30 giorni x 30 articoli.
Verso il 10 dicembre 2008: leggiamo insieme ogni giorno un
articolo
della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
Art. 17
"Senza egoismi"
La Tavola della pace rinnova
l'appello ai direttori dei TG della RAI:
bastano pochi secondi al giorno nei TG
Oggi, mercoledì 26 novembre 2008,
leggiamo insieme il diciassettesimo articolo della Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani.
Articolo 17 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
"1. Ogni individuo ha diritto ad avere una proprietà sua
personale o in comune con altri. 2. Nessun individuo potrà essere
arbitrariamente privato della sua proprietà".
Segue il commento del prof. Antonio Papisca.
"La proprietà ha come oggetto un 'bene', materiale o immateriale che
sia: oltre che la proprietà di una casa o di un appezzamento di terreno
o di uno stabilimento balneare, c'è la proprietà intellettuale (di
brevetti, di idee, di composizioni musicali e altre opere artistiche (copyright,
c'è il reato di 'plagio'...).
L'articolo 42 della Costituzione italiana stabilisce che "la proprietà
è pubblica o privata", che "i beni economici appartengono allo Stato,
ad enti o a privati" e che "la proprietà privata è riconosciuta e
garantita dalla legge che ne determina i modi di acquisto, di godimento
e i limiti allo scopo di assicurare la funzione sociale e di renderla
accessibile a tutti".
A sua volta, l'articolo 1 del Protocollo (1952) allegato alla
Convenzione europea dei diritti umani e libertà fondamentali del 1950
recita: "Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei
suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per
causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai
principi generali del diritto internazionale. La disposizioni
precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in
vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei
beni in modo conforme all'interesse generale o per assicurare il
pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende".
Il diritto alla proprietà è a cavallo tra la sfera dei diritti di
libertà e quella dei diritti economici e sociali.
Il riferimento a 'funzione sociale', 'accessibilità a tutti',
'interesse generale', 'limiti', fa trasparire, da un lato, la
preoccupazione che ci sia comunque una sopraordinata vigilanza pubblica
sulla materia, dall'altro, quello che è, e sarà, un dibattito sempre
aperto sulla questione se il diritto di proprietà sia compatibile con
tutti gli altri diritti umani, addirittura con principi fondamentali
quali l'universalità dei diritti e l'eguaglianza ontica dei
soggetti-titolari dei diritti.
Di questo dibattito sono espressione significativa i due Patti
internazionali del 1966, rispettivamente sui diritti civili e politici
e sui diritti economici, sociali e culturali. In questi due pilastri
del Diritto universale dei diritti umani non c'è traccia dell'articolo
17 della Dichiarazione universale. Come noto, i due Patti furono
adottati dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1966, in piena
era bipolare di confrontazione ideologica, politica e militare tra i
Blocchi dell'Est e dell'Ovest: il primo, fautore dell'economia
pianificata e di forme, più o meno integrali, di collettivismo, il
secondo, alfiere del liberismo economico, più o meno temperato da
principi di economia sociale di mercato. Il disaccordo sul modo di
concepire la società e l'economia è la ragione principale per cui i
diritti fondamentali furono separatamente catalogati in due distinti
trattati internazionali, in barba al principio dello loro
interdipendenza e indissociabilità. C'è da aggiungere che, in
quell'epoca, accedevano all'ONU i paesi di recente indipendenza dal
dominio coloniale, quasi tutti portatori di culture politiche di
marcato orientamento 'socialista'.
Il riconoscimento del diritto alla proprietà come diritto fondamentale
figura invece, oltre che nel citato Protocollo europeo, anche nella
Convenzione interamericana del 1969 (articolo 21), nella Carta africana
dei diritti dell'uomo e dei popoli del 1981 (articolo 14), nella Carta
araba dei diritti umani del 2004 (art.31).
In tutti questi strumenti giuridici è sempre fatto riferimento ai
limiti che discendono dalle esigenze di utilità sociale.
