La «fabbrica» dei pacificatori
- Subject: La «fabbrica» dei pacificatori
- From: Andrea Valdambrini <avaldambrini at tiscalinet.it>
- Date: Thu, 25 Sep 2008 18:34:34 +0200
TOSCANA OGGI on line
25/09/2008 - 11:55 - La «fabbrica» dei pacificatori di Francesco Paletti
L'operatore di pace, inteso come figura professionale, ancora non esiste, «ma ci stiamo lavorando». Scherza, ma non troppo, Pierluigi Consorti, 46 anni, di professione ordinario di Diritto ecclesiastico a giurisprudenza e, «per volontariato», direttore del Master in Gestione dei conflitti interculturali e interreligiosi del Cisp, il Centro interdipartimentale studi per la pace dell’Università di Pisa. Numeri alla mano, è la «fabbrica» dei professionisti della pace dell’ateneo pisano: già 74 laureati di primo livello (3 anni) e nove di secondo (5 anni) in scienze della pace in appena otto anni di attività. E gli iscritti sono in costante crescita: 92 nel 2001, 185 nel 2004 e 206 nell’anno accademico che sta per iniziare. Professore, ve lo aspettavate? «Sinceramente no, anche perché il corso di laurea di scienze per la pace, da cui poi ha preso le mosse anche il Master in gestione dei conflitti, nacque non in una congiuntura non propriamente felice …». Sarebbe a dire? «Sa perché mi ricordo alla perfezione la data di nascita di questo nuovo percorso di studi?» No. «Perché l’11 settembre del 2001, insieme agli altri colleghi, tenemmo una delle ultime riunioni organizzative. Una coincidenza non propriamente beneaugurante…». Nonostante ciò, però, gli studenti vi hanno «premiato». «Difficile sostenere il contrario, considerate anche le caratteristiche organizzative del nostro corso di laurea: quasi tutti i docenti lo fanno sostanzialmente per volontariato, nel senso che ciascuno di noi ha la propria cattedra presso altre facoltà. Eppure abbiamo lo stesso numero d’iscritti di corsi laurea come Fisica o Biologia tanto per fare qualche esempio». Come se lo spiega? «Ci sono due ragioni concomitanti: viviamo in una società fortemente conflittuale a diversi livelli, e conseguentemente cresce l’interesse nei confronti dei temi e delle professioni legate alla pace e alla mediazione e alle gestione dei conflitti. Mentre l’offerta formativa, quanto meno a livello accademico, rimane piuttosto limitata». Una volta laureato, che lavoro può fare l’operatore di pace? «C’è il mondo della cooperazione allo sviluppo in primo luogo, sia nelle organizzazioni internazionali che soprattutto nelle Ong: chi esce da questo corso di laurea ha competenze multidisciplinari e capacità d’analisi di contesti multiculturali che sono fondamentali per poter progettare e operare in aree di post-conflitto o nei Paesi in via di sviluppo. Poi c’è tutta l’area della mediazione interculturale e dei servizi per l’immigrazione, la mediazione sociale nei quartieri e, infine, il mondo del terzo settore in cui, almeno in Italia, fino ad oggi hanno operato manager autodidatti soprattutto per la carenza di percorsi di studio attenti alle esigenze degli operatori del settore. Insomma le opportunità di lavoro ci sarebbero anche. Il problema semmai è un altro». Ossia? «Chi esce da una facoltà come scienze per la pace non ha un titolo immediatamente spendibile nel mercato del lavoro. La costruzione delle singole carriere professionali è molto legata all’intraprendenza del singolo e anche alle diverse sensibilità che ciascuno di essi ha l’occasione d’incontrare. L’auspicio, ovviamente, è che un giorno si possa arrivare ad un maggiore riconoscimento di competenze che, quanto meno a parere mio, sono sempre più necessari per comprendere la complessità del mondo contemporaneo». È anche per questo che si è costituito il Cisp ed è stato promosso il corso di laurea? «Certo. È un percorso che nasce e resta tuttora fortemente legato ad una matrice pacifista, nonviolenta e transdisciplinare. Detto in parole semplici, si sviluppa dalla convinzione che la pace non si fa con la guerra e dal fatto che tutte le discipline, umanistiche e scientifiche, posso offrire il loro contributo in tale ottica». Mai sfiorati dal timore dell’accusa di essere un po’ ideologici? «A dire la verità i nostri studenti qualche volta ci criticano per esserlo troppo poco, nel senso che scienze per la pace rimane un corso di laurea e deve necessariamente mantenere un approccio accademico: tutti quanti noi docenti siamo animati dalla sincera convinzione che la patria si possa difendere anche con mezzi non violenti, ma non possiamo e vogliamo prendere posizioni che abbiano o si prestino ad altre interpretazioni. Il nostro intento è quello di offrire strumenti per leggere la contemporaneità con lenti diverse da quelle degli stereotipi semplificatori e delle soluzioni immediate che, il più delle volte, nel lungo periodo si rivelano semplici tamponi. Se vuole gliela faccio anche più semplice». Prego. «Non esiste una soluzione definitiva per tutti i conflitti, siano essi geopolitici o condominiali. Anzi, la maggior parte di essi non ne prevede alcuna perché il conflitto è parte di noi». È allora che si può fare? «Imparare a conviverci e a gestirli. È un po’ questo il senso del
nostro corso di laurea». I corsi: La
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