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4 novembre, non festa ma lutto
- Subject: 4 novembre, non festa ma lutto
- From: "italo disabato" <italo.disabato at rifondazione.it>
- Date: Tue, 4 Nov 2008 10:00:59 +0100
4 novembre, non festa ma lutto. L'antica storica parola d'ordine antimilitarista, uno slogan che amava ricordarcelo sempre Piergiorgio Acquistapace, è tornata di attualità. Ci ha pensato il ministro della difesa Ignazio La Russa a compiere questo miracolo. Per il 90° anniversario della "Grande Guerra" il governo Berlusconi ha stanziato oltre 6 milioni di euro per le celebrazioni. Tutti soldi rigorosamente gestiti dalle forze armate che contemplano, oltre che la tradizionale occupazione di piazze e l'operazione "caserme aperte" con esposizioni di carri armati ed esibizioni delle frecce tricolori, anche "l'occupazione" delle scuole da parte di oltre 200 generali. Per fare cosa? Per raccontare a modo loro la storia: non carneficina, "inutile strage", ma compimento eroico della missione risorgimentale. Una tesi, fatta di esaltazione della virilità militare e di una Italia tutta protesa nell'adempimento di quella missione, che è contraddetta da una infinità di studi storici. Nel revisionismo generale, nella riscrittura della storia ad opera degli eredi del fascismo oggi al governo, si rispolvera così il 4 novembre con uno spot colossale che ha come obiettivo culturale principale quello di riabilitare le guerre di ieri per meglio giustificare quelle di oggi. Ai generali che intendono spiegare il trionfale annuncio di Armando Diaz occorrerà contrapporre l'altra storia. Quella che portò un Re infame ad esautorare il parlamento contrario alla guerra con il patto di Londra. Alle promesse di una guerra tanto rapida da non prevedere neanche l'approvvigionamento invernale delle truppe - il radioso maggio - che si nebulizzeranno nella sporca guerra di trincea e di logoramento, con i soldati mandati al freddo delle Alpi, con gli scarponi di cartone e l'equipaggiamento estivo. Alle decimazioni eseguite dai plotoni di esecuzione per impedire la "fuga davanti al nemico", alla disperazione di chi preferiva mutilarsi e ferirsi per sottrarsi alla caneficina. Ai morti per spagnola, pidocchi e altre malattie sociali. Ai soldati imbottiti di alcol e mandati al macello davanti ai fili spinati. Agli imboscati, ufficiali e figli della borghesia che la guerra l'avevano voluta, che, come recitava un motivetto cantato dai soldati, avevano "le scarpe lucide e i capelli profumati." Alla 1° guerra mondiale come incubatrice del totalitarismo. Il fascismo infatti non inventò niente, rese permanente le restrizioni alle libertà di opinione, politiche e sindacali che lo stato di guerra aveva imposto: dalla censura che mandava imbiancato in edicola L'Avanti , alla cosiddetta mobilitazione industriale che militarizzava i ritmi e i posti di lavoro. Alla spoliazione del mezzogiorno italiano che conosceva la Stato unitario solo per i carabinieri che venivano a sottrarre alle loro famiglie i figli per la guerra. O la vergognosa propaganda istillata dagli ufficiali alla truppa, in gran parte figli di contadini, che li contrapponeva agli operai delle fabbriche del nord dispensati dalla guerra per poter garantire la produzione bellica. Verità che i generali non racconteranno agli alunni del 2008 come quella di Caporetto che più che una sconfitta militare fu un rifiuto di massa di proseguire la guerra, con i soldati che lasciavano le divise ed i fucili. In questo incontrandosi con le rivolte per il pane e la pace che da Torino a Milano portavono gli operai, spesso donne coraggiosissime, a fronteggiare la polizia e a manifestare in piazza. Cogliamo dunque la provocazione di La Russa per rovesciarla come un guanto. Proiettiamo "Uomini contro" di Rosi, leggiamo la "Lettera ai cappellani militari" di don Milani. Parliamo dell'eroicità del dolore e dell'infamia di una classe dirigente e militare che ingrassò sui profitti di guerra e sul sangue della povera gente. Molto si è discusso in questi anni del superamento della divisone tra socialisti e comunisti. Forse bisognerebbe ricordare che davanti al fallimento della II° internazionale, operai italiani, francesi, russi e inglesi contro operai austroungarichi e tedeschi, ci furono socialisti coerenti come Karl Liebknecht che si rifutarono di votare i crediti di guerra o interi circoli della federazione giovanile socialista italiana che cercarono d'impedire l'invio dei soldati al fronte e per questo furono sbattuti in carcere o davanti al plotone di esecuzione. O semplicemente ricordare che la rivoluzione sovietica fu in primo luogo una rivoluzione per la pace e contro la guerra. L'accettazione o meno della guerra come strumento della politica è d'altronde tema che divide anche oggi le sinistre. Tra chi le accetta sia pur nella ipocritica versione umanitaria o delle "missioni di pace" e chi invece vi si oppone "senza se e senza ma". La pace, come allora, è tema basilare per la rifondazione di qualsiasi progetto politico della liberazione. Per questo il 4 novembre nelle scuole italiane dovremo essere dei "guastatori": rovinare la festa, ricordare il lutto, ripudiare la guerra. Italo Di Sabato <http://www.italodisabato.org/>www.italodisabato.org
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