La domanda che sorge spontanea è se tutti i beni materiali (ed
eventuali connessi 'servizi') possano costituire oggetto di proprietà
da parte di singoli, di gruppi o di enti privati. E' lecito chiedersi
se al di là del criterio dell'utilità e della funzione sociale, ci sia
una qualche preclusione di carattere ancora più forte alla proprietà di
beni. Esistono beni che sono comuni per loro stessa natura oltre che
per loro destinazione d'uso. Mi riferisco in particolare ai 'beni
comuni globali' (global common goods), di cui sono titolari,
solidarmente insieme, "tutti i membri della famiglia umana".
L'acqua certamente non può costituire oggetto di proprietà privata.
Essa è un bene comune globale. C'è una vasta mobilitazione su scala
mondiale perché venga riconosciuto il diritto all'acqua quale diritto
fondamentale. Le proposte sul come tradurre il riconoscimento giuridico
paiono convergere per l'adozione, da parte delle Nazioni Unite, di una
convenzione a sé stante o, forse più realisticamente, di un Protocollo
da aggiungere al Patto internazionale sui diritti economici, sociali e
culturali. Nel 2007, il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite
ha sottoposto alla consultazione degli stati e delle ONG un documento
intitolato "Principi-guida su povertà estrema e diritti umani: i
diritti del Povero", in cui, tra l'altro, ci si riferisce all'acqua
come ad un diritto umano fondamentale. Il Governo italiano e alcune ONG
hanno proposto di completare l'espressione "diritto all'acqua" con
"bene comune globale".
Tra i beni comuni globali figurano certamente quelli ricompresi nel
"Patrimonio comune dell'umanità" (monumenti, beni artistici,
paesaggistici) sul quale vigila l'Unesco. L'Italia è una porzione molto
consistente di questo World Heritage.
Io mi azzardo a dire che tutte le grandi risorse naturali (a cominciare
da quelle energetiche) costituiscono, devono costituire beni comuni
globali.
Il diritto alla proprietà può significare egoismo, esclusione,
discriminazione. Proviamo allora a considerare ed esercitare il singolo
diritto in un'ottica di civismo universale. Non soltanto i beni comuni
globali, ma anche i beni oggetto di 'proprietà', privata o pubblica che
sia, sono porzioni del Bene Comune Globale per antonomasia, la Terra:
con le sue coltivazioni, le sue montagne, le sue foreste, i suoi campi,
i suoi deserti, i suoi mari, la sua atmosfera, i suoi animali, i suoi
templi religiosi, le nostre case. Intendo dire che i 'beni' oggetto di
proprietà sono parti di un Tutto, che bisogna coltivare e preservare
nell'ottica della condivisione, dell'aiuto reciproco e della
responsabilità di garantire i diritti delle generazioni future. Per
gestire i beni comuni globali, oltre che il civismo universale dei
singoli e dei gruppi, occorrono istituzioni di governance su più
livelli: dal Comune fino all'ONU, che operino nell'ottica dell'economia
di giustizia sociale e della salvaguardia dei beni del creato.
Per concludere su un tema per il quale, come d'altronde per tutti gli
altri articoli della Dichiarazione, non basta un intero corso
universitario: ci sono 'beni' che si sottraggono per loro natura a
qualsiasi considerazione di ordine per così dire catastale. Sono quei
beni che più se ne fruisce, più si moltiplicano e aprono orizzonti di
immensa liberazione: i beni spirituali."
Antonio Papisca
Cattedra UNESCO "Diritti umani, democrazia e pace" presso il
Centro interdipartimentale sui diritti della persona e dei popoli
dell'Università di Padova (antonino.papisca at unipd.it).
Tutte le attività promosse in vista del 10 dicembre sono pubblicate sul
sito: www.perlapace.it.
Perugia, 26 novembre 2008
Ufficio Stampa Tavola della pace
Floriana Lenti 338/4770151
tel. +39 075 5734830 - Fax +39 075 5721234
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