogna assolutamente che cessino i bombardamenti, perché sono già troppe le vittime innocenti. Noi condanniamo ogni violenza”. Se le operazioni militari israeliane proseguiranno - continua - “vi saranno solo ulteriori spirali di violenza. Ci addolora che ancora una volta l’unico linguaggio sia quello delle armi”. Sulla stessa lunghezza d’onda l’Azione Cattolica Italiana che ha annunciato per il 18 gennaio una preghiera congiunta con le Ac di tutto il mondo.
Condannano il silenzio della comunità internazionale, le associazioni aderenti alla Tavola della Pace che hanno promosso, per sabato 17 gennaio, una manifestazione nazionale ad Assisi. “Quanto sta accadendo è vergognoso”, si legge nel comunicato diffuso il 6 gennaio. “Vergognoso è il silenzio dell’Italia e del mondo. Vergognosa è l’inazione dei governi europei e del resto del mondo che dovevano impedire questa escalation. Vergognoso è il veto con cui gli Stati Uniti ancora una volta stanno paralizzando l’Onu”. “Niente può giustificare un bagno di sangue. Nessuna teoria dell'autodifesa può farlo. Nessuno può rivendicare il diritto di compiere una simile strage di bambini, giovani, donne e anziani senza subire la condanna della comunità internazionale. Nessuno può arrogarsi il diritto di infliggere una simile punizione collettiva ad un milione e mezzo di persone. Nessuno può permettersi di violare impunemente la Carta delle Nazioni Unite, la legalità e il diritto internazionale”.
Rispondendo al vescovo ausiliare di Bologna, mons. Ernesto Vecchi, in merito alla polemica nata dalla manifestazione islamica del 3 gennaio scorso davanti alla basilica di San Petronio - durante la quale alcuni manifestanti hanno dato fuoco alla bandiera israeliana in segno di protesta - Giampaolo Spettoli, portavoce di Noi Siamo Chiesa-Emilia Romagna ha dichiarato che se è vero che la preghiera si è svolta in continuità con una manifestazione “che ha visto anche bruciata una bandiera di Israele e sventolati vessilli con svastiche”, è altrettanto vero “che nella Striscia di Gaza l’esercito di Israele brucia a centinaia, non le bandiere ma le vite stesse dei palestinesi”.
A Roma, anche la CdB di San Paolo si è mobilitata, partecipando, insieme al Cipax e alla Rete Radié Resch, alla manifestazione a sostegno della causa palestinese svoltasi il 4 gennaio per le vie di Roma, e organizzando, insieme ad altre associazioni, un sit-in a largo Goldoni dall’8 all’11 gennaio.

