"«Crisi, l'errore dei leader liberisti» - articolo di" Vittorio Agnoletto su La Stampa di oggi



«Crisi, l'errore dei leader liberisti»
Di Vittorio Agnoletto
La Stampa, mercoledì 29 ottobre 2008


Mi rivolgo ai leader economici, culturali e politici del nostro Paese, e
attraverso di voi alle leadership del mondo occidentale. Chiedete scusa.
Avevate torto e i vostri errori ci hanno reso tutti più poveri, ma alcuni
più di altri.
Quando da anni, in tutto il mondo, nei Social Forum, nei movimenti, nelle
università, nei sindacati, in migliaia elaboravamo proposte competenti per
affrontare le più svariate emergenze del pianeta, ci descrivevate come
utopisti, statalisti, nemici del progresso.
Quando contrastavamo l'autonomizzazione dei mercati finanziari
dall'economia reale, la delocalizzazione selvaggia della produzione, quando
rivendicavamo a istituzioni elette democraticamente il diritto
d'intervenire con un ruolo regolatore sulla volatilità del mercato voi
esaltavate la capacità di autoregolazione del mercato e la necessità di
liberarlo dai "lacciuoli" dello Stato. Oggi le vostre stesse decisioni ci
danno ragione. Anche se non lo ammetterete mai.
Per evitare il crollo del sistema finanziario e il congelamento del mercato
del credito, che rischiano di coinvolgere l'insieme delle attività
economiche, le autorità statunitensi hanno proposto che la finanza
pubblica, cioè il contribuente, riscatti i crediti bancari problematici
fino a un tetto di 700 miliardi di dollari e un senatore americano ha
parlato di «socialismo finanziario». In Gran Bretagna e in Francia si parla
di «nazionalizzazione» delle banche, mentre in Italia Berlusconi annuncia
«aiuti di Stato» per le industrie in difficoltà e la presidente di
Confindustria li pretende. Oggi non c'è commentatore politico che non
esprima la sua condanna contro la straripante finanziarizzazione che
danneggerebbe l'economia reale. Ma dove eravate in questi anni?
Ricordo, per esempio, la sufficienza con cui veniva  considerata la nostra
proposta della Tobin tax, l'ipotesi cioè di una minima imposizione fiscale
sulle operazioni speculative che servisse come strumento di regolazione dei
mercati finanziari: se fosse stata applicata, sarebbe stata un utile
strumento di limitazione dell'impatto dell'attuale crisi.
Ma oggi non mostrate alcuna vergogna nello stravolgere le regole che fino a
ieri avete decantato.
Al tanto vituperato Stato chiedete di risanare le banche mandate in crisi
dagli speculatori, usando denaro pubblico. Quei soldi non virtuali in
qualche modo bisognerà procurarseli. E come? Tagliando la spesa (scuola,
sanità, welfareŠ), aumentando il debito pubblico (e togliendo risorse
all'economia reale), aumentando le tasse. Come mai si deroga così
facilmente alle regole del liberismo, ai vincoli di Maastricht, per correre
al capezzale della grande finanza, mentre ciò è «vietato» per difendere il
welfare pubblico? Il lavoro degli insegnanti è veramente meno efficace, e
quindi meno meritevole di attrarre risorse, del lavoro dei banchieri?
Oggi servono risorse per sostenere i redditi e le pensioni, perché le
conseguenze della crisi colpiscono innanzitutto i ceti popolari.
Servono cambiamenti strutturali che liberino la nostra quotidianità dai
rischi della crescente finanziarizzazione e che pongano al centro la difesa
dei sistemi pensionistici e dei beni comuni, come l'acqua, l'istruzione e
la salute che devono essere accessibili a tutti e quindi sottratti alle
logiche della privatizzazione e non sottoposti ai rischi  della
speculazione.
Spero che questa drammatica crisi almeno ci insegni qualcosa per il futuro.
«Un altro mondo è possibile» è lo slogan del popolo di Porto Alegre su cui
in tanti avete ironizzato: ora,sappiamo che «un altro mondo è necessario».
Il più presto possibile.

*già membro del Consiglio Internazionale del Forum Sociale Mondiale -
europarlamentare PRC - Sinistra Europea