La società civile: comunità internazionale inerte

Sempre in Italia il movimento Sinistra Cristiana-Laici per la Giustizia ha posto l’accento sul fatto che “nella catena delle cause di una guerra che ha preso le forme di un eccidio” ci sia una decisione dei rabbini: l’operazione “Piombo fuso” infatti ha preso il via solo dopo che il governo e le forze israeliane hanno chiesto ed ottenuto l’autorizzazione da parte dei rabbini a violare la giornata del Sabato. Sinistra Cristiana ha sottolineato inoltre che il mito, rafforzato dagli “attacchi inoffensivi” di Hamas, di “uno Stato di Israele che sopravvive solo grazie alla ragione della forza e alla propria capacità di combattere, è contrario alla ragione e rappresenta il più grande pericolo per Israele”.
L’atteggiamento che la comunità internazionale sta tenendo di fronte al dramma di Gaza ha incontrato la condanna delle Ong italiane che in un comunicato stampa del 30 dicembre ne hanno denunciato la pretesa neutralità: “Diventa sempre più difficile ascoltare i comunicati della diplomazia e della politica, parole calibrate, studiate per dire ma non troppo, per bacchettare quelli che si dicono essere due belligeranti, parole studiate per coprire una sostanziale connivenza con chi in questi giorni ha sganciato tonnellate di bombe sulle città e i villaggi della Striscia di Gaza”.
Molto articolato anche il documento stilato dal Coordinamento provinciale per la Palestina di Alessandria (v. notizia in questo stesso numero), nato due anni fa sulla spinta delle numerose iniziative di gemellaggio e solidarietà con le città palestinesi, i cui abitanti “sono stretti nella morsa di una dura occupazione militare, imprigionati dal Muro di segregazione, oppressi dalla mancanza di lavoro e da una qualsiasi prospettiva di futuro se non nell’emigrazione incoraggiata e favorita dall’unica autorità efficiente, che è quella israeliana, inermi di fronte al controllo, al condizionamento e all’efficace uso di una informazione massmediatica propagandistica, sbilanciata e in larga parte falsa”. Un’informa-zione che “in questi giorni di vera e propria guerra” si è rivelata “embedded, intruppata, unilaterale e gestita politicamente, non solo in Israele”. Infatti, continua il documento, “nessuno ricorda che a Gaza vive 1 milione e mezzo di palestinesi, di cui più della metà è composto da famiglie di profughi delle passate guerre arabo-israeliane” e che “la maggior parte degli abitanti vive con meno di due dollari al giorno”, mentre “la disoccupazione supera il 50%”. Il fatto che nel settembre 2005 Israele abbia completato unilateralmente il ritiro dalla Striscia dei suoi soldati e coloni, senza previo accordo con le autorità palestinesi, “ha di fatto - e crediamo volutamente - consegnato la Striscia di Gaza ai militanti della fazione integralista islamica palestinese di Hamas”. Da allora “Israele ha chiuso ermeticamente i suoi confini con Gaza per isolare Hamas, riducendo le forniture di carburante, impedendo la circolazione delle persone, l’afflusso dei più elementari generi di sopravvivenza (cibo, acqua, medicinali…), negando la possibilità del ricorso alla risorsa della pesca”. Poi anche le bombe. “Il principio biblico ‘occhio per occhio, dente per dente’, principio di equilibrio che prevede che la ‘vendetta’ sia proporzionata all’offesa, è chiaramente disatteso vista la enorme sproporzione di armamento e di efficacia bellica”.

Religioni per la pace

Netta e rivolta ad ambo le parti la condanna della Federazione Luterana Mondiale - espressa dal presidente Mark S. Hanson e dal segretario generale, Ishmael Noko - che ha tuttavia evidenziato l’enorme sproporzione delle “operazioni militari israeliane rispetto all’attuale minaccia: operazioni che sono sfociate in un numero intollerabile di morti civili e di feriti”.
Tra gli anglicani, è intervenuto mons. Desmond Tutu, primate della Chiesa Sudafricana, sottolineando come “nel contesto di una supremazia aerea totale, nella quale una parte del conflitto dispiega forze aeree letali contro avversari che non possono difendersi, i bombardamenti assumono tutte le caratteristiche dei crimini di guerra” ed evidenziando come l’offensiva militare “non contribuisca alla sicurezza d'Israele”. Mons. Tutu ha infine puntato il dito contro la comunità internazionale che “negli ultimi 60 anni ha costantemente mancato nei confronti delle popolazioni della Palestina e di Israele” (mons. Tutu è firmatario, insieme ad altre personalità, di un appello dal titolo “Gaza: è in gioco l’etica del genere umano”, pubblicato integralmente sul numero allegato di Adista Segni Nuovi).
L’Associazione Giovani Musulmani d’Italia, esprimendo massima solidarietà alla popolazione palestinese, ha auspicato che “la Comunità Internazionale eserciti una pressione crescente, e che il nostro stesso governo assuma un ruolo di primo piano in seno all'Unione Europea, per il raggiungimento di una definitiva cessazione dei bombardamenti da parte dello Stato d'Israele”. L’associazione ha sottolineato inoltre l’opportunità di istituire “una commissione d'inchiesta sui tragici eventi di questi giorni, nonché del lungo periodo di embargo che a tutt’oggi affama ed umilia la popolazione di Gaza, causando una crisi umanitaria rilevata e deplorata a più riprese dai più autorevoli organismi internazionali”.

(13 gennaio 2